§ 118. — Progressi
dell’agricoltura.
Il lettore avrà forse notato con qualche sorpresa
come nel trattare dei mezzi con cui per opera dei proprietari si potrebbe
migliorare in avvenire la condizione dei contadini, noi non abbiamo ancora
quasi fatto parola di quello da tutti vantato come il rimedio principale, cioè
del progresso dell’agricoltura. È credenza generale che la maggiore produzione
implichi necessariamente aumento di benessere per tutti quanti i produttori; ed
è tale credenza che ha spinto moltissimi tra gli stessi economisti a dar soverchia
importanza ai soli fenomeni della produzione, escludendo dal numero degli
oggetti propri degli studi economici tutte le leggi della distribuzione, oppure
contentandosi della formula generale ed elastica della legge dell’offerta e
della domanda, come della sola regolatrice di ogni distribuzione, intendendola
come un Dio Fato che determini implacabilmente e sempre allo stesso modo il
dare e l’avere di ciascuno. La legge dell’offerta e della domanda, o, per dirla
col Cairnes, della «reciproca domanda», è indubbiamente vera, ma essa non ci dà
ragione delle tante cause che alterano l’offerta effettiva e la domanda
effettiva nei singoli casi, e non esprime al più che una tendenza, fondata
sopra uno solo degl’istinti dell’animo umano quello del proprio interesse
economico immediato. Ogni varietà però di istituzioni, di leggi, di costumi, di
cognizioni e di passioni, altera sensibilmente gli effetti dell’azione di
quella legge economica: non è, ben s’intende, la legge economica che può essere
mutata, chè sarebbe lo stesso che dire che si muti la legge di gravità: quello
che si modifica, ognivolta che molte forze siano fatte giuocare nello stesso
tempo, è la direzione ultima che imprimerebbe una sola di quelle forze quando
agisse isolata.
E tornando al nostro argomento, crediamo che per
tutto quanto ha attinenza coll’agricoltura, una migliore distribuzione — sia
essa regolata da leggi o da consuetudini, oppure la resultante della libera
concorrenza più o meno modificata dall’accordo — possa generalmente esser cagione
di una miglior produzione; e che in Sicilia lo sarebbe senza alcun dubbio; ma
d’altra parte neghiamo in modo categorico che una miglior produzione debba per
sè sola condurre necessariamente, e in Sicilia nemmeno parzialmente, ad una
migliore distribuzione della ricchezza prodotta, o che ai lavoranti agricoli
debba venirne una parte nè relativamente nè assolutamente maggiore di quella
che loro non tocca ora. Con ciò non intendiamo affatto di attenuare
l’importanza grandissima per la società umana di ogni aumento di produzione, e
nel caso nostro di ogni progresso dell’agricoltura; sarebbe cosa assurda; ma
sosteniamo che gli aumenti di ricchezza e di benessere che ne provengono,
possono, nello stato attuale dei rapporti economici che passano tra i proprietari
del suolo e i coltivatori, non giovare affatto a questi ultimi, e che anzi la
condizione loro può nello stesso tempo peggiorare. E per dirla in altre parole
crediamo vera la regola, — misero podere, misero contadino; ma non la
reciproca, — misero contadino, misero podere. Se Tizio lavora dieci
ettari di terra di proprietà di Caio, è evidente che Tizio dovrà patire se da
quei dieci ettari non può ritrarre abbastanza per il proprio sostentamento; ma
è pure evidente che anche se quel suo podere producesse venti volte tanto, gli
non sarebbe perciò affatto più ricco, quando Caio prendesse per sè tutta la
differenza, e che egli non potesse in nessun modo impedirglielo.
È per queste considerazioni che ci siamo
specialmente occupati in questo scritto delle forme della distribuzione del
prodotto agricolo; e ciò tanto più, in quanto nella questione della produzione
non potremmo aggiungere nulla agli studi ampi e diligenti fatti in Sicilia da
tanti e tanti molto più competenti di noi. Tutte le questioni riguardanti
l’agricoltura vengono ora discusse e studiate con ardore in Sicilia, e le
numerose pubblicazioni che ne trattano, e l’attività altamente lodevole di
alcuni tra quei Comizi agrari, e l’Istituto agrario di Castelnuovo presso
Palermo, e le colonie agricole come quella di Caltagirone, e le Società di
acclimazione, e gli Orti botanici, e i numerosi corsi speciali, ci sono arra
dello splendido avvenire dell’agricoltura siciliana. Non manca neppure chi si
preoccupi della condizione dei coltivatori, ma ogni rimedio si attende dallo
sviluppo dell’agricoltura; e vi è perciò pericolo che il progresso sia
unilaterale, e quindi monco, inarmonico e insufficiente a diminuire i mali che
affliggono quella bellissima contrada.
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