§ 124. — L’emigrazione.
Oltre l’associazione, abbiamo additato l’emigrazione
come uno dei mezzi di cui possono valersi i contadini per ottenere un aumento
dei loro guadagni, e in genere un miglioramento della loro condizione.
L’emigrazione può aver un’azione molteplice sullo
stato economico della classe lavoratrice in un paese: — può diminuirvi
permanentemente la concorrenza del lavoro, e così alterarne l’offerta di fronte
alla domanda fattane dal capitale, facendo nascere la concorrenza tra capitale
e capitale, tra proprietario e proprietario; può colla semplice minaccia di una
tale diminuzione indurre gl’industriali capitalisti, e a molto più forte
ragione i proprietari, a rinunziare ad una parte di profitti, o rispettivamente
di rendita fondiaria, onde non perdere il resto; e può col ritorno degli
emigranti che abbiano raccolto qualche gruzzolo di denaro all’estero, e che
l’impieghino nell’acquisto di terra, essere il mezzo di creare una classe di
contadini proprietari, o per lo meno di formare una classe intermedia tra
proprietari e contadini, composta di piccoli commercianti e industriali, per
l’azione della quale l’usura anderebbe diminuendo.
Non meno importanti poi degli effetti economici
sono quelli morali dell’emigrazione. Essa muta affatto l’ambiente morale per
l’emigrante. Se torna, torna uomo, sentendo la propria dignità nel lavoro. Egli
ha visto altri climi, altre coltivazioni, altre civiltà; non vive più
nell’atmosfera medioevale di prima, e ha il coraggio di lamentarsi e di
invocare la giustizia se gli vien fatto un torto. Egli vede uno scampo
all’oppressione al di fuori del brigantaggio, dell’assassinio e della
ribellione; ed aiuta i compagni ad emigrare e a farsi un peculio col lavoro
perseverante.
La questione dell’emigrazione italiana è già
stata ampiamente trattata da vari scrittori di vaglia, ma i pareri non furono
sempre concordi. Il Virgilio, il Cerruti, il Franchetti, il Tesi ecc., vedono
nell’emigrazione il mezzo più sicuro di migliorare le condizioni del lavorante,
con vantaggio pure dell’universale, e anche l’Ellena si schiera piuttosto da
questa parte. Il Florenzano invece, il Winspeare ed altri, spaventati dalle
sofferenze cui spesso vanno incontro gli emigranti, gettano un grido di allarme
al vedere l’onda crescente dell’emigrazione italiana. Il Carpi ci ha dato uno
studio diligente sull’argomento; che fu pure oggetto di discussione al
Congresso degli Economisti che ebbe luogo in Milano nel gennaio del 1875. Il
Ministero Minghetti pochi giorni prima della sua caduta, presentò al Senato una
legge, con cui si sarebbe data al Governo perfino la facoltà di impedire
l’emigrazione, oltre il vincolarla in vari modi; e finalmente una Commissione
nominata dal Ministero Depretis, col mandato di studiare l’argomento, concluse
che non vi era nulla di nuovo da fare. Si è pure costituita recentemente, con
sede centrale a Roma, una «Società di patronato degli emigranti», promossa
dagli onorevoli Torelli e Luzzatti e intesa a tutelare, come lo indica il nome
stesso dell’associazione, in ogni modo possibile gl’Italiani che emigrano per
l’estero, col promuovere inchieste, col reclamare provvedimenti legislativi o
governativi sui luoghi di destino degli emigranti.
In questi giorni (settembre 1876) l’apparizione a
Genova di più centinaia di contadini colle loro famiglie, che, ingannati da
agenti di compagnie o da false notizie, venivano dal Mantovano privi di ogni
mezzo di sussistenza, colla lusinga di poter partire per il Brasile, e che
dovettero essere rimpatriati a spese delle autorità, ha attirato di nuovo
l’attenzione generale sulla questione dell’emigrazione. Abbiamo già detto
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