§ 128. — Effetto delle
istituzioni libere dopo il 1860.
E quel che trovammo nel 1860, dura tuttora. La
Sicilia lasciata a sè troverebbe il rimedio: stanno a dimostrarlo molti fatti
particolari, e ce ne assicurano l’intelligenza e l’energia della sua
popolazione, e l’immensa ricchezza delle sue risorse. Una trasformazione
sociale accadrebbe necessariamente, sia col prudente concorso della classe
agiata, sia per effetto di una violenta rivoluzione. Ma noi, Italiani delle
altre provincie, impediamo che tutto ciò avvenga. Abbiamo legalizzato
l’oppressione esistente; ed assicuriamo l’impunità all’oppressore.
Nelle società moderne ogni tirannia della
legalità è contenuta dal timore di una reazione all’infuori delle vie legali.
Orbene, in Sicilia colle nostre istituzioni, modellate spesso sopra un
formalismo liberale anzichè informate a un vero spirito di libertà, noi abbiamo
fornito un mezzo alla classe opprimente per meglio rivestire di forme legali
l’oppressione di fatto che già prima esisteva, coll’accaparrarsi tutti i poteri
mediante l’uso e l’abuso della forza che tutta era ed è in mano sua; ed ora le
prestiamo man forte per assicurarla, che, a qualunque eccesso spinga la sua
oppressione, noi non permetteremo alcuna specie di reazione illegale, mentre di
reazione legale non ve ne può essere, poichè la legalità l’ha in mano la classe
che domina.
Sintomi minacciosi.
Eppure nel 1860, in mezzo a tutto l’entusiasmo
della riscossa nazionale, accaddero qua e là in Sicilia fatti che avrebbero
dovuto insegnarci dove era più profonda la piaga, e dove quindi conveniva far convergere
l’azione dei rimedi. Le cruente sollevazioni di Pace, di Collesano, di Bronte e
di molti altri luoghi, dove al grido di Abbasso i sorci, le turbe di
contadini davano addosso ai proprietari e a chiunque apparteneva alla classe
agiata, avevano un carattere sociale abbastanza spiccato, per essere indizio di
un male profondo, e che meritava d’essere preso in maggior conto. Si fece bene
in allora di reprimere violentemente quei moti violenti, ma, ristabilito
l’ordine, conveniva pensare a curare il male nel suo germe, e ciò non fu fatto
punto. La censuazione dell’asse ecclesiastico, il solo provvedimento tra quelli
presi che poteva giovare al contadino siciliano, fu un’operazione finanziaria,
fatta con scopi finanziari, e che perciò non mutò affatto l’economia agraria
dell’Isola: il resto è polvere negli occhi.
I sintomi del morbo non mancano. Nel 1865 vi
furono disordini a Canicattini: e nel marzo di quest’anno (1876), a
Grammichele, uno stuolo di contadini dètte l’assalto al Casino dei
«galantuomini», e uccise e ferì parecchi tra questi. La causa occasionale del
movimento fu la voce che i signori si fossero messi d’accordo per l’appalto del
dazio consumo a danno dei contadini; ma la ragione vera erano l’odio e la mutua
diffidenza tra le due classi. E come indizi dell’avvenire, più rassicuranti di
quelli già riferiti, ma pur pericolosi, si possono citare i fatti a cui
accennammo di Valledolmo e di Villalba, e l’associarsi di quei contadini per
meglio organizzare la lotta contro il capitale.
E più si spargerà l’istruzione nella classe dei
contadini, e più acuto diventerà il male, e più urgente sarà il bisogno di
rimediarvi, imperocchè coll’istruzione il contadino acquista una più chiara
coscienza della sua condizione, senza poterla perciò mutare da solo, fuorchè
con mezzi lenti e incerti.
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