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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

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  • LIBRO PRIMO   CONDIZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE DELLA SICILIA
    • PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE
      • VI
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VI.

 

Gravi sono anche le sconcordanze della Relazione della Giunta col volume del Sonnino.

Una prima riguarda la divisione della proprietà.

La Relazione ammette di buon grado che la condanna del latifondo esce unanime dal giudizio degli uomini più competenti dell’Isola (pag. 14) e che il beneficio di 20 mila proprietari nuovi recato dalla censuazione siciliana fu turbato dal ritorno, immediato o graduale, di alcuni lotti venduti, che ricostituì nelle mani di un solo proprietario o un latifondo nuovo o l’incremento dei latifondi limitrofi; ma vanta assai gli effetti generali delle leggi di svincolo. Invece il Sonnino, ai paragrafi 84, 85, 86 deplora amaramente i metodi tenuti nella liquidazione di quell’enorme massa di beni. Pubblicatasi poi la Relazione della Giunta, a pag. 334 del volume del Franchetti venne inserita quella nota alla quale ho già accennato, dove si sostiene di nuovo che qualunque potesse essere l’importanza della coltura e della proprietà media e piccola, era caratteristica della Sicilia un grande concentramento della proprietà, tale da determinare le condizioni economiche e sociali. È dunque importantissimo approfondire questo punto.

La Relazione della Giunta potè far tesoro oltre che della Storia dell’Enfiteusi dei terreni ecclesiastici in Sicilia, pubblicata nel 1871, anche di una deposizione del suo autore, il prof. Corleo, che citò perfino il caso di un lotto sminuzzato fra 300 aspiranti; ma da altro lato il Sonnino si fece forte della pubblicazione fatta nel 1875 dal prof. Basile di un volume «I Catasti d’Italia e l’Economia agricola in Sicilia», dove nelle pagine 78, 112, 113 è lamentata la cessazione di un movimento accentuato verso la censuazione della proprietà territoriale, già iniziatosi nel 1824, grazie alla Legge Borbonica del 10 febbraio di quell’anno, che dava diritto ai baroni di assegnare forzosamente ai loro creditori delle terre in pagamento dei propri debiti. Maggior luce venne fatta poco dopo le due Inchieste da una statistica pubblicata dall’ing. G. C. Bertozzi nel volume degli «Annali di Statistica»6 che dava come esistenti 20,670 quote enfiteutiche, possedute da 8105 enfiteuti, e per una somma di canoni annui di lire 4,785,565, ma appena il 23 per cento di questa somma riferiva ad enfiteuti possessori di una sola quota per ciascuno; e calcolava che il loro gruppo, che comprendeva i due terzi del totale, abbia avuto solo 27 lotti per ogni 100 censuati mentre gli altri 73 andarono in mano dei pochi che si presero molte quote per ciascuno. Il doppio ordine di fatti, osserva il Bertozzi, prova che un numero grande di quote enfiteutiche dev’essersi concentrato in poche persone, le quali erano già ricche per altre proprietà fondiarie, prova cioè che la ripartizione dei fondi ecclesiastici effettivamente ottenuta con l’enfiteusi era ben lungi dal corrispondere agli intenti della legge; anzi i molti lotti venuti insieme nelle mani dei singoli utenti è da supporre che nella maggior parte dei casi abbiano reintegrato i fondi che i periti avevano diviso in quote, come vien confermato dal gettar l’occhio sugli elenchi nominativi degli enfiteuti con più di una quota e dei Comuni in cui le loro quote si trovano. È poi da dare rilievo al fatto che le maggiori lagnanze del Sonnino concernono l’avere congegnato ed attuato l’alienazione di quella massa di beni senza una decisa preoccupazione di farli pervenire direttamente alla popolazione rurale che li lavorava, defraudatane così mediante le camorre nelle aste, le maliziose interposizioni di nullatenenti, e le sfavorevoli interpretazioni della giurisprudenza.

Benchè qua e nel suo contesto la Relazione della Giunta vi faccia pure vari fuggevoli accenni, è nelle sue conclusioni che più esplicitamente esclude l’esistenza in Sicilia al tempo dell’Inchiesta di una questione sociale e di una questione politica. Vi si legge che «le ossa di quella razza robusta e vivace, non erano rose, malgrado le avversità del passato, da una questione politica da una questione sociale». Ora, prescindendo dalla politica, che anche l’Inchiesta privata riduce al preconcetto autonomista di pochi ambiziosi che speravano vantaggi per dall’indipendenza più o meno assoluta dell’Isola, quanto alla sociale è strano che la si voglia negare pur convenendo nella presenza di molte condizioni che sogliono generarla e fomentarla. Si può anche concedere che non vi sia un nesso diretto fra i bassi salari o i durissimi patti agricoli col brigantaggio e con la mafia, perchè le loro sedi preferite sono le zone più prosperose dell’Isola e perchè molti dei mali che possono affliggere il contadino siciliano si riscontrano in altre provincie del continente, ma è chiaro che bassi salari e durissimi patti agricoli concorrono a mantenere i contadini in uno stato di pietosa miseria, e che se non il brigantaggio, la misteriosa mafia interviene con le sue violenze ai loro danni quando s’agitano individualmente o collettivamente per migliorare le proprie condizioni. Inoltre la questione sociale può esistere anche indipendentemente da tutto ciò: essa ha radice nella cattiva distribuzione della ricchezza, e negli ostacoli, quali l’oppressione tributaria e l’insufficienza dei servizi pubblici più necessari, con cui una o più classi sociali impediscono ad un’altra di acquistare più largamente, ma si concreta anche in un vago malcontento per il bisogno insoddisfatto di giustizia e di carità in ogni esplicazione della vita; si aderge quindi a valore e significazione morale. Il giudizio definitivo sul diverso apprezzamento l’avevano già dato le sanguinose sollevazioni di Pace, di Collesano, di Bronte, e di molte altre località; ma lo ribadirono anche troppo presto quei Fasci (la cui storia io pure ho già narrato nelle pagine della Nuova Antologia)7 i quali a taluni occhi parvero sorgere di un tratto sotto la bacchetta magica di una propaganda artificiosa, ma ebbero invece una paternità immediata nella reazione contro uno spietato sfruttamento, sicchè non si poterono frenare o sciogliere senza repressioni cruente. si dica che poi, sciolti quei Fasci, l’ordine in Sicilia tornò così estesamente da poterli supporre manifestazione non già di una malattia organica e costituzionale, ma di fenomeni morbosi isolati e per stanti. Quei Fasci furono sciolti, ma ne sopravvive la tradizione e il senso di disciplina che li rese minacciosi; e la tranquillità che oggi si avverte è dovuta in gran parte alla maggior prosperità economica e conseguentemente al prevalere della domanda di braccia sulla loro offerta e a una certa mitigazione dei patti colonici.

E la Giunta e il Sonnino s’occupano delle Associazioni dei contadini.

La Giunta cita di sfuggita quella di Valle d’Olmo, costituitasi per introdurre migliori pratiche agrarie e per soccorrere quei borghesi che si trovavano, per gli onerosi patti agricoli, in compassionevoli strettezze, tentativo tanto rispettoso degli ordini sociali che la Presidenza ne fu affidata al Conte Tasca d’Almerita, «ricco proprietario e specchiato cittadino» e aggiungerò io, uno dei non pochi patrizi che ci si rivelarono compresi dei loro doveri sociali: poi cita l’Associazione dei borgesi di Villalba che stettero alcuni mesi senza lavorare, piuttosto che consentire ai durissimi patti imposti per gli affitti e le mezzerie da quei proprietari, ma senza usare pertanto nessuna violenza.

Invece il Sonnino include questi medesimi esempi in un apposito capitolo sui mezzi d’azione con cui i contadini possono migliorare la propria sorte; e dopo averli riassunti nell’associazione e nell’emigrazione, distingue le Associazioni in cooperative di produzione e in restrettive della mutua concorrenza. Fra le prime cita quelle di Valledolmo, di Sanfratello e di Mistretta. È noto che questa forma si è andata poi diffondendo assai, e che, mentre e socialismo e clericali le offrirono a gara il loro patronato, in generale non si è molto allontanata dal campo dell’intensificazione della produzione, salvo che nel periodo dell’agitazione dei Fasci. Ma il Sonnino va più oltre, e partendosi dal fatto che già allora, secondo il progetto di un nuovo codice penale, nulla vi era di ingiusto nell’associarsi per alzare i salari, si indusse a ragionare delle società di resistenza e degli scioperi, naturalmente riconoscendone la legittimità quando non ricorrevano a violenze, ma senza tacere che n’era sempre discussa l’opportunità e l’utilità. Quel capitolo può avere irritato assai la generalità dei proprietari siciliani e fors’anche molti di quelli del Continente, ma era più che giustificato dallo spettacolo della miseria nera dei contadini di alcune plaghe, e dopo tutto egli approvava novità già latenti, e che non tardarono ad imporsi anche colà, tanta ne era la giustizia sociale. D’altronde egli, se dimostrava pure che v’erano ragioni impellenti per estendere maggiormente nel campo agrario quelle limitazioni contrattuali il cui principio era già accolto nel nostro Codice Civile e le cui applicazioni nelle legislazioni straniere intanto illustrava, in un altro capitolo faceva appello eloquente all’azione spontanea dei proprietari. Qui mi si permetta di ricordare che anch’io incoraggiai con fervore questa parte del disegno del volume, e che quando nel 1893 il Ministero di Grazia e Giustizia d’allora, d’accordo col Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio, istituì una Commissione con l’incarico di studiare e proporre le modificazioni da introdurre nel diritto vigente per quanto si riferiva ai contratti agricoli ed al contratto di lavoro, io che ebbi l’onore di farne parte8, alla chiusura delle laboriose discussioni ho voluto dichiarare che «pure affidandosi alla legge, come nelle deliberazioni della Commissione, la tutela del contadino, il modo più legittimo e più efficace di rimediare alle attuali enormità del patto colonico era il riconoscimento da parte dello Stato delle Associazioni di resistenza intese a permettergli di integrare da le proprie forze; le quali Associazioni, coi loro procedimenti segreti diventano presto e volentieri un pericolo sociale, ma legittimate e controllate dallo Stato come si è fatto in Inghilterra, possono avere e mantenere il provvido carattere di istituzioni tutrici della indipendenza contrattuale».

 




6 Roma, Tip. Eredi Botta, 1879.



7 Fascicolo del gennaio 1894.



8 La Commissione era composta dei deputati Chimirri Presidente, Arcoleo, Cancellieri, De Bernardis, Faina, Fortis, Gianturco, Guelpa, Landucci, Maiorana Calatabiano, Nitti, Orlando, Parenzo; dei professori Cogliolo, Salvioli, Schupfer, Tammeo, del Direttore Generale della Statistica (comm. Bodio), del Direttore Generale dell’Agricoltura (comm. Miraglia) e dello scrittore di queste pagine.






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