VIII.
Più nobilmente non avrebbero potuto chiudersi nè il casuale
contraddittorio nè la voluta polemica che io ho voluto rievocare: ma ben altro
tono raggiunsero le recriminazioni contro il Franchetti ed il Sonnino nella
maggior parte dei giornali dell’Isola. Non solo si è protestato, ma siccome
ebbe a scrivermi il Franchetti quando ero al Messico, si è gridato inferociti
contro i due calunniatori, citando concetti e perfino frasi che non erano loro
affatto9. Anche i giornali del continente trascinati dalla profonda
impressione destata ovunque da così gravi rivelazioni, non furono avari di
recensioni ispirate naturalmente alle diverse dottrine politiche ed economiche
che professavano. La stessa stampa estera volle occuparsene. In Inghilterra,
oltre i giornali quotidiani, accolsero notevolissimi articoli la Saturday
Review e l’Edimburg’s Review; in Germania la National Zeitung
dove l’Hillebrand in un seguito di numeri diè nuova prova della sua grande
competenza nel ragionare delle cose italiane10. Tra le varie Riviste
nostre che si pubblicavano allora, la Nuova Antologia tacque, ma il Giornale
degli Economisti, autorevolissima rivista mensile edita in Padova, ospitò
nel dicembre parecchie pagine del Luzzatti sul solo volume del Sonnino, perchè
l’altro non era ancora uscito in luce, e nel gennaio successivo un ampio
raffronto del deputato Morpurgo, appunto sulle due Inchieste, sotto il titolo
«La vita siciliana secondo gli ultimi studi».
Il Luzzatti, pure nel suo esame
parziale, volle accomunare nei suoi elogi i due giovani «accintisi alla grande
e difficile impresa di far conoscere i dolori e le deficienze della Sicilia,
che anche nei loro scritti individuali facevano sentire la stessa ispirazione
superiore essenzialmente virtuosa e la promiscua nota della collaborazione».
Rivelando alcune confidenze fattegli dal Corleo sugli insufficienti risultati
della censuazione in Sicilia, afferma anch’egli che quei beni ecclesiastici
furono sperperati e trova che valeva meglio che lo Stato li avesse tenuti per
sè, perchè ne sarebbe accresciuto il valore con l’aumento naturale della
popolazione e si sarebbe potuto ponderare con maggior diligenza il modo di
distribuirli a prezzo equo fra la popolazione «in guisa da rialzarne veramente
la dignità ed il carattere»; il qual disegno ha per altro il difetto di non
tener conto dell’urgenza del problema siciliano e delle difficoltà di una
gestione di Stato, anche se transitoria. Più felice egli è quando ricorda la
recente inchiesta industriale, della quale aveva gran merito, e interviene nel
dissenso fra la Relazione della Giunta e il Sonnino circa il danno che una riforma
della Legge sul lavoro dei fanciulli poteva portare alle loro famiglie,
aggiungendo che il preferire una soluzione affidata ai progressi della
meccanica, non lo eliminerebbe nè lo ritarderebbe. Dice la parte in cui il
Sonnino tratta dell’azione dello Stato soverchiamente disinvolta, la sua
dottrina sulla proprietà fondiaria poco rispettosa dei principii economici e
giuridici, ed alcune proposte sui contratti agrari troppo vincolatrici; al qual
proposito promette pel prossimo numero un più disteso articolo del quale non fu
saputo mai.
L’on. Morpurgo, nel suo «Quadro
della vita siciliana secondo gli ultimi studi» cade in qualche contraddizione.
Egli narra per esempio di aver appreso in quegli stessi giorni dalla viva voce
di un siciliano che un proprietario facoltoso sequestrato dai briganti, avendo
potuto sfuggire loro di mano, mostrò del danaro a un suo campiere, gli fece
sentire che il proprio sequestro era uno sfregio anche per lui e così gli
lasciò comprendere che voleva essere vendicato. Il campiere si eclissò per
qualche tempo e quando tornò, morte violenta aveva già soppresso parecchie
persone indiziate di responsabilità nel sequestro; ma riferisce anche di un
colloquio con quell’eletto ingegno che fu Matteo Raeli, dal quale s’è lasciato
dire senza confutarlo che il persistente travaglio della sicurezza pubblica
nella vita siciliana era soltanto un episodio contro il quale era un errore e
una fallace illusione il combattere con l’occupazione militare e gli espedienti
di polizia: ora, se pure si tratta di un episodio, tragico com’è, prevarranno
bensì in un lontano avvenire le tanto più diffuse virtù sanatrici, ma intanto
come lasciarlo radicarsi e dilagare?... Ed egli plaude del pari sia alla
sollecitudine inquisitrice del Parlamento, sia alla concorrente iniziativa
privata così piena di carità civile, e rimane perplesso fra l’una e l’altra
esposizione dei termini del problema, fra le une e l’altre proposte di
soluzione: dapprima gli pare che la Relazione della Giunta pecchi di soverchio
ottimismo, e più oltre si dice tratto a dichiarare che un provvido risveglio
non possa essere che questione di tempo: «lasciamo acclimatare i nuovi ordini
civili, sperimentare gli uomini e le leggi, agire le virtù dell’esempio,
acquistar forza l’opinione nuova e i fattori ond’essa si compone, e il
rivolgimento si compirà senza alcun dubbio»; più innanzi poi condanna i timori,
i dubbii, i dottrinarismi tradizionali come il peggiore dei pericoli e
prosegue: «Il non fare, il lasciar fare sembra già un principio di
utilità molto problematica in condizioni sufficientemente normali; l’assurdità
di esso non potrebb’essere controversa in mezzo ad una società che deve
guadagnare con velocità accelerata il tempo perduto.... Un governo operoso e
forte, ecco la formola. Non vi dev’essere in Sicilia alcun bisogno ch’esso non
sia pronto a curare, non repressione necessaria che rimanga sospesa o che sia
ritardata».
Dolse molto al Franchetti che
non si fosse preso in esame diligente e più ampio un lavoro di tanta
responsabilità e di tanto interesse per il paese e, nello scrupolo della
coscienza, voleva che gliene ragionassi di nuovo. «In fondo in fondo, mi
scriveva, mi pare che anche in mezzo alle nostre discussioni vi fosse accordo e
che i due volumi sieno un riassunto abbastanza fedele delle nostre triplici
impressioni; ma letto il libro, vorrei tu mi scrivessi che ne pensi.... Sono
molto impaziente di avere il tuo giudizio». Quando poi gli ebbi inviato qualche
appunto critico mi replicò senza indugio: «Convengo in moltissime delle tue osservazioni,
anche laddove accenni a trascuratezze di forma e di coordinamento, e a
ripetizioni; ma il tempo mi è mancato per far meglio. Era necessario che il
libro uscisse prima della nuova discussione parlamentare, e fu principiato a
stampare il 27 novembre, quando avevo riveduto appena i tre quarti del
manoscritto del primo capitolo. Di più, giunto a discorrere della Pubblica
Sicurezza, trovai talmente impaccioso distinguere fra le caratteristiche
generali dell’Isola e quelle particolari della Provincia di Palermo che mi
decisi a spendere tre o quattro giorni per raffazzonare il già fatto e trarne
fuori quello che è adesso la Prima Parte. Nel suggerire i rimedi particolari
per ristabilire la Pubblica Sicurezza non ho difatti pensato a fermarmi di più
su uno principale se non unico. Può sembrare ch’io abbia divagato nell’esame
dei tanti, ma il mio convincimento è (ed ho cercato ripetutamente di
esprimerlo) che pochi non basterebbero. Con la proposta che per tutti i delitti
aventi connessione fra loro a motivo del fine si abbiano a ricercare,
arrestare, e sottoporre a giudizio tutti quanti avessero con quei delitti
attinenza lontana o vicina, non mi riferisco già ai parenti, spesso innocui,
degli indiziati, ma a coloro in rapporto con questi che potrebbero intimidire i
testimoni o fossero sospetti per aver commesso qualche violenza. Arresti su
così larga base possono essere di difficile effettuazione, ma non mi pare di
avere trasgredito alle raccomandazioni fattemi da te e da Sonnino di evitare
per quanto possibile ogni proposta di provvedimenti eccezionali;
raccomandazioni che trovarono bensì eco anche nei miei convincimenti, ma non
senza riserve come ho esposto nel mio ultimo capitolo. Così mi sono lasciato
andare alla proposta di aumentare enormemente le ingerenze dei Prefetti e
speravo che fosse studiata meglio e discussa, ma ahimè!, fu un’illusione la mia
l’aspettarmi che il nostro lavoro potesse venire seriamente esaminato e
discusso».
L’amarezza del Franchetti è da sperarsi che sia venuta
mitigandosi con la lettura di successive recensioni, ma specialmente quando
nella Rassegna settimanale, una lettera di Antonio Salandra aprì
un’ampia discussione sulla esistenza della questione sociale in Italia e sul
miglior modo di adoperarsi per la sua soluzione. Con essa portavasi senz’altro
in campo aperto la lotta di scuole e di tendenze11.
Il futuro Presidente del
Consiglio, non ancora deputato, trasse occasione della pubblicazione del volume
del Villari Le lettere meridionali e di altri scritti sulla questione
sociale in Italia (Firenze, success. Le Monnier), per dar saggio di quella
vivace opposizione che com’egli dice egregiamente, doveva riescire gradita
all’A., perchè atta a richiamare l’attenzione generale sulle questioni da lui
suscitate meglio del tacito consenso che suole essere l’espressione
dell’indifferenza più che dell’approvazione. E proseguiva: «Non serve prolungar
la disputa sull’esistenza della questione sociale in Italia. Se per questione
sociale s’intende esclusivamente la forma che la lotta fra le classi ha assunto
presso i popoli nei quali l’industrialismo è più progredito, si può dire che
noi non siamo fra questi popoli, non l’abbiamo; ma se per essa s’intende quella
condizione di cose che deriva dall’esistenza di una classe di cittadini cui è
precluso l’adito a giovarsi dei beni, anche infimi della civiltà, è innegabile
che fra noi una questione sociale esiste e gravissima; non importa che il
fenomeno col quale si rivela non sia lo sciopero, ma il brigantaggio e
l’emigrazione.... Non è giusto rimproverare aspramente al Governo italiano di
non aver curato l’adempimento del suo grande dovere di occuparsene. Raffermare
l’esistenza politica ed economica dello Stato doveva essere la sua prima e
massima preoccupazione.... ed è utilissimo che vi sia ora chi si sforzi a
muovere una corrente di opinione che possa costringere Governo e Parlamento al
nuovo còmpito».
Il Salandra riduceva a tre le
sue osservazioni. 1° Convien guardarsi dal porre troppo in rilievo come nostri
speciali alcuni mali che pur sono di tutte le società anche le più civili, e
dall’insistere nell’attribuirli più particolarmente ad alcune parti d’Italia,
perchè si potrebbe nuocere alla diffusione delle idee di riforma tra i meglio
disposti localmente. 2° Se vogliamo che le classi dirigenti italiane
riconoscano, come dice il Villari, il sacrosanto dovere di aiutare le classi
abbandonate alla miseria ed alla fame, oppresse in mezzo alla libertà,
poniamole in grado di farlo elargendo loro una coltura e un’educazione
superiore, e non inaspriamole con atti di accusa nè condanniamole senza
appello. 3° Il problema sociale è oggi di produzione, non ancora di
distribuzione della ricchezza. Hanno diritto a provvedere ad una migliore
distribuzione della ricchezza quei popoli soltanto che hanno già risolto il
problema di una grande produzione. Per non cadere in un certo Gefühlsocialism
(socialismo sentimentale) che pur non suscitando agitazioni pericolose, può
cagionare uno spreco di forze intellettuali e morali, bisognerebbe persuadersi
che i sagrifizi delle classi abbienti hanno un limite inesorabile, e, per
allontanarlo, non c’è che evitare l’abbassamento della loro capacità
contributiva.
Riassumo anche le risposte della
Rassegna.
1° Affinchè i mali delle varie
regioni d’Italia possano venire curati, è assolutamente necessario che vengano
prima studiati ed analizzati e da esse e dall’Italia tutta con la maggiore
pubblicità: tacendone ed attenuandoli mancherebbe ogni coscienza ed ogni guida
per qualunque riforma risanatrice: nè può valer l’obiezione che anche altrove
vi sieno malati gravi perchè ciò non impedisce mai al medico coscienzioso di
fare il proprio dovere presso il malato al letto del quale si trova; presso
altri malati accorrano altri medici. 2° È vero che delle ripetute indagini
l’amor proprio locale s’irrita e soffre; ma, lasciando da parte gl’interessati,
esso non deve far perdere di vista agli onesti l’interesse del Paese; nè si sa
di progressi che a loro sieno stati così impediti. Eppoi perchè irritarsi ed
offendersi? non si ha responsabilità dei mali che si sono trovati nascendo. 3°
Il risolvere separatamente e precedentemente il problema della produzione della
ricchezza da quello della distribuzione, non facilita nè avvantaggia in nulla
la soluzione del secondo. In Lombardia il primo non poteva essere svolto più
brillantemente; pure ciò non ha fatto avvicinare di un passo alla soluzione del
secondo. Non si deve dunque limitarci a considerare ora nella Sicilia e nelle
provincie meridionali il problema della produzione della ricchezza, escludendo
deliberatamente tutte le ricerche, tutti i tentativi per avvicinarsi allo
scioglimento di quello della distribuzione. Attualmente nell’Italia tutta e non
solo nelle provincie meridionali il problema sociale va posto così: in qual
modo la produzione, specialmente agricola, possa da un lato accrescersi e
dall’altro distribuirsi.
Questa risposta discende in
linea retta dal convincimento che appunto perchè le diseguaglianze di classe
sono una necessità imprescindibile della convivenza e della civiltà umana, non
si possono fondare e far sussistere gli ordinamenti sociali nè sul solo egoismo
individuale nè sul solo sentimento del sagrifizio. Occorse alquanto tempo prima
che il Colaianni ed altri scrittori siciliani di buona fede rendessero
giustizia ai due volumi dei miei amici; ma gli è che essi non furono subito
conosciuti generalmente. Ce lo spiega un aneddoto che si legge nella prefazione
del già citato volume dell’Alongi. Egli narra che nel 1878, discorrendo con un
Pretore di malandrinaggio e di mafia lo sentì esclamare: «È la prima volta che
trovo un siciliano d’accordo con Sonnino e Franchetti, i quali anzi sono più
moderati nei loro giudizi: ma Ella giovane com’è, esagera facilmente
l’impressione che ne ha ricevuto». — «Scusi, caro Pretore, soggiunge l’Alongi,
io parlo per mia esperienza e mi sono ben guardato dal leggere quelli che tutti
chiamano due romanzi fantastici». Ma s’indusse allora a leggerli ed ecco le
parole con cui prosegue: «Provai subito un’umiliazione profonda vedendo
realmente come quegli egregi signori avevano studiato la Sicilia con affetto e
lealtà, ed arrossii ripensando alla critica interessata, sleale, virulenta, con
cui ne furono rimeritati da noi che dovevamo loro riconoscenza e stima grandi».
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