§ 21. — Carattere e modi di
procedere dei malfattori.
Tale è in Sicilia la posizione
di quegli uomini di ogni carattere e di ogni specie che vivono di ricatti, di
grassazioni, di furti di bestiame, di lettere di scrocco. Si sentono sopra di
essi gli apprezzamenti i più disparati. Alcuni li descrivono come belve. Molti
li dipingono, specialmente se sono briganti veri e propri, come una specie di
eroi sul tipo di quelli di Schiller, protettori del debole e dell’oppresso. Al
nuovo venuto non avvezzo a quell’ambiente e che senta raccontare i fasti
briganteschi, i briganti fanno l’effetto di essere per la massima parte
volgarissimi, mascalzoni assolutamente, privi di qualunque sentimento di
umanità, dotati quasi tutti di grande ardire, reso del resto abbastanza facile
dalla paura generale e dall’aiuto e sostegno che trovano nelle condizioni
sociali. Quelli fra loro che diventano capi di comitive sono molto abili nello
scegliere gli alleati e i nemici, nel misurare con cura la quantità di danni
che posson fare senza provocare una reazione, e nell’assicurare a taluni certi
vantaggi in cambio del danno che cagionano. Pare che di quando in quando sorga
anche fra di loro qualche tipo di romanzo, qualche uomo ardito e generoso; la
cosa non è impossibile in un paese dove la professione di brigante non è
considerata come disonorante. Ma uomini siffatti sono piuttosto rari, e sono
presto trascinati dalla forza delle circostanze a fare come gli altri, molto
più che tutte le loro belle qualità non hanno nell’atto pratico molti effetti,
giacchè i loro compagni fanno quel che non fanno loro.
I modi nei quali esercitano la
loro industria, sono i più variati. Taluni si stabiliscono in una contrada
quasi come un’autorità costituita e riconosciuta, esigono dai proprietari una
specie di tassa quasi regolare per mezzo delle lettere di scrocco. Del resto
assicurano l’incolumità delle persone e degli averi a coloro contro i quali non
hanno ragioni di inimicizia, infliggendo pena pronta e terribile, a quel
malfattore estraneo alla compagnia, che venga a far concorrenza nel loro
territorio. Aumentano il proprio prestigio col far talvolta a qualche
miserabile un leggero benefizio, coll’osservare (non sempre però)
scrupolosamente la parola data e col regolarsi secondo norme tutte loro intorno
al punto di onore. Altri fanno d’ogni cosa un poco: sequestrano il ricco
proprietario e ne esigono una grossa taglia, assassinano il viandante,
arrestano le diligenze, spogliano il miserabile mulattiere delle poche lire che
ha indosso. Tutti più o meno esercitano il furto di bestiame (abigeato). Sono
regolarmente costituiti in banda, oppure girano isolati per la campagna, e
quando si tratti di fare un colpo reclutano uomini fra i colleghi dei paesi o
delle campagne. Alcuni sono malfattori dichiarati, scorazzano le campagne, e se
entrano nei paesi lo fanno quando sono certi di non esser riconosciuti dalla
forza pubblica. Altri menano vita regolare in apparenza, hanno una professione,
vivono in paese; quando sanno di poter commettere qualche grassazione escono in
campagna, consumano il delitto, e la mattina si ritrovano a casa in mezzo alle
consuete occupazioni.
Le relazioni fra i membri di questa
vasta popolazione di malfattori sono le più varie. Si sente perfino talvolta
narrare d’inimicizia fra il tale e il tale altro brigante; spesso un facinoroso
ne uccide un altro per rivalità, per vendetta, o in rissa. Ma più generalmente
la vasta popolazione dei malfattori siciliani d’ogni specie, forma una gran
lega. I più si conoscono fra di loro, almeno di nome; ma pur senza conoscersi
sono pronti, quando l’occasione si presenta, ad unirsi e combinarsi al minimo
cenno. Vari d’origine e di posizione sociale, vari anche nelle specialità del
mal fare, pure si conformano tutti a certe regole tradizionali nate dall’indole
stessa delle circostanze e dalle necessità della loro industria.
Frutto di una lunga esperienza
mantenuta dall’istinto della conservazione, quest’assieme di regole è diventato
come un diritto consuetudinario in vigore nella popolazione dei malfattori
siciliani, e si può compendiare in poche norme. Impedire qualunque denunzia
contro di loro all’autorità per parte di chiunque, e qualunque impedimento al
libero e comodo esercizio del mestiere di malfattori. La sanzione è la vendetta
pronta, terribile, eccessiva anche per l’offesa più leggera, che non esita a
colpire dieci innocenti per il solo sospetto che fra di loro vi sia un
colpevole, pure di imporre alle menti la convinzione che niente è più forte dei
malfattori, e che niuno che li ha offesi può sfuggire la pena. I modi di
applicazione di quelle regole variano poi all’infinito secondo le circostanze,
i luoghi, le persone. In un comune dove l’autorità di pubblica sicurezza
minacciava di prendere il sopravvento, i facinorosi del luogo, nella strada
principale, all’ora in cui è più frequentata, mentre il delegato stava fermo
sull’uscio di una bottega, si strinsero intorno a lui gomito a gomito in un
semicerchio impenetrabile appoggiato al muro, e lo uccisero con una
pistolettata a bruciapelo. Naturalmente la gente ch’era per la strada non sentì
nè vide nulla e nessuno. Un’altra volta, una pattuglia che tornava da una
perlustrazione fu ricevuta al suo ingresso nello stesso paese con una volata di
schioppettate che ne uccise e ferì alcuni. Contro un impiegato che era sul
punto di scuoprire le fila di una associazione di malfattori, fu organizzata
una calunnia, cercato di provocare un processo penale, e per tal modo ne fu
reso necessario l’immediato trasloco. A San Mauro, il capo brigante Rinaldi,
sul semplice sospetto che un proprietario lo avesse denunziato, lo uccide in
campagna. Qualche tempo dopo, entra armato con un compagno nel paese dove sta la
famiglia di questo, all’Ave Maria in mezzo ai villani che tornano dal
lavoro, entra nella casa dove stanno la madre e la sorella dell’ucciso; uccide
la madre con una schioppettata, tira la sorella giù per le scale in istrada, e
la finisce a coltellate. E ciò a pochi passi dalla casina di società piena di
gente, e dalla caserma dei carabinieri; poi se ne va. Il medesimo brigante,
alle porte dello stesso paese, uccise con una fucilata uno, per aver detto (in
termini più energici però) che si curava poco di lui. Nel medesimo paese, un
membro della stessa banda ferisce a morte per rancori personali una persona
amata da tutti. Mentre si portava il viatico al moribondo e la campana suonava
a morto, e davanti all’uscio di casa stava una folla di gente a piangere,
urlare e lamentarsi, l’assassino, uomo basso e smilzo della persona, se ne
stava di faccia alla casa del morente appoggiato al muro, colle braccia
incrociate e un bastone in mano; tutti lo vedevano e nessuno, in tutta quella
folla, osava avvicinarlo. Il paese era occupato militarmente dai bersaglieri.
Ventiquattr’ore dopo si venne a raccontare a uno degli ufficiali la presenza di
quell’uomo.
I briganti sono talmente sicuri
del loro prestigio, della loro autorità sopra tutte le classi della
popolazione, sentono talmente di far parte integrante e riconosciuta della
società, che spesso non provano il bisogno di esser brutali, e conservano
talvolta nei loro atti più violenti, la massima cortesia nelle forme. Un gran
proprietario viene a passar qualche giorno in una sua villa. Durante la notte
si sente picchiare alla porta. Sono i briganti che protestano di non volergli
fare nessun male, ma chiedono solamente di riverirlo e di baciargli la mano. Il
proprietario si scusò come potè dal riceverli, e la mattina dopo se ne andò per
non più tornare sulle sue terre.
Un altro ricco proprietario era
stato sequestrato dai briganti. Mentre si trattava del ricatto, i briganti lo
fecero per più giorni girare per monti e dirupi, usando però sempre con lui i
modi più cortesi e rispettosi, cucinandogli dei pasti ricercati per quanto lo
permettevano le circostanze. Pagato il ricatto, il capo brigante gli chiese
dove voleva essere ricondotto. Il signore indicò un paese. Appena fattasi la
notte, la banda si incammina con lui, e si ferma nell’immediata vicinanza del
paese indicato. Il capo brigante prega il signore di scusarlo se per ragioni
che può facilmente capire non lo accompagna fino dentro l’abitato, gli chiede
scusa di ciò che gli è stato fatto, allegando le circostanze, la necessità
della sua condizione, la durezza dei tempi, ecc., poi ordina ai suoi uomini di
scendere da cavallo e di baciar la mano al signore. Egli stesso principia, gli
altri gli vengono dietro. Poi dànno la via al proprietario. Questi era libero,
e aveva pagato 130,000 lire.
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