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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE PRIMA                       CONDIZIONI ATTUALI
      • Capitolo V.   CONDIZIONI GENERALI DEI CONTADINI
        • § 56. — Amministrazioni comunali.
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§ 56. — Amministrazioni comunali.

La classe dei cosiddetti galantuomini ha in mano tutte le amministrazioni comunali, e inoltre la gestione di tutto il denaro delle Opere pie.

 

Imposte.

Quanto al modo in cui si vale delle amministrazioni comunali a suo profitto, ed a danno della classe dei contadini, basterebbe esaminare Comune per Comune i ruoli delle imposte per averne qualche idea. Così noi troveremo generalmente imposta in modo gravissimo la tassa sulle bestie da tiro e soma, ossia principalmente sui muli e sui cavalli, che sono la proprietà maggiore dei contadini; e invece raramente e in proporzioni minime la tassa vera sul bestiame, ossia sulle vacche e sui bovi, perchè questi sono posseduti dai proprietari. Il contadino paga in moltissimi luoghi fino a 8 lire per un mulo, o 5 lire per un asino, e il proprietario e il gabellotto non pagano nulla, o relativamente pochissimo, per centinaia di vacche o di bovi. La tassa comunale sulle bestie da tiro e da soma ammontava in Sicilia nel 1874 a 589,557 lire, mentre la tassa sul bestiame non era che di 146,493 lire.

E lo stesso fenomeno si presenta se esaminiamo le cifre del dazio consumo comunale, e quelle della sovrimposta comunale sui terreni. Si tenga in mente come in Sicilia la immensa maggioranza della popolazione delle città, e talvolta la quasi totalità, è composta di contadini e delle loro famiglie; e la cifra di L. 10,332,081 di provento del dazio consumo comunale (1874) di fronte a quella di L. 2,857,110 della sovrimposta sui terreni, diventa molto significativa.

Oppure, per meglio isolare il fenomeno, si paragonino le due tasse in Sicilia e in Toscana, prendendo soltanto come termini di paragone i Comuni rurali, i quali, se in Toscana contengono pure una numerosa classe cittadina raccolta nei centri di meno di 6000 anime, in Sicilia sono invece esclusivamente abitati da campagnuoli. In Toscana pei Comuni rurali, anno 1874, abbiamo 484,235 lire di dazio consumo comunale contro L. 5,058,140 di sovrimposta sui terreni, mentre la Sicilia ci dà L. 611,294 di dazio consumo comunale contro L. 1,097,173 di sovrimposta fondiaria. E ciò mentre i Comuni rurali in Toscana (1871) contano una popolazione di 1,562,294 abitanti, di cui una buona frazione non appartiene alla classe campagnuola, onde una gran parte del dazio consumo comunale non aggrava i contadini, e invece in Sicilia la popolazione dei Comuni rurali è di 779,514, quasi tutti agricoltori, i quali abitando nei centri pagano il dazio per ogni litro di farina che consumano. Non sono pochi i Comuni in Sicilia dove nulla si sovrimpone sulla fondiaria, e tutto invece si aggrava sul dazio consumo.

E che dire poi dell’imposta comunale sul macinato, che si riscuote da dieci anni in un Comune importante dell’Isola, con piena annuenza della prefettura; e valendosi per la riscossione dell’antico sistema delle bollette, usato prima del 1860 dal Governo borbonico!!

La cifra complessiva della tassa di famiglia non ci rivela nulla, ma se vorremo girare i singoli Comuni troveremo le stesse ingiustizie di repartizione tra le diverse classi. Il minimo e il maximum della tassa variano molto secondo i Comuni: qua l’imposta anderà da 2 lire a 50; là da L. 5 a 80, a 100; o anche da L. 10 a 80: ma dovunque troveremo una sproporzione nella repartizione. Il metatiere pagherà da 5 a 10 lire, o il giornaliere da 2 a 5, dove due o tre signori ricchissimi pagheranno il maximum di 50 o di 100 lire, e tutta la classe di borghesi e di proprietari agiati pagheranno 20 o 30 lire.

Quanto alle spese dei Comuni, poco si può ricavare dalle statistiche troppo generiche, ma chi giri ora la Sicilia rimane sorpreso del grande numero di teatri comunali stati eretti dal 1860 in qua, o che tuttora si stanno costruendo. È venuta dappertutto nei municipii la manìa, la furia delle spese di lusso, e specialmente di quella del teatro: si sente di migliaia di lire spese in costruzione e riparazione di teatri, e di ricche sovvenzioni annue pagate per rappresentazioni di opera e ballo da municipii, che mancano ancora quasi affatto di strade, o almeno son lontani dall’aver nemmen messo mano a tutte quelle che loro incombono per legge, e i quali difettano di cimiteri, e di medico condotto.

L’accentramento poi dei contadini nelle città rende difficile più che altrove la nettezza pubblica, e la rigida applicazione dei regolamenti municipali; e anche qui troviamo esempi del come alcune volte un progresso necessario ed imprescindibile arreca con sè danni gravi e senza compenso a numerose classi della popolazione. Così in molte città dell’Isola si è voluto togliere lo sconcio dei maiali che girano liberi per la strada, e si sono imposte gravi multe ai contravventori, onde il contadino il quale non ha che una stanza per abitazione e non può girare a cercare il nutrimento per il suo maiale, ha dovuto privarsi di allevarne, e ha così perduto, con grave sacrificio, una sorgente di guadagno. In altri luoghi invece i contadini hanno dovuto rinunziare a tenere il maiale per non aver potuto soddisfare ai forti depositi che si richiedevano da loro, come cauzione per il pagamento del dazio consumo al momento della vendita.

 

Opere pie.

Tutto ciò è triste; ma lo spettacolo diventa più doloroso ancora se dalle amministrazioni comunali, ci volgiamo a considerare le Opere pie, e le condizioni della beneficenza pubblica in Sicilia. I Monti frumentari sono diventati quasi dappertutto un mezzo nelle mani degli amministratori per esercitare l’usura per conto proprio e su più vasta scala. Questi prestano il grano del monte a sè medesimi per poi concederlo contro l’usura del 25% per sette mesi, o per meno ancora, ai contadini poveri, altri hanno già consumato anche il capitale, e non ci resta più nulla per nessuno.

Le Opere pie sono considerate in genere dalla classe che le amministra come un campo che deve sfruttare per suo proprio vantaggio254. Per gli onesti sono un mezzo d’influenza, e di favoritismo; per i meno onesti una sorgente di facili lucri e d’illeciti guadagni. Il popolo lo sa, mormora e freme; ma non può far nulla.

 

 




254 Citiamo come un esempio tra molti, un caso curioso narratoci da un egregio corrispondente molto pratico della materia e sulla cui buona fede ed imparzialità non può cadere il menomo dubbio. — Il principe Carlo Cottoni di Castelnuovo, una delle più belle e nobili figure della storia siciliana, quello stesso che istituì e dotò l’Istituto agrario che tuttora prospera presso Palermo, e il quale morente legava la somma di 500,000 lire a chi avrebbe indotto il Sovrano a ridare la costituzione del 1812 alla Sicilia, volle pure istituire per testamento (1829) a beneficio del comune di X.... in provincia di Caltanissetta, un ospedale, una casa di educazione per le fanciulle, ed una scuola elementare. La disposizione testamentaria comincia così: «Quantunque non abbia ricevuto che dispiaceri dal comune di X.... e non isperi che quella popolazione sia per mutar costume, pure avendola amata sempre, lego ecc.». Lasciava inoltre una cospicua somma perchè servisse alla costruzione di strade che unissero quel paese con gli altri vicini. E continuava: «Siccome non conosco altra persona onesta che il tal di tale, lo delego come amministratore, vita durante». Lui morto, doveva amministrare il capo dell’Amministrazione comunale, sotto la sorveglianza dell’Intendente della provincia.

L’ospedale fu fatto, e lo cominciò il primo amministratore. Vi sono direttori, economi, cappellani, segretari, farmacisti, inservienti, tutto fuorchè ammalati: esisteva perfino tempo fa, un incaricato a Firenze per riscuotere la rendita sul Debito Pubblico intestata, e riceveva per questo lire 1200 di stipendio annuo. Di strade non si parlò per 40 anni, e non si fecero nemmeno gli studi preparatorii: le rendite servirono ad altri usi, e ci volle un vero colpo di mano per portar via dalle casse del Comune, sei anni addietro, i valori che rimanevano, per cominciare finalmente ad impiegarli al fine voluto dal testatore.






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