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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE SECONDA                       CARATTERI ECONOMICI DEI CONTRATTI AGRICOLI SICILIANI
      • Capitolo I.   LA PARTECIPAZIONE DEL LAVORANTE AL PRODOTTO
        • § 66. — Condizioni all’impero della consuetudine.
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§ 66. — Condizioni all’impero della consuetudine.

Ma quali sono le condizioni a cui si possa ottenere l’impero di una consuetudine come quella di cui parliamo, la quale opponendosi all’azione della concorrenza, renda possibile al mezzadro di godere progressivamente di una parte della rendita fondiaria, e faccia così della mezzadrìa un vero stadio di transizione dall’attuale latifondo alla piccola proprietà coi contadini proprietari? — Queste condizioni sono varie e complesse, e dipendono da molte circostanze di fatto. Ne enumereremo alcune delle principali:

 

Deve abbracciare tutta l’azienda rurale.

1° Che la partecipazione abbracci tutte quante le colture esistenti sopra il podere, e che queste colture siano abbastanza varie per offrire a esse sole lavoro e guadagno sufficiente al mezzadro nelle diverse stagioni dell’anno. La ragione è che ogni volta che all’infuori delle colture date in partecipazione, vi siano annesse al podere altre colture date a fitto, oppure lavori di una qualche importanza che il mezzadro debba eseguire a giornata, la concorrenza torna a farsi valere a danno della consuetudine, e coll’aumentare del fitto o colla riduzione dei salari pattuiti per quelle colture non comprese nella partecipazione, viene effettivamente a scemare la parte del lavorante anche nelle colture che vi sono comprese. Questo fenomeno non è ipotetico, ma accade realmente dovunque vi è un contratto misto di fitto e di mezzadrìa, come, per esempio, nell’alto Milanese, dove la produzione del suolo è affittata contro tante moggia di grano, mentre quella del soprassuolo è data al contadino in partecipazione. E lo stesso si riscontra pure dovunque il contratto di partecipazione va unito al patto che il contadino debba dare senza limite le sue giornate al padrone a un prezzo ridotto, e che nel fatto un gran numero di lavori agricoli si facciano così eseguire per conto padronale; come avviene, a mo’ d’esempio, in alcuni luoghi dell’alto Milanese, e più ancora nei contratti coi paisani in tutta la bassa pianura del Po.

Nell’alto Milanese difatti troviamo che coll’aumento del fitto in grano per il suolo, e coll’impiego di un gran numero di giornate del contadino a un prezzo infimo, i proprietari poterono ridurre effettivamente il guadagno del contadino per la sua metà dei bozzoli, quando questi aumentarono di prezzo, anche là dove non ardirono toccare alla quota di divisione. Là dunque la consuetudine mantenne il suo impero nella formale divisione del prodotto dei bozzoli, ma la partecipazione non essendo complessiva e non abbracciando tutta quanta l’azienda agricola, vi fu nella realtà un mutamento nei patti, e tale da riescire più grave ancora per il contadino che se si fosse mutata soltanto la quota di divisione; giacchè l’aumento delle prestazioni imposte al contadino è rimasto poi fisso, anche in quegli anni in cui i bozzoli sono tornati a rinviliare, o in cui ne è fallita la produzione.

Un fenomeno analogo si verifica nella bassa Lombardia, dove la partecipazione del paisano nella coltivazione del riso e del granturco, non rappresenta più la semplice retribuzione pel suo lavoro in quelle colture, ma deve inoltre compensarlo per l’insufficientissimo salario che gli vien pagato per le sue giornate in tutto l’anno — comunemente nell’estate di L. 0.66, e d’inverno L. 0.50, ma spesso pure d’estate di L. 0.50 e d’inverno L. 0.40 o anche L. 0.33: — donde risulta uno stato di cose in cui si vede il contadino che lavora tutto l’anno per conto del padrone per un salario insufficientissimo a mantenerlo in vita, e il quale riceve per colmare questa insufficienza una magra partecipazione in altre colture, ch’egli deve necessariamente condurre col lavoro delle sue donne.

Senza continuare più oltre questa esemplificazione, ci pare di aver detto abbastanza per convincere il lettore della necessità di una varietà di colture nell’azienda rurale condotta a colonìa parziaria, e della ulteriore necessità che la partecipazione si applichi a tutte quante queste colture, e fornisca per sè stessa il guadagno principale del contadino, e tale che basti alla sua sussistenza; senza che patti accessori di giornate a salario ridotto, o di un’infinità di altre piccole prestazioni, possano indirettamente e copertamente aprire il varco ai proprietari per profittare della concorrenza, all’effetto di operare una vera e propria riduzione della quota che spetta al contadino nella produzione complessiva. Sinchè questi patti accessori rimangono veramente tali, e di una entità minima nell’azienda complessiva, essi non presentano pericoli, e possono giustificarsi come quelli che mirano ad eguagliare in parte le condizioni così varie di fertilità e di produzione tra i diversi poderi; ma appena si veda in un luogo, che essi cominciano a crescere, e che tendono a prendere una vera importanza nel numero degl’introiti padronali, si può presagire che là la mezzadrìa non sarà più efficace a salvare il contadino dalla condizione misera e abbietta in cui giace la gran massa della popolazione rurale d’Italia.

 

Semplicità ed uniformità dei patti.

2° Dalle stesse considerazioni ora fatte, risulta pure la necessità di un’altra condizione nel contratto di mezzadrìa, perchè la consuetudine vi possa mantenere il suo impero; ed è quella della semplicità, e della uniformità dei patti di partecipazione. Non importa forse tanto per il benessere del lavorante che la sua parte sia di una metà oppure di un terzo del prodotto, quanto che quella quota qualsiasi di divisione sia generale e uniforme per tutte le colture che si trovano nel podere. È così soltanto che si escludono le rinnovate contrattazioni particolari tra contadino e proprietario, nelle quali riprende inevitabilmente il suo impero quello stiracchiare del mercato, che è, come c’insegna Adamo Smith, arbitro dei prezzi dove la concorrenza è libera.

Dove invece il patto di partecipazione è semplice ed uniforme per tutte le colture, nasce spontanea la consuetudine, la quale prende poi forza di legge per opera dell’opinione pubblica. La varietà inoltre delle colture fa sì che le sperequazioni, che per fatto delle quote uniformi di divisione possono avvenire nella repartizione del prodotto di una delle coltivazioni tra terra, capitale e lavoro, vengono a essere compensate dalle condizioni opposte di un’altra.

 

Permanenza sul podere.

3° Evvi una terza condizione indispensabile a che la concorrenza non eserciti la sua pressione continua sui patti della mezzadrìa; ed è quella di un’agricoltura che consenta al contadino di lavorare un anno dopo l’altro sugli stessi campi, e di vivere del prodotto di questi. Ove ciò non avvenga, ove al termine di ogni anno, o di ogni due o tre anni, il contadino debba trasferirsi con armi e bagagli, per le necessità dell’avvicendamento agricolo generale di un latifondo, da un appezzamento di terra ad un altro, sia pure restando nella stessa tenuta e sottoposto allo stesso proprietario, è inevitabile che il contratto a ogni scadenza si rinnuovi con condizioni diverse; che ogni volta vi siano nuove contrattazioni tra proprietario e contadino, le quali vengono a risentire necessariamente l’azione delle condizioni generali del mercato. Onde nel fatto ogni consuetudine generale viene esclusa, e il proprietario potrà prevalersi e si prevarrà delle necessità momentanee del colono per stringergli i patti, e togliergli per lo meno ogni partecipazione nella rendita fondiaria. Il che avverrà tanto più naturalmente, in quanto è intima opinione dell’universale che la rendita fondiaria debba tutta spettare per diritto divino al solo proprietario del suolo; senza che alcuno tenga conto del fatto che la proprietà privata territoriale nella sua forma quiritaria, è una creazione della legge, intesa soltanto a promuovere ed a sviluppare, nell’interesse universale, l’industria agricola, la quale non ha economicamente alcun rapporto necessario colla rendita fondiaria.

 

 




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