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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE TERZA                       RIMEDI E PROPOSTE
      • Capitolo II.   L’AZIONE DEI PROPRIETARI
        • § 113. — Le grandi aziende condotte direttamente dai proprietari.
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§ 113. — Le grandi aziende condotte direttamente dai proprietari.

Prendiamo ora un terzo caso, che vorremmo certo preferire a quelli già supposti; ed è quello che il proprietario voglia condurre a economia o a mano la coltivazione del proprio latifondo, sia attendendovi da sè, e sarà il meglio, sia per mezzo di un fattore intelligente e di fiducia. Del resto, quel che diremo qui, può valere pure in parte per il caso del grosso affittuario di cui nel paragrafo precedente.

In questi casi, lo ripetiamo, ove il proprietario non veda nell’industria agricola da lui esercitata che un modo qualunque di far denari, senza sentire i doveri che gli incombono per la stessa sua posizione privilegiata di proprietario, oltrechè come uomo e come cittadino, e senza apprezzare tutti i vantaggi morali e sociali che deriverebbero a tutti da un rialzamento della condizione generale dei contadini, è indubitato che i guadagni e la posizione di questi saranno determinati esclusivamente dalla mutua concorrenza, sempre forte, dei lavoranti agricoli, di fronte a quella dei proprietari, sempre minima fuorchè in alcuni mesi dell’anno, e sempre frenata dal tacito accordo.

Ma vogliamo ora supporre che i proprietari si risolvano, per considerazioni morali o economiche, o mossi da paura di futuri sconvolgimenti, ad ordinare nel modo migliore i loro rapporti coi contadini, senza perdita propria, senza far doni nè elemosine, nè incontrar sacrifizi, ma considerando il contadino come un uomo e non come un mero strumento di lucro, e desiderando di togliere per quanto sia possibile l’attuale discordanza tra l’interesse del lavorante e quello del proprietario o capitalista: in qual modo dovrebbero essi regolare i patti colonici nei latifondi che conducessero da sè? — Per poter rispondere con sicurezza a un tal quesito, occorrerebbe aver dinanzi a sè i risultati di una inchiesta agricola minuziosa e completa che abbracciasse tutte le regioni d’Italia, inchiesta che è nel voto di molti, ma che probabilmente non si farà per un gran tempo ancora. Noi non possiamo qui che indicare sommariamente e a guisa di appunti, alcune idee in proposito.

Nel nostro supposto, la forma generale del contratto agricolo dovrebbe esser quella del salariato; ma la questione può presentarsi diversamente di fronte ai diversi ordini di salariati, che possiamo distinguere in: 1° salariati fissi per tutto l’anno con dimora stabile sul fondo; 2° braccianti liberi che ricevono volta per volta la loro giornata, e che abitando non lontanissimi dal fondo vengono impiegati con una certa regolarità nelle diverse stagioni dell’anno; 3° braccianti avventizi che immigrano da lontano durante i mesi dei grandi lavori, finiti i quali se ne tornano ai loro paesi. Diremo prima di questi ultimi.

 

Immigrazioni temporanee di braccianti.

L’industria agricola, e più particolarmente quando sia condotta su vasta scala, presenta la difficoltà speciale del dover conciliare il grande bisogno di braccia in alcuni mesi dell’anno, colla scarsità dei lavori nelle altre stagioni. A questo si ripara ora colle regolari immigrazioni temporanee di braccianti; e dove si mantenesse nella maggior parte dell’Isola la grande coltura, non v’ha dubbio che queste immigrazioni sarebbero sempre una necessità, benchè riducibili a proporzioni minori. Di fronte a questi immigranti nulla vi può essere da osservare relativamente ai contratti; non vi è per loro altro sistema possibile che il salario, e la sola diversità può essere il lavoro a cottimo, invece del lavoro a tempo. Ai proprietari però incombe il dovere solenne di costruire senza indugio caseggiati atti a riparare convenientemente durante la notte quella gente avventizia, e di così togliere subito almeno una delle cause di patimenti, di degradazione, di malattia e di morte per quegl’infelici.

Al guaio proprio della grande coltura, della sproporzione nel bisogno di braccia nelle diverse stagioni dell’anno, riparerà efficacemente in avvenire la progressiva sostituzione nei lavori agricoli delle forze meccaniche a quelle muscolari dell’uomo; e non sarà questo il minore tra i benefizi di quella grande vittoria dello spirito sulla materia, di quel progressivo asservimento della natura alla soddisfazione dei bisogni umani, che toglie ogni necessità storica all’asservimento dell’uomo all’uomo. Dovremo però riparlare più qua della questione delle macchine.

Date le immigrazioni temporanee di lavoranti per i lavori straordinari, dobbiamo supporre che la popolazione agricola che risiede stabilmente sopra un territorio sia all’incirca proporzionata ai lavori ordinari che vi si richiedono tutto l’anno.

In ogni fattoria poi si dovrà impiegare in modo fisso, concedendogli dimora stabile sul fondo, quel numero di lavoranti cui si potrà dar lavoro continuo durante tutto l’anno sul fondo stesso; questi lavoranti chiameremo, per comodo di ragionamento, salariati fissi296. Ma all’infuori di questi, vi sarà un certo numero di braccianti che potrà trovare impiego continuo durante la maggior parte dell’anno nello stesso territorio, ma mutando di fattoria in fattoria secondo i diversi bisogni locali, e questi, che chiameremo semplicemente giornalieri, comprendono tutti quei braccianti che dimorando nelle borgate e nei villaggi locano attualmente l’opera loro a giornata.

Supponendo ora che i proprietari si ponessero a coltivare a economia i loro latifondi, il numero dei salariati fissi aumenterebbe di molto di fronte a quello attuale degl’impiegati dei feudi, giacchè ora una grandissima parte dei lavori di coltivazione sono eseguiti per mezzo dei metatieri e dei terratichieri: ma non sparirebbe perciò la classe dei giornalieri, una gran parte dei quali inoltre troverebbe occupazione in alcune stagioni dell’anno nelle colture più minute e più intensive dei pressi delle città.

 

 




296 Vedi: Basile, I caseggiati rurali, pagg. 36-38, e 40-42, e per un’ampia discussione delle questioni generali il bel lavoro di Von der Goltz, Die ländliche Arbeiterfrage und ihre Lösung. 2.te Auflage. Danzig, 1874, da pag. 164 a 306. — È peccato che manchi ancora una versione italiana di quest’opera.






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