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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino La Sicilia nel 1876 IntraText CT - Lettura del testo |
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VIII.
Più nobilmente non avrebbero potuto chiudersi nè il casuale contraddittorio nè la voluta polemica che io ho voluto rievocare: ma ben altro tono raggiunsero le recriminazioni contro il Franchetti ed il Sonnino nella maggior parte dei giornali dell’Isola. Non solo si è protestato, ma siccome ebbe a scrivermi il Franchetti quando ero al Messico, si è gridato inferociti contro i due calunniatori, citando concetti e perfino frasi che non erano loro affatto9. Anche i giornali del continente trascinati dalla profonda impressione destata ovunque da così gravi rivelazioni, non furono avari di recensioni ispirate naturalmente alle diverse dottrine politiche ed economiche che professavano. La stessa stampa estera volle occuparsene. In Inghilterra, oltre i giornali quotidiani, accolsero notevolissimi articoli la Saturday Review e l’Edimburg’s Review; in Germania la National Zeitung dove l’Hillebrand in un seguito di numeri diè nuova prova della sua grande competenza nel ragionare delle cose italiane10. Tra le varie Riviste nostre che si pubblicavano allora, la Nuova Antologia tacque, ma il Giornale degli Economisti, autorevolissima rivista mensile edita in Padova, ospitò nel dicembre parecchie pagine del Luzzatti sul solo volume del Sonnino, perchè l’altro non era ancora uscito in luce, e nel gennaio successivo un ampio raffronto del deputato Morpurgo, appunto sulle due Inchieste, sotto il titolo «La vita siciliana secondo gli ultimi studi». Il Luzzatti, pure nel suo esame parziale, volle accomunare nei suoi elogi i due giovani «accintisi alla grande e difficile impresa di far conoscere i dolori e le deficienze della Sicilia, che anche nei loro scritti individuali facevano sentire la stessa ispirazione superiore essenzialmente virtuosa e la promiscua nota della collaborazione». Rivelando alcune confidenze fattegli dal Corleo sugli insufficienti risultati della censuazione in Sicilia, afferma anch’egli che quei beni ecclesiastici furono sperperati e trova che valeva meglio che lo Stato li avesse tenuti per sè, perchè ne sarebbe accresciuto il valore con l’aumento naturale della popolazione e si sarebbe potuto ponderare con maggior diligenza il modo di distribuirli a prezzo equo fra la popolazione «in guisa da rialzarne veramente la dignità ed il carattere»; il qual disegno ha per altro il difetto di non tener conto dell’urgenza del problema siciliano e delle difficoltà di una gestione di Stato, anche se transitoria. Più felice egli è quando ricorda la recente inchiesta industriale, della quale aveva gran merito, e interviene nel dissenso fra la Relazione della Giunta e il Sonnino circa il danno che una riforma della Legge sul lavoro dei fanciulli poteva portare alle loro famiglie, aggiungendo che il preferire una soluzione affidata ai progressi della meccanica, non lo eliminerebbe nè lo ritarderebbe. Dice la parte in cui il Sonnino tratta dell’azione dello Stato soverchiamente disinvolta, la sua dottrina sulla proprietà fondiaria poco rispettosa dei principii economici e giuridici, ed alcune proposte sui contratti agrari troppo vincolatrici; al qual proposito promette pel prossimo numero un più disteso articolo del quale non fu saputo mai. L’on. Morpurgo, nel suo «Quadro della vita siciliana secondo gli ultimi studi» cade in qualche contraddizione. Egli narra per esempio di aver appreso in quegli stessi giorni dalla viva voce di un siciliano che un proprietario facoltoso sequestrato dai briganti, avendo potuto sfuggire loro di mano, mostrò del danaro a un suo campiere, gli fece sentire che il proprio sequestro era uno sfregio anche per lui e così gli lasciò comprendere che voleva essere vendicato. Il campiere si eclissò per qualche tempo e quando tornò, morte violenta aveva già soppresso parecchie persone indiziate di responsabilità nel sequestro; ma riferisce anche di un colloquio con quell’eletto ingegno che fu Matteo Raeli, dal quale s’è lasciato dire senza confutarlo che il persistente travaglio della sicurezza pubblica nella vita siciliana era soltanto un episodio contro il quale era un errore e una fallace illusione il combattere con l’occupazione militare e gli espedienti di polizia: ora, se pure si tratta di un episodio, tragico com’è, prevarranno bensì in un lontano avvenire le tanto più diffuse virtù sanatrici, ma intanto come lasciarlo radicarsi e dilagare?... Ed egli plaude del pari sia alla sollecitudine inquisitrice del Parlamento, sia alla concorrente iniziativa privata così piena di carità civile, e rimane perplesso fra l’una e l’altra esposizione dei termini del problema, fra le une e l’altre proposte di soluzione: dapprima gli pare che la Relazione della Giunta pecchi di soverchio ottimismo, e più oltre si dice tratto a dichiarare che un provvido risveglio non possa essere che questione di tempo: «lasciamo acclimatare i nuovi ordini civili, sperimentare gli uomini e le leggi, agire le virtù dell’esempio, acquistar forza l’opinione nuova e i fattori ond’essa si compone, e il rivolgimento si compirà senza alcun dubbio»; più innanzi poi condanna i timori, i dubbii, i dottrinarismi tradizionali come il peggiore dei pericoli e prosegue: «Il non fare, il lasciar fare sembra già un principio di utilità molto problematica in condizioni sufficientemente normali; l’assurdità di esso non potrebb’essere controversa in mezzo ad una società che deve guadagnare con velocità accelerata il tempo perduto.... Un governo operoso e forte, ecco la formola. Non vi dev’essere in Sicilia alcun bisogno ch’esso non sia pronto a curare, non repressione necessaria che rimanga sospesa o che sia ritardata». Dolse molto al Franchetti che non si fosse preso in esame diligente e più ampio un lavoro di tanta responsabilità e di tanto interesse per il paese e, nello scrupolo della coscienza, voleva che gliene ragionassi di nuovo. «In fondo in fondo, mi scriveva, mi pare che anche in mezzo alle nostre discussioni vi fosse accordo e che i due volumi sieno un riassunto abbastanza fedele delle nostre triplici impressioni; ma letto il libro, vorrei tu mi scrivessi che ne pensi.... Sono molto impaziente di avere il tuo giudizio». Quando poi gli ebbi inviato qualche appunto critico mi replicò senza indugio: «Convengo in moltissime delle tue osservazioni, anche laddove accenni a trascuratezze di forma e di coordinamento, e a ripetizioni; ma il tempo mi è mancato per far meglio. Era necessario che il libro uscisse prima della nuova discussione parlamentare, e fu principiato a stampare il 27 novembre, quando avevo riveduto appena i tre quarti del manoscritto del primo capitolo. Di più, giunto a discorrere della Pubblica Sicurezza, trovai talmente impaccioso distinguere fra le caratteristiche generali dell’Isola e quelle particolari della Provincia di Palermo che mi decisi a spendere tre o quattro giorni per raffazzonare il già fatto e trarne fuori quello che è adesso la Prima Parte. Nel suggerire i rimedi particolari per ristabilire la Pubblica Sicurezza non ho difatti pensato a fermarmi di più su uno principale se non unico. Può sembrare ch’io abbia divagato nell’esame dei tanti, ma il mio convincimento è (ed ho cercato ripetutamente di esprimerlo) che pochi non basterebbero. Con la proposta che per tutti i delitti aventi connessione fra loro a motivo del fine si abbiano a ricercare, arrestare, e sottoporre a giudizio tutti quanti avessero con quei delitti attinenza lontana o vicina, non mi riferisco già ai parenti, spesso innocui, degli indiziati, ma a coloro in rapporto con questi che potrebbero intimidire i testimoni o fossero sospetti per aver commesso qualche violenza. Arresti su così larga base possono essere di difficile effettuazione, ma non mi pare di avere trasgredito alle raccomandazioni fattemi da te e da Sonnino di evitare per quanto possibile ogni proposta di provvedimenti eccezionali; raccomandazioni che trovarono bensì eco anche nei miei convincimenti, ma non senza riserve come ho esposto nel mio ultimo capitolo. Così mi sono lasciato andare alla proposta di aumentare enormemente le ingerenze dei Prefetti e speravo che fosse studiata meglio e discussa, ma ahimè!, fu un’illusione la mia l’aspettarmi che il nostro lavoro potesse venire seriamente esaminato e discusso». L’amarezza del Franchetti è da sperarsi che sia venuta mitigandosi con la lettura di successive recensioni, ma specialmente quando nella Rassegna settimanale, una lettera di Antonio Salandra aprì un’ampia discussione sulla esistenza della questione sociale in Italia e sul miglior modo di adoperarsi per la sua soluzione. Con essa portavasi senz’altro in campo aperto la lotta di scuole e di tendenze11. Il futuro Presidente del Consiglio, non ancora deputato, trasse occasione della pubblicazione del volume del Villari Le lettere meridionali e di altri scritti sulla questione sociale in Italia (Firenze, success. Le Monnier), per dar saggio di quella vivace opposizione che com’egli dice egregiamente, doveva riescire gradita all’A., perchè atta a richiamare l’attenzione generale sulle questioni da lui suscitate meglio del tacito consenso che suole essere l’espressione dell’indifferenza più che dell’approvazione. E proseguiva: «Non serve prolungar la disputa sull’esistenza della questione sociale in Italia. Se per questione sociale s’intende esclusivamente la forma che la lotta fra le classi ha assunto presso i popoli nei quali l’industrialismo è più progredito, si può dire che noi non siamo fra questi popoli, non l’abbiamo; ma se per essa s’intende quella condizione di cose che deriva dall’esistenza di una classe di cittadini cui è precluso l’adito a giovarsi dei beni, anche infimi della civiltà, è innegabile che fra noi una questione sociale esiste e gravissima; non importa che il fenomeno col quale si rivela non sia lo sciopero, ma il brigantaggio e l’emigrazione.... Non è giusto rimproverare aspramente al Governo italiano di non aver curato l’adempimento del suo grande dovere di occuparsene. Raffermare l’esistenza politica ed economica dello Stato doveva essere la sua prima e massima preoccupazione.... ed è utilissimo che vi sia ora chi si sforzi a muovere una corrente di opinione che possa costringere Governo e Parlamento al nuovo còmpito». Il Salandra riduceva a tre le sue osservazioni. 1° Convien guardarsi dal porre troppo in rilievo come nostri speciali alcuni mali che pur sono di tutte le società anche le più civili, e dall’insistere nell’attribuirli più particolarmente ad alcune parti d’Italia, perchè si potrebbe nuocere alla diffusione delle idee di riforma tra i meglio disposti localmente. 2° Se vogliamo che le classi dirigenti italiane riconoscano, come dice il Villari, il sacrosanto dovere di aiutare le classi abbandonate alla miseria ed alla fame, oppresse in mezzo alla libertà, poniamole in grado di farlo elargendo loro una coltura e un’educazione superiore, e non inaspriamole con atti di accusa nè condanniamole senza appello. 3° Il problema sociale è oggi di produzione, non ancora di distribuzione della ricchezza. Hanno diritto a provvedere ad una migliore distribuzione della ricchezza quei popoli soltanto che hanno già risolto il problema di una grande produzione. Per non cadere in un certo Gefühlsocialism (socialismo sentimentale) che pur non suscitando agitazioni pericolose, può cagionare uno spreco di forze intellettuali e morali, bisognerebbe persuadersi che i sagrifizi delle classi abbienti hanno un limite inesorabile, e, per allontanarlo, non c’è che evitare l’abbassamento della loro capacità contributiva. Riassumo anche le risposte della Rassegna. 1° Affinchè i mali delle varie regioni d’Italia possano venire curati, è assolutamente necessario che vengano prima studiati ed analizzati e da esse e dall’Italia tutta con la maggiore pubblicità: tacendone ed attenuandoli mancherebbe ogni coscienza ed ogni guida per qualunque riforma risanatrice: nè può valer l’obiezione che anche altrove vi sieno malati gravi perchè ciò non impedisce mai al medico coscienzioso di fare il proprio dovere presso il malato al letto del quale si trova; presso altri malati accorrano altri medici. 2° È vero che delle ripetute indagini l’amor proprio locale s’irrita e soffre; ma, lasciando da parte gl’interessati, esso non deve far perdere di vista agli onesti l’interesse del Paese; nè si sa di progressi che a loro sieno stati così impediti. Eppoi perchè irritarsi ed offendersi? non si ha responsabilità dei mali che si sono trovati nascendo. 3° Il risolvere separatamente e precedentemente il problema della produzione della ricchezza da quello della distribuzione, non facilita nè avvantaggia in nulla la soluzione del secondo. In Lombardia il primo non poteva essere svolto più brillantemente; pure ciò non ha fatto avvicinare di un passo alla soluzione del secondo. Non si deve dunque limitarci a considerare ora nella Sicilia e nelle provincie meridionali il problema della produzione della ricchezza, escludendo deliberatamente tutte le ricerche, tutti i tentativi per avvicinarsi allo scioglimento di quello della distribuzione. Attualmente nell’Italia tutta e non solo nelle provincie meridionali il problema sociale va posto così: in qual modo la produzione, specialmente agricola, possa da un lato accrescersi e dall’altro distribuirsi. Questa risposta discende in linea retta dal convincimento che appunto perchè le diseguaglianze di classe sono una necessità imprescindibile della convivenza e della civiltà umana, non si possono fondare e far sussistere gli ordinamenti sociali nè sul solo egoismo individuale nè sul solo sentimento del sagrifizio. Occorse alquanto tempo prima che il Colaianni ed altri scrittori siciliani di buona fede rendessero giustizia ai due volumi dei miei amici; ma gli è che essi non furono subito conosciuti generalmente. Ce lo spiega un aneddoto che si legge nella prefazione del già citato volume dell’Alongi. Egli narra che nel 1878, discorrendo con un Pretore di malandrinaggio e di mafia lo sentì esclamare: «È la prima volta che trovo un siciliano d’accordo con Sonnino e Franchetti, i quali anzi sono più moderati nei loro giudizi: ma Ella giovane com’è, esagera facilmente l’impressione che ne ha ricevuto». — «Scusi, caro Pretore, soggiunge l’Alongi, io parlo per mia esperienza e mi sono ben guardato dal leggere quelli che tutti chiamano due romanzi fantastici». Ma s’indusse allora a leggerli ed ecco le parole con cui prosegue: «Provai subito un’umiliazione profonda vedendo realmente come quegli egregi signori avevano studiato la Sicilia con affetto e lealtà, ed arrossii ripensando alla critica interessata, sleale, virulenta, con cui ne furono rimeritati da noi che dovevamo loro riconoscenza e stima grandi».
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9 Più tardi l’Alongi, siciliano e già Commissario di P. S. in Sicilia, nella prefazione al suo volume «La mafia», ebbe a scrivere: «La stampa siciliana, ancora irritata dalla gazzarra sollevatasi, in Parlamento e fuori, a proposito dei provvedimenti eccezionali, vide oltraggio e disprezzo là dove era uno studio coscienzioso, esatto e minuto delle nostre condizioni sociali; e una crociata lunga, clamorosa, accanita fu l’unico compenso agli illustri autori. 10 Nel 1906 i due volumi furono tradotti in tedesco da C. S. e pubblicati a Dresda nel 1906 dall’editore Tittman. 11 Vol. 2° n. 12 del 22 sett. 1878, p. 188. |
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