Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO PRIMO   CONDIZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE DELLA SICILIA
    • CONDIZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE         Capitolo I. CONDIZIONI GENERALI
      • II. LE PROVINCE INFESTATE DAI MALFATTORI
        • § 21. — Carattere e modi di procedere dei malfattori.
Precedente - Successivo

Clicca qui per attivare i link alle concordanze

§ 21. — Carattere e modi di procedere dei malfattori.

Tale è in Sicilia la posizione di quegli uomini di ogni carattere e di ogni specie che vivono di ricatti, di grassazioni, di furti di bestiame, di lettere di scrocco. Si sentono sopra di essi gli apprezzamenti i più disparati. Alcuni li descrivono come belve. Molti li dipingono, specialmente se sono briganti veri e propri, come una specie di eroi sul tipo di quelli di Schiller, protettori del debole e dell’oppresso. Al nuovo venuto non avvezzo a quell’ambiente e che senta raccontare i fasti briganteschi, i briganti fanno l’effetto di essere per la massima parte volgarissimi, mascalzoni assolutamente, privi di qualunque sentimento di umanità, dotati quasi tutti di grande ardire, reso del resto abbastanza facile dalla paura generale e dall’aiuto e sostegno che trovano nelle condizioni sociali. Quelli fra loro che diventano capi di comitive sono molto abili nello scegliere gli alleati e i nemici, nel misurare con cura la quantità di danni che posson fare senza provocare una reazione, e nell’assicurare a taluni certi vantaggi in cambio del danno che cagionano. Pare che di quando in quando sorga anche fra di loro qualche tipo di romanzo, qualche uomo ardito e generoso; la cosa non è impossibile in un paese dove la professione di brigante non è considerata come disonorante. Ma uomini siffatti sono piuttosto rari, e sono presto trascinati dalla forza delle circostanze a fare come gli altri, molto più che tutte le loro belle qualità non hanno nell’atto pratico molti effetti, giacchè i loro compagni fanno quel che non fanno loro.

I modi nei quali esercitano la loro industria, sono i più variati. Taluni si stabiliscono in una contrada quasi come un’autorità costituita e riconosciuta, esigono dai proprietari una specie di tassa quasi regolare per mezzo delle lettere di scrocco. Del resto assicurano l’incolumità delle persone e degli averi a coloro contro i quali non hanno ragioni di inimicizia, infliggendo pena pronta e terribile, a quel malfattore estraneo alla compagnia, che venga a far concorrenza nel loro territorio. Aumentano il proprio prestigio col far talvolta a qualche miserabile un leggero benefizio, coll’osservare (non sempre però) scrupolosamente la parola data e col regolarsi secondo norme tutte loro intorno al punto di onore. Altri fanno d’ogni cosa un poco: sequestrano il ricco proprietario e ne esigono una grossa taglia, assassinano il viandante, arrestano le diligenze, spogliano il miserabile mulattiere delle poche lire che ha indosso. Tutti più o meno esercitano il furto di bestiame (abigeato). Sono regolarmente costituiti in banda, oppure girano isolati per la campagna, e quando si tratti di fare un colpo reclutano uomini fra i colleghi dei paesi o delle campagne. Alcuni sono malfattori dichiarati, scorazzano le campagne, e se entrano nei paesi lo fanno quando sono certi di non esser riconosciuti dalla forza pubblica. Altri menano vita regolare in apparenza, hanno una professione, vivono in paese; quando sanno di poter commettere qualche grassazione escono in campagna, consumano il delitto, e la mattina si ritrovano a casa in mezzo alle consuete occupazioni.

Le relazioni fra i membri di questa vasta popolazione di malfattori sono le più varie. Si sente perfino talvolta narrare d’inimicizia fra il tale e il tale altro brigante; spesso un facinoroso ne uccide un altro per rivalità, per vendetta, o in rissa. Ma più generalmente la vasta popolazione dei malfattori siciliani d’ogni specie, forma una gran lega. I più si conoscono fra di loro, almeno di nome; ma pur senza conoscersi sono pronti, quando l’occasione si presenta, ad unirsi e combinarsi al minimo cenno. Vari d’origine e di posizione sociale, vari anche nelle specialità del mal fare, pure si conformano tutti a certe regole tradizionali nate dall’indole stessa delle circostanze e dalle necessità della loro industria.

Frutto di una lunga esperienza mantenuta dall’istinto della conservazione, quest’assieme di regole è diventato come un diritto consuetudinario in vigore nella popolazione dei malfattori siciliani, e si può compendiare in poche norme. Impedire qualunque denunzia contro di loro all’autorità per parte di chiunque, e qualunque impedimento al libero e comodo esercizio del mestiere di malfattori. La sanzione è la vendetta pronta, terribile, eccessiva anche per l’offesa più leggera, che non esita a colpire dieci innocenti per il solo sospetto che fra di loro vi sia un colpevole, pure di imporre alle menti la convinzione che niente è più forte dei malfattori, e che niuno che li ha offesi può sfuggire la pena. I modi di applicazione di quelle regole variano poi all’infinito secondo le circostanze, i luoghi, le persone. In un comune dove l’autorità di pubblica sicurezza minacciava di prendere il sopravvento, i facinorosi del luogo, nella strada principale, all’ora in cui è più frequentata, mentre il delegato stava fermo sull’uscio di una bottega, si strinsero intorno a lui gomito a gomito in un semicerchio impenetrabile appoggiato al muro, e lo uccisero con una pistolettata a bruciapelo. Naturalmente la gente ch’era per la strada non sentì nè vide nulla e nessuno. Un’altra volta, una pattuglia che tornava da una perlustrazione fu ricevuta al suo ingresso nello stesso paese con una volata di schioppettate che ne uccise e ferì alcuni. Contro un impiegato che era sul punto di scuoprire le fila di una associazione di malfattori, fu organizzata una calunnia, cercato di provocare un processo penale, e per tal modo ne fu reso necessario l’immediato trasloco. A San Mauro, il capo brigante Rinaldi, sul semplice sospetto che un proprietario lo avesse denunziato, lo uccide in campagna. Qualche tempo dopo, entra armato con un compagno nel paese dove sta la famiglia di questo, all’Ave Maria in mezzo ai villani che tornano dal lavoro, entra nella casa dove stanno la madre e la sorella dell’ucciso; uccide la madre con una schioppettata, tira la sorella giù per le scale in istrada, e la finisce a coltellate. E ciò a pochi passi dalla casina di società piena di gente, e dalla caserma dei carabinieri; poi se ne va. Il medesimo brigante, alle porte dello stesso paese, uccise con una fucilata uno, per aver detto (in termini più energici però) che si curava poco di lui. Nel medesimo paese, un membro della stessa banda ferisce a morte per rancori personali una persona amata da tutti. Mentre si portava il viatico al moribondo e la campana suonava a morto, e davanti all’uscio di casa stava una folla di gente a piangere, urlare e lamentarsi, l’assassino, uomo basso e smilzo della persona, se ne stava di faccia alla casa del morente appoggiato al muro, colle braccia incrociate e un bastone in mano; tutti lo vedevano e nessuno, in tutta quella folla, osava avvicinarlo. Il paese era occupato militarmente dai bersaglieri. Ventiquattr’ore dopo si venne a raccontare a uno degli ufficiali la presenza di quell’uomo.

I briganti sono talmente sicuri del loro prestigio, della loro autorità sopra tutte le classi della popolazione, sentono talmente di far parte integrante e riconosciuta della società, che spesso non provano il bisogno di esser brutali, e conservano talvolta nei loro atti più violenti, la massima cortesia nelle forme. Un gran proprietario viene a passar qualche giorno in una sua villa. Durante la notte si sente picchiare alla porta. Sono i briganti che protestano di non volergli fare nessun male, ma chiedono solamente di riverirlo e di baciargli la mano. Il proprietario si scusò come potè dal riceverli, e la mattina dopo se ne andò per non più tornare sulle sue terre.

Un altro ricco proprietario era stato sequestrato dai briganti. Mentre si trattava del ricatto, i briganti lo fecero per più giorni girare per monti e dirupi, usando però sempre con lui i modi più cortesi e rispettosi, cucinandogli dei pasti ricercati per quanto lo permettevano le circostanze. Pagato il ricatto, il capo brigante gli chiese dove voleva essere ricondotto. Il signore indicò un paese. Appena fattasi la notte, la banda si incammina con lui, e si ferma nell’immediata vicinanza del paese indicato. Il capo brigante prega il signore di scusarlo se per ragioni che può facilmente capire non lo accompagna fino dentro l’abitato, gli chiede scusa di ciò che gli è stato fatto, allegando le circostanze, la necessità della sua condizione, la durezza dei tempi, ecc., poi ordina ai suoi uomini di scendere da cavallo e di baciar la mano al signore. Egli stesso principia, gli altri gli vengono dietro. Poi dànno la via al proprietario. Questi era libero, e aveva pagato 130,000 lire.

 

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License