Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Francesco Domenico Guerrazzi
La battaglia di Benevento : storia del secolo 13.

IntraText CT - Lettura del testo

Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

CAPITOLO NONO.

 

IL PRIGIONIERO

 

/#

Oh! perchè almeno

Lungi da lui non muoio! Orrendo, è vero

Gli giungeria l'annunzio; ma varcata

L'ora solenne del dolor saria;

E adesso innanzi ella ci sta: bisogna

Gustarla a sorsi, e insieme.

CONTE DI CARMAGNOLA.

 

Erano giunti a piè della scala. Il corridore appariva in parte illuminato da luce lontana. Si appressavano: giunsero ad un vestibolo separato dalla prigione con ispessi cancelli. L'anima e gli occhi di Rogiero percorsero in un baleno la scena che si offeriva. Vide un uomo quasi sepolto in una sedia: le sue membra non erano del tutto manifeste, imperciocchè fosse vôlto altrove il raggio della lampada; pure sembrava pallido e vecchio; i capelli aveva tutti bianchi, teneva gli occhi chiusi, pareva volesse assuefarli a morire. - davanti stava un tavolino; sovr'esso una tazza e un Crocifisso. A canto della sedia per terra giaceva una lunga bacchetta tutta intaccata, e le tacche, benchè la più parte regolari, ad ora ad ora più profonde. Cotesta fu opera di dolore. - Allorchè quell'infelice chiusero dentro, lo prese vaghezza di annoverare i giorni della sua prigionia, onde conoscere la durata di un tempo destinato a soffrire, e deliziarsi nella speranza che questo tempo andava a decrescere: forse ancora fidente di giorni felici, stimò doverne ricavare argomento di gioia, qualora le future condizioni potesse paragonare con le presenti. Adesso cotesta opera giaceva in terra negletta. - La speranza, che siede ultima al capezzale del moribondo, e si mostra ai suoi occhi, quando anche velati dalla nebbia della morte non giungono più a discernere le care sembianze dei parenti e degli amici.... la stessa speranza aveva abbandonato quel cuore. Quando gli anni accumulandosegli sopra la testa mutarono in bianchi i suoi biondi capelli, non più l'anima e le carni gli tremarono al suono che faceva la porta volgendosi sopra i cardini, ad ogni tocco sul serrame che la sbarrava stimò giunta la mano pietosa che doveva ricondurlo a godere della faccia del cielo. - Disperato gittò via cotesto istrumento, che insegnandogli a distinguere lo affanno glielo rendeva più insopportabile e più lungo; - amò considerarlo come una gran giornata di travaglio, di cui la notte doveva trovare nella morte. - E di vero la luce non iscompartiva i suoi giorni. Dal punto in ch'ei fu posto in carcere non aveva più veduto l'aspetto dell'orizzonte, pure dalle inferriate; - e poichè il suo giorno era tenebra, doveva immaginarsi la sua morte nel nulla. - Divenuto affatto insensibile, stette come cosa inanimata ad aspettare il momento dall'ordine delle cose destinato alla sua estinzione. Almeno gli fosse rimasto il coraggio di porre fine a tanto compassionevole esistenza! Questo pensiero, che vuole per la sua esecuzione tutte le potenze dell'anima, gli sorse in mente, allorchè avvilito dalla sventura ricercò invano nelle passioni dei tempi trascorsi un avanzo, che valesse a restituire le membra agli elementi, variando forma alla sua materia. Non sospiro, non voce lamentosa gli usciva dai labbri.... quello che dal profondo dell'amarezza, o dal furore dell'ira potea dirsi, aveva detto miliardi di volte; - gli rimaneva il silenzio, ed egli era muto come un sepolcro. Gli anni lo avevano affatto cancellato dalla rimembranza degli uomini. - Per lui niun gemito, nessuna parola di amore; e se talora il nome si affacciava al pensiero dell'antico servitore, che seduto a canto al fuoco narrava le glorie della casa di Svevia ai valletti e all'altra gente della famiglia, si guardava bene di chiamarlo sul labbro, perchè ricordava un colpevole di tal delitto, che atterrisce lo stesso Lucifero; o se pure ve lo chiamava, lo profferiva in basso sussurro.... alla sfuggita.... come quello di un dannato. Per lui vivo non si aveva pure quello scarso affetto che si conserva pei morti.

Distese a gran fatica la destra; - ella tremava paralitica: già era presso a sovrapporla al tavolino, quando tornò a penzolargli: - soprastava alquanto tempo.... poi la rimuoveva.... brancolando strinse il Crocifisso, e se lo recò alla bocca in atto di bere; non sentendo il refrigerio dell'umore, aperse spaventato gli occhi, e vista la immagine del Redentore la rimise con impazienza su la tavola mormorando tra i denti: "O Cristo, io ardo di sete!" Ghermiva la tazza, e bevendo bramoso lasciava gocciare giù pel mento e pel petto l'acqua, se ne mostrava infastidito: - estinta la sete, dette un gemito, e ricadde immobile nel primiero torpore. - Di uomo ormai non gli rimaneva che la parte schifosa dei bisogni!

Vide Rogiero questo spettacolo di avvilimento e di miseria, e soprappose mano a mano su gli occhi, stimando insufficiente a sfuggirlo la sola pelle destinata a velarli. - Si appoggiò ad una colonna; e quando volle ordinare che schiudessero il cancello, la sua bocca non potè esprimere nessuna parola: l'atto della mano gli valse per dimostrare la sua volontà.

Si schiudeva il cancello. - Il vecchio sentì percuotersi le ginocchia, stese la mano per conoscere che fosse; le sue dita s'incontrarono in una lunga capellatura. "Parmi la testa di un uomo," disse, e tornò nella consueta sua inerzia.... Ma la sua mano non cadde a penzolare di nuovo, e la sentì costretta a rimanersi in un luogo, scaldare, - bagnare: - fossero lagrime? Porse l'orecchio, e parvegli sentire cosa che da anni e anni non aveva udito più mai, - il singulto del pianto.

La fiamma dello spirito era spenta, pure egli non era divenuto affatto ghiacciato; un leggerissimo colore di rosa pallida gli ricorse su per le guance, e le pupille apparvero per un momento meno appannate di prima.

"Sono lagrime queste?" diceva affannoso. "Io ho consumato da gran tempo le mie. Le ho sparse d'ira, di amore, di tenerezza, di rabbia. - Ora se il Cielo mi ridonasse le lagrime, vorrei spargerle sempre di pietà, perchè il pianto più accetto al Confortatore degli sventurati è quello della pietà, e soave...." "Non ritirate la mano dal mio capo.... non vogliate lasciarmi sul cammino della vita senza la vostra benedizione!" soffocato dai singulti diceva Rogiero.

Enrico non rispose nulla. Rogiero alzò il volto, e lo vide immobile, come se non avesse inteso le sue parole; gli scosse leggermente la mano, e replicò: "Benedizione! benedizione!"

"Benedizione! benedizione!" rispose Enrico come se fosse stato l'eco; e dopo: "questa è una parola di amore. Gli uomini lassù" ed alzava la mano "l'adoperano piangendo. Il passato trascorre senza séguito per la mia memoria; un alternare di caligine e di luce mi occupa l'intelletto.... ma parmi.... e certo anch'io fui benedetto tra gli uomini. - Io non posso ricordarmelo adesso.... ma fu uno sfinimento d'immensa passione.... Ah! benedisse mio padre questa testa, che aveva macchinato il disegno di levargli la vita!" E qui si dava dei pugni nella fronte, e pregava, e bestemmiava tutto doloroso.

Lo rattenne Rogiero, e gli ripeteva all'orecchio: "E questa benedizione parla per voi; sta il suo perdono al cospetto di Dio, ed ogni peccato vi è stato rimesso."

"Valcherio! Valcherio! è una spada questa che mi cacciate tra mano? - Forse con la spada alla mano il figlio deve incontrare il seno del suo genitore? - Si addicono coleste parole ad un arcidiacono di Santa Madre Chiesa? Sono parole del demonio.... via.... via, in nome di Dio, non tentarmi. - Il Papa? Sei un mentitore; il Padre dei Fedeli non può volere il parricidio. - Oh! come splende bella quella corona reale.... come superba.... L'ami? - Se l'amo! - Ebbene, ella si conserva per te in Monza dai tuoi leali Milanesi.... ma bada, fra te e quella corona si trammette una vita... si spenga. - Misericordia... misericordia, io sono contrito qui nel profondo.... Che giova? un pensiero cancellerà una colpa? Ma e il suo perdono? - Che giova? L'opera del malvagio può esser mai tolta dalla generosità di un buono? Ma io ho sofferto tanto! Quanto è che soffro?" Qui si frugava d'intorno, e non potendo trovare quello che cercava, soggiunse: "Il tempo ha consumato l'arnese che mi serviva a distinguerlo, ed io vivo ancora! Pure ho detto di perdonare tutto a tutti, anche a Manfredi...."

"Manfredi!..."

"Chi ha nominato Manfredi? Tacete il suo nome per pietà.... piuttosto ponetemi alla tortura.... abbruciatemi gli occhi.... ma non chiamate Manfredi.... egli è un nome che stette lungamente nel mio cuore unito con desiderii di sangue: - ora il giorno della vendetta passò, perciò sopraggiunse quello della morte. - Chi lo avrebbe detto? Il suo sorriso era il sorriso della innocenza, la gioia pura gli scintillava dagli occhi.... le parole soavi.... Lo dicevano tutti il più gentile damigello d'Italia: egli sospiro delle vergini, egli invidia di Trovatori e cavalieri, la gemma più bella del diadema di Federigo. - Il suo volto pareva di angiolo; il suo cuore.... Ah! il suo cuore non ha paragone... il vincolo di cotesta anima a quel corpo fu colpa od errore. - Sete feroce di dominio! Manfredi, hai cinto il serto bramato? Senti, via, come pesa sopra la testa, allorchè invece di gioielli ha la maladizione di un'anima disperata, e la condanna della giustizia di Dio...."

"Oh! padre mio...." interruppe Rogiero.

"E' fu un tempo," continuò il carcerato ponendosi la destra sul petto "fu un tempo, che a questa voce sentiva uno sgomento indefinito qui dentro, che avrei anteposto a tutte le gioie della terra. Ora non sento più nulla, nulla.... - sono morto, - non ho passione, tranne per l'acqua, che spenge la sete che mi consuma la gola."

E qui brancolava in traccia della tazza. - Rogiero balzò in piedi, la prese, gliela accostò alle labbra, e sollevatogli il capo l'aiutava a bere. Il vecchio non ripugnante, consenziente, seguitava l'impulso; ma quando, aperti gli sguardi, potè fissare Rogiero, gittò un debole strido, fece atto di allontanarlo da , e tra stupito e maravigliato esclamò: "Manfredi!"

Questa esclamazione non fu di tanto bassamente pronunziata, che non percotesse gli orecchi di coloro che erano rimasti ai cancelli: uno tra essi contorse la persona, come a cosa molesta, e mandò un cupo sospiro.

Il vecchio riprendeva a stento: "Ma lo vedi, Manfredi, dove mi ha condotto cotesta tua ambizione?... vedi lo abbisso della miseria in cui può cadere un'anima immortale; e se hai viscere di pietà, gemi.... Ah! tu non puoi essere Manfredi.... no.... egli era di questa tua età quando cessai di vederlo. Gli anni e l'angoscia hanno prostrato il mio corpo più di quello che si doveva, ma anche i soli anni non iscorrono invano su la creatura destinata a morire. Sei forse suo figlio? Che vuoi? In te non è delitto, per te non ho mai nudrito odio, ma non posso nudrire amore; levati, e confortati: è molto tempo che ho perdonato a tuo padre, e nell'ora stessa del mio furore io non ho maledetto giammai i figli e i nipoti di coloro che mi hanno angustiato. Levati... e digli, che sia felice, e tu pure lo sii.... Se la voce dell'uomo che parla dai confini della vita può ottenere grazia al vostro cospetto, - in mercede dei tanti mali patiti vi prego ad adempire questa mia volontà.... seppellite le mie ossa accanto a quelle di Federigo.... del padre mio.... senza ornamento, se vi piace, senza corona, quantunque concederla ad un cadavere non possa tornarvi in danno.... mi basta di dormirgli al fianco."

"Ascoltatemi per amore di Cristo! queste lagrime che vi bagnano la mano sono del vostro figlio Rogiero."

La mente di Enrico, come se avesse fatto uno sforzo a favellare da senno, ricadde sul vaneggiare, ed immaginando di tenere discorso con la sua sposa figlia di Leopoldo Arciduca di Austria detto il Glorioso, riprendeva così: "Agnesa, che ha che piange il figliuolo nostro? Consolalo, ch'egli forma la delizia della mia vita.... è tanto bello quel suo riso! Com'hai tu cuore di farlo piangere? Consolalo, Agnesa, consolalo. Di qual piacere godrà Federigo, quando gli porrai su le braccia questo caro pargoletto!... E perchè non ne godrà egli? non è suo nepote? - Di chi è quel sepolcro di porfido? Veggo l'arme di Svevia.... fatti in , che Dio ti aiuti, tu mi pari la luce.... Federigo I.... gloria all'anima sua, gloria a colui, che morì combattendo in Terra Santa.... No.... no.... è Federigo II... egli moriva dunque, al capezzale del letto si ricordò di me! Non ho più padre, e il figlio? Agnesa.... dove sei ita? Agnesa.... il figlio...?"

"Egli muore di affanno ai vostri piedi!"

"Egli? - Chi?...."

"Il vostro figlio."

Enrico prese con ambedue le mani il volto di Rogiero, e lo guardò fisso fisso, e lungo tempo, poi disse:

"Certo, quel tuo parmi sembiante di un nepote di Federigo: ma se veramente tu sei il figliuol mio, a che venisti sì tardi? - Ti ho chiamato anni e anni, come in un deserto di tempo. - Io non posso lasciarti tranne un retaggio di sventura. - Ogni affetto di padre è morto nel mio cuore.... il nome stesso suona per me una rimembranza di cosa lontana, obbliata, come la faccia del compagno della miseria nel giorno dell'orgoglio. Se venisti a vedere quanto sia schifoso il fine di una creatura avvilita, allontanati, te lo comando. - Se ti condusse la pietà, adoprati di uccidermi.... non tremare.... di uccidermi: abbi misericordia di me.... Io soffro patimenti atroci in questa ora, nella quale erro sospeso tra la morte e la vita... patimenti, pei quali diventa un parricidio il rifiuto di troncare i giorni di un padre. Tu poi assicurati, temere che Dio ti chieda ragione della mia anima. - La prima preghiera che farò innanzi al suo trono sarà per te, che mi liberasti da tanto dolore, e gli dirò che non ti punisca, perchè fu l'amore che ti condusse la mano; che perdoni com'io ho perdonato: che se poi la Sapienza divina vuole le sue giustizie, non sopra di te si aggravi, ma sopra colui che costrinse un figlio a dare la più alta prova di affetto al suo genitore - trucidandolo."

E abbandonato il capo sopra la spalla manca di Rogiero, singhiozzava senza pianto. Rogiero pietosamente esclamava: "Oh! questa sì ch'è ineffabile angoscia!"

"Ma se veramente sei carne della carne mia," riprese il travagliato Enrico con impeto "se quello di cui le infantili carezze calmavano le tempeste del mio spirito feroce, salvati.... i tuoi nemici sono numerosi e potenti. Non sai che ogni loro gioia sta nella tua morte, ogni loro paura nella tua vita? - Sálvati.... chè essi t'inseguono con la foga dei segugi sopra la pesta del cervo.

- Ahimè! Io credeva non avere altri affanni a durare; ma essi si prolungano interminabili quanto l'eternità: non darmi amplesso, bacio; - il tempo che consumeresti potrebbe riuscirti esiziale; - più di questi mi giungerà caro il sapere che tu sei salvo. in Palestina pel sepolcro del Redentore potrai morire della morte dei valorosi. Prendi.... questa reliquia; essa valga a rammentarmi qualche volta nelle tue orazioni; prega per l'uomo che soffrì tutte le amarezze che si possono sopportare in questa terra, prega per un padre colpevole e sventurato, ma allontanati, per l'amore che hai per la vita, allontanati. - Chi sa che la tua venuta qui dentro non sia tradimento? Chi sa che non vogliano farci morire insieme? Hai tu inteso muovere i ferri del cancello? È finita.... è finita.... hanno chiusa la porta, e per sempre.... oh! gli scellerati, gl'iniqui!..."

Sorgeva in piedi; la forza che doveva mantenergli anche per qualche ora la vita parve riunirsi per consumarsi in un punto: le sue guancie si fecero vermiglie di rossore febbrile, afferrò il braccio di Rogiero, e lo spinse violentemente verso la porta; - mosse spedito il primo passo, - mutò il secondo,... al terzo Rogiero sentì abbandonarsi: il misero Enrico stramazzò bocconi sul pavimento. Il giovane si affrettava a soccorrerlo; dai cancelli le tre persone misteriose accorsero al medesimo ufficio; - lo sollevarono: - aveva la bocca e le mascelle rigate di sangue, il naso pesto, - la fronte livida, - gli occhi fuori dell'orbita; - gli posero la mano su i polsi.... Lo sforzo della immaginazione in quelle membra prossime al disfacimento, e la percossa, lo avevano tolto dal numero dei viventi.

Immenso furore occupò l'anima di Rogiero: si dette per la stanza a ricercare chiamando pietosamente suo padre, e lui scongiurava a rispondergli, e a non abbandonarlotosto tra le mani dei suoi nemici. Sovente prorompeva in terribili minaccie, e l'atto del corpo si univa così violento a quell'impeto, che i circostanti a mala pena lo ritenessero; - gli strascinava qua e duramente percuotendoli tra loro. Ora la esasperazione di Rogiero giunge al sommo; lo invade irresistibile il desiderio di morte; tenta spacciarsi da coloro che lo tengono, correre contro la parete, e darvi dentro col capo: il disegno non gli viene fatto che a metà, giunge al muro, ma non può uscire dalle mani dei circostanti che fanno ogni sforzo per allontanarnelo; - l'urto della testa, benchè non sia tanto da levargli la vita, vale però a farlo cadere privo di sentimento nelle braccia di chi lo sorreggeva dintorno.

Il tempo che Rogiero doveva vegliare a guardia dei giardini del Re Manfredi era trascorso. Il maestro degli scudieri seguitato da quattro di questi s'incamminava alla gran porta del giardino per rilevare Rogiero dalla guardia, e sostituirgliene un altro: - non lo vedevano:-  lo chiamavano: - nessuno rispondeva. Avesse disertato il suo Re? "Impossibile, impossibile!" disse il maestro degli scudieri, ed in questa inciampava nell'alabarda, che Rogiero in partendo aveva gittato a terra.

Benchè l'urto del piede gli apportasse un cocente dolore, pure il maestro lo sollevò soffiando senza mandare una voce, timoroso che gli scudieri guardando per quella parte vedessero nell'alabarda abbandonata una troppo presta mentita a quanto egli aveva affermato; ma poco gli valse, che al volgere della lanterna la punta forbita mandò un raggio, e tutti ad un punto gridarono: "L'alabarda, l'alabarda!"

"Certo," rispose crollando la testa il maestro "è l'alabarda, non ho cosa da opporre; ella non è un racconto, al quale si possa dire - non ci credo.... è l'alabarda.-  Santi Magi di Colonia! siamo giunti a tal tempo, in che l'avere fede in altrui è cosa tanto stolta, quanto l'ingannare è scellerata."

Così dicendo, parte stizzoso, parte confuso, raddoppiò le guardie, s'incamminò alle scuderie, quivi gli occorse vedere il cavallo di Rogiero; quindi scelti alcuni scudieri, commise loro di andarne in traccia a tutta fretta, o di non comparirgli dinanzi, finchè non ne avessero avuta novella.

Rogiero ricuperava i sensi: un acerbo dolore gli fasciava la fronte; i suoi occhi s'incontrarono in un lume che gli ardeva davanti, - gli richiuse prestamente, come se gli fossero stati feriti, domandava lo nascondessero; allora si riprovò a tenerli aperti, e si accorse di non essere più nella stanza di prima, ma adagiato sur un letto magnifico; e quel misterioso, che sì poco aveva favellato, soccorrerlo con tanto affettuosa premura, che maggiore non ne avrebbe dimostrata una madre; onde appena tornato in gli udì profferire queste parole: "Benedetto sia Dio, che finalmente s'è rinvenuto!"

Rogiero, presa baldanza, si gettò giù dal letto, e sforzandosi parlare disse: "Or dunque?"

"Or dunque" replicò il Conte della Cerra "il pianto spetta alle femmine.... Domani provvederemo a imbalsamare il corpo del padre vostro; - confortatevi di questo, ch'egli sarà suffragato di messe da non portare invidia a nessun'altra anima cristiana che mai uscisse od uscirà fuori di questo mondo; e che le sue ossa, più presto che per noi si potrà, saranno trasportate a Monreale, affinchè riposino accanto a quelle di Federigo. - In quanto a voi, se volete fare il sacrificio del vostro Regno, e della vostra vendetta, all'uomo che vi ha ucciso il genitore...."

"Un di noi due avanti che sia molto deve morire di ferro!" gridò concitato Rogiero.

"Forse ambedue," disse tra il parlante, e poi soggiunse a voce alta: "Avvertite bene, Rogiero; le signorie nuove si distruggono più agevolmente delle antiche, imperciocchè a queste la consuetudine, quando anche manca l'amore, dia una tal consistenza d'inerzia difficile ad abbattersi; nelle nuove, sia per non aver tempo di metter radici, sia per riuscire sempre minori dell'aspettativa di cui le desidera, questa difficoltà non è tanta. - Carlo Conte di Provenza si apparecchia a muovere ostilmente contro questo Regno. - S'inviti a venire, - si aiuti a consumarsi con Manfredi; - facciamo che lo superi, e quando lo abbia vinto, gettiamoci addosso del Conte indebolito dalla sua stessa vittoria."

"Ebbene?" disse Rogiero.

"Ebbene; si spedisca un messo fedele a manifestare a Carlo quanto ho fino adesso esposto: - queste sono credenziali sottoscritte dai maggiori Baroni del Regno; ormai faccio conto, che Carlo sia entrato in Monferrato: un nostro messo che si affrettasse potrebbe incontrarlo in Lombardia. Dove s'imbattesse in qualche cavallata di Ghibellini, queste altre sono lettere per Buoso da Doara, che il lascerebbe passare. - Ma questo è gelosissimo negozio; dipende dalla lealtà del messo la vita di migliaia di fedeli servitori vostri."

"Al Cielo non piaccia che dove gli altri affrontano i pericoli per me, io risparmi la fatica,... Porgete.... io stesso le recherò..."

"A Carlo d'Angiò? voi stesso, così ammalato?"

"Non monta.... porgete. In queste lettere si contezza dell'esser mio?"

"Credemmo ben fatto nasconderlo. - Sareste troppo prezioso ostaggio nelle mani del Conte."

"Sta bene. - Voi, ditemi, chi siete?"

"Io?"

"Voi. Pagate fiducia per fiducia."

"Principe, che importa a voi sapere chi sono?"

"Sentite: un cumulo di vicende mi trasporta a tal fine ch'è stato sempre il mio abborrimento; forse potrei resistergli: - non voglio, mi affido a voi, mi abbandono intieramente nelle vostre braccia; e ciò non già perchè voi non possiate essere traditori, ma perchè, qualora dal vostro tradimento me ne derivi la morte, io la desidero. Tutto questo sta a dimostrarvi, che in qualunque caso possano gettarmi i vostri disegni, non dirò mai nulla contro di voi, perchè voi non mi potete fare danno. Ora poi vi domando un solo atto di fiducia, e mi chiedete - che m'importa conoscervi? - certo nulla; ma a voi che cosa importa celarvi?"

"Se stesse a me, io di già vi avrei svelato il mio nome, - ma noi siamo molti legati da comune giuramento a non manifestarci a persona; - voi vedete che senza il consenso di tutti io non potrei... la sicurezza loro..."

"Ma e non potrei rompere la cera e la seta che sigilla questo foglio, e leggerne...?"

"Voi nol fareste; e poi..."

"In questo non troverei il nome vostro; v'intendo. Sia come volete. Ordinate che mi conducano fuori; ho bisogno di confortarmi coll'aria fresca."

"Dove ci rivedremo?"

"A San Germano."

"A San Germano."

Ciò detto il Conte della Cerra, fatto un segnale, chiamò l'uomo d'arme Roberto, che lo condusse fuori con quelle stesse cautele che aveva adoperate per introdurlo.

Uscito della stanza, il Cerra scosse pel braccio il Conte di Caserta assorto in cupi pensieri, e gli disse: "A che pensate, Messere?"

"Penso a quanto lo avrei amato, se mi fosse stato concesso per figlio."

"Egli è senza dubbio un gentil damigello; rammenta i bei giorni della giovanezza di Manfredi."

"Pur troppo, pur troppo si assomiglia a Manfredi!" gridò il Caserta, e levatosi impetuoso gettò lontana la sedia, e per una delle porte si allontanò.

"Ah" giubbilando nella pienezza del suo feroce sorriso, disse il Conte della Cerra: "l'ho punto su la piaga." E dopo stette lungamente a considerare il luogo pel quale si era dileguato; alla fine riprese: - "Imbecille! le menti come questa" e si toccava la fronte "non sono nate a soffrire; - se i tuoi disegni, comecchè stolti, gioveranno ai miei, ti aiuterò; altrimenti con un bel prostrarmi, ed un migliore domandare perdono, te pongo sotto la protezione di una forca, me sotto quella del trono -  E, gettando per terra il drappo che gli copriva il volto, uscì per una porta diversa da quella per la quale era uscito il Caserta.

Rogiero intanto in compagnia di Roberto camminava con la benda su gli occhi: - gli parve adesso percorrere un sentiero diverso, s'ingannò: arrivato a capo di una strada, gli fu tolta la benda, e con immenso piacere vide il suo destriero legato al battente di una porta mezzo in rovina. Questa fu l'unica gioia che avesse in quella notte memorabile; gli si accostava, e amorosamente palpeggiandolo diceva: "Allah, Allah, tu dunque non hai derelitto il tuo signore! Io mi appresto a ramingare per la faccia della terra; vuoi tu essere il mio compagno, e il mio amico? - Bada ch'io sono infelice." - Il nobile animale, quasi volesse corrispondere alla fede che in lui riponeva il cavaliere, spiccò un lancio, e sollevando tutto brioso la testa dimostrò la sua passione con un sonoro nitrito. Rogiero riprese: "Ciò non t'importa, Allah! e nella lieta e nell'avversa fortuna non sono meno il tuo diletto padrone. - Oh! gli uomini.... gli uomini hanno la facoltà di calcolare dove vada a rovesciarsi la tempesta, e cansarsi: dove sta per piegare la fortuna, e tradirti; e questa lor facoltà si chiama ragione!"

Proferite queste parole, pose una mano su l'arcione, e senza toccare staffa saltò leggerissimo in sella; quindi voltosi a Roberto, che s'era rimasto immobile a considerarlo, gli stese la destra dicendo: "Roberto, io temo forte che noi non ci rivedremo se non che nella valle di Giosafatte; ma se mai alcuna altra volta ci riscontrassimo su questa terra, sovvengavi, ed io pure lo ricorderò, che vi ho stretto la mano, come ad amico, nell'ora della mia dipartenza."

Roberto si stava cupamente mesto; alzò la destra per istringere quella di Rogiero; e quando sentì toccarsela, un subito tremore gl'invase la persona, abbandonò il capo in atto angoscioso sopra la mano che gli aveva offerto Rogiero, - v'impresse un bacio, e lasciò cadervi una lagrima.

"Ch'è questo, Roberto? voi mi avete bagnato la mano."

"Possa quel Dio," replicava Roberto levando gli occhi al cielo, e di subito riponendoli a terra "possa quel Dio, che dovrebbe vegliare su la innocenza, accompagnarvi per la via!" - Così favellando si allontanava, ma di tratto in tratto volgeva la testa e il passo, - stava, - proseguiva il cammino: - erano i suoi occhi pieni di lagrime e di sangue; - respirava affannoso. - Certo in cotesto momento si agitava nella sua anima una molto feroce battaglia. Qual poi delle due, o la buona o la trista passione, vincesse non diremo per ora: ciò che possiamo dire si è, che la vittoria si fece manifesta con una orribile imprecazione unita ad un gesto di rabbia, e ad un fuggire alla dirotta verso il castello.

Il pensiero dei casi avvenuti non permetteva a Rogiero di porre gran mente a quanto gli passava sott'occhio; - si partiva anch'egli sospirando; si trovava all'aperta campagna, perchè, dopo l'assedio di Corrado lo Svevo, Napoli non aveva più mura; - lasciò le redini sul collo del cavallo, e chinata la testa si abbandonò a dolorose meditazioni, senza punto badare dove lo trasportasse.

Il destriero in balía di stesso seguiva l'istinto che in questi animali comunemente osserviamo, di tornarsene al luogo della loro dimora, e di certo vi avrebbe trasportato Rogiero, se, a caso aombrando per una pietra che gli si parò su la via, non avesse dato uno sbalzo all'indietro, per lo che questi si riscosse, e vide con maraviglia e spavento essere presso al castello capuano: - fu il primo moto quello di allontanarsi quanto più potesse veloce, - ma si fermò. La luna non era per anche tramontata, i suoi ultimi raggi percuotevano languidamente su le invetriate del castello varie d'infiniti colori; i suoi occhi le percorsero tutte, e si fermarono sopra una. Si levò ritto sopra le staffe, stese ambedue le braccia, e "Addio" disse con ineffabile sforzo, e ricadde: allora con ambedue gli sproni ferì i fianchi del suo buon destriero, che, conosciuta la impazienza del suo signore, si dette con incredibile impeto a divorare la via; di a poco si nascose nelle tenebre, e nella polvere sollevata: - ora le sole pedate si ascoltano da lontano, sono divenute lievissime, - confuse, - non s'intendono più: - tutte le cose ricadono nel primitivo silenzio.

Chi è che vorrebbe manifestare i pensieri di quell'anima di fuoco espressi con la sola parola dell'addio, o chi volendolo lo potrebbe? Non fu al bel cielo che gli svelava dinanzi tutti i tesori della creazione che s'indirizzò quel tenero sentimento: l'addolorato non bada se si mostri più dolce o più rigido il cielo, perchè le sue interne angoscie lo travagliano maggiori di quelle che possono derivargli dalle stagioni e dai climi. Non fu al torrente che spesso, affacciato dalla rupe, considerò balzare di roccia in roccia, frangersi in candidissima spuma, - diffondersi in minutissimi spruzzi, - nascondersi giù per la bruna vallata, - ricomparire come striscia di argento su la pianura, - e finalmente confondersi lontano lontano; onde alla sua mente ricorsero le idee solenni della morte, della eternità, di Dio. Non fu ai campi dove tolto il cappello al generoso falcone lo vide con gioia infinita affaccendarsi per l'orizzonte in larghissime ruote, desioso di preda; non alla foresta, di cui il frastuono, quando i cavalli, i cani, e i cavalieri perseguitavano il rabbioso cignale, gli suonava gradito all'orecchio, quanto il saluto dell'amico; - non alla patria, chè egli non aveva più patria.... - non alle dolci case paterne, chè le amorose rimembranze di queste stanno unite al sorriso e alle carezze che si diffusero sopra la nostra culla, sia che chiudessimo gli occhi al sonno, sia che gli riaprissimo alla luce. Quell'addio fu alla bella addolorata, che gli dette il primo pegno di amore, ponendo il proprio corpo tra il suo cuore e il suo pugnale. L'armonia della voce, e della persona, - quel suo sguardo divino, - l'ambrosia del bacio, - il brivido di tutte le membra al tatto misterioso, gli passarono per la mente come immagini di fuoco. La speranza gli balenò su l'anima, non già come un ragionamento, ma per via d'immaginazione. Parvegli vedere un gran corteggio di cavalieri abbigliati da giorno solenne, - udire un suono incessante di squille, e di trombe; - gli si affacciarono all'accesa fantasia la Cappella della Santa Vergine Incoronata, i sacerdoti, e il rito nuziale; Yole aveva la corona di sposa, l'accompagnava Manfredo; - si accostarono all'altare; - si cominciavano le cerimonie; - ell'erano presso che compite: - un Crocifisso illuminato da mille ceri stava in mezzo del sacrario.... Rogiero alzò gli occhi al suo volto.... Dio eterno! aveva la fronte livida, - la bocca insanguinata, - gli occhi fuori dell'orbita: - era il volto del tradito suo padre. Cadde la speranza, insorse lo sconforto, e lo trasportò dentro una tenebra profonda: - intese gli sguardi, e vide un corpo lucido di fioco chiarore; - a mano a mano si approssimava; aveva la fronte livida, la bocca insanguinata.... sentì il tocco di una mano, poi il ferro di un pugnale; - il ferro e la mano erano freddi ugualmente. - Una forza rovinosa lo strascinò verso una parte; gli alzò la destra già armata di coltello, e gliela spinse a basso: - un gemito sommerso si fece sentire; - la stanza fu a un tratto illuminata.... dal seno aperto di Manfredi sgorgavano rivi di sangue; attraverso il corpo giaceva abbandonata una cara creatura, - il fianco di quella giacente era pure sanguinoso, e il volto, più che di assonnata, pareva di morta. Rogiero non potè sostenere più oltre le forme della sua immaginazione, e ricadde sopra la sella; allora fu che, quasi per fuggire stesso, spronò duramente il destriero. Il destriero fugge e non si arresta, - il suo corpo gronda sudore, ma egli morirà di fatica prima di non corrispondere al volere del suo padrone. Rogiero, Rogiero, a che giova la fuga? Sia che tu corra, sia che tu posi, la disperazione ti sta confitta nell'anima.

 

 

 

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License