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Francesco Domenico Guerrazzi
La battaglia di Benevento : storia del secolo 13.

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CAPITOLO DECIMO.

 

IL PROPAGGINATO.

 

Almen dovria,

Se iniquo è nel suo cuor, serbar l'esterna

Religion degli avi nostri.

GIOVANNI DI GISCALA, tragedia.

 

La landa era lunga; la notte era buia. Il cavallo correva a precipizio; chè comunque avvezzo a conoscere i pensieri del suo signore, ed eseguirli, pure questi gli teneva sempre gli sproni fitti nei fianchi, se ne avvedeva: trascorse quella landa, - poi un'altra, e un'altra ancora; saltò macchie e fossati, valicò riviere, immergendovisi dentro fino alla testa: grondava il suo corpo sudore, e sangue, per anche si rimaneva. Quel corso imperversato avrebbe a certa rovina condotto cavallo e cavaliere, se la ventura non gli avesse sovvenuti di pronto soccorso. Un uomo montato sopra un ronzino, che se ne andava anche egli così fuori di mano a quell'ora, vista quella furia, si mise a tutta briglia dietro Rogiero gridando: "Signor cavaliere, signor cavaliere, per amore di Dio, fermatevi: al confine di questa pianura scorre la riviera profonda; - signor cavaliere, fermatevi, - v'annegherete di certo."

Rogiero non udiva cotesti gridi, e spronando, e spronando, si avvicinava alla morte. Quell'uomo, benchè cavalcasse un ronzino di trista apparenza, ora animandolo con la voce, ora stimolandolo con le percosse, potè, sebbene a fatica, raggiungerlo, e dirgli di nuovo: "Signor cavaliere, voi volete morire ad ogni costo, per quello ch'io vedo: al fine della pianura corre il torrente.... sentite il fracasso che mena da lontano: deh! non vogliate perdere così l'anima, e il corpo; o uccidetevi almeno in parte, dove un prete possa farvi l'esequie.... Intendete, ehi! dico, signor cavaliere?" E qui preso per la briglia il cavallo di Rogiero, lo fermò. Questi, trapassando allo improvviso dal moto alla quiete, si rinvenne, guardò attorno, mise una mano alla fronte, e disse: "Dove sono? - Chi sei?"

"Sono un povero cristianello, che vado di uscio in uscio accattando la vita per l'amore di Dio; mi sono trovato sul vostro cammino, ho veduto al barlume il vostro pericolo, e mi sono affrettato ad avvertirvi che qui presso corre il torrente. Voi mi sembrate agitato, signor cavaliere: se non siete di quelli che rinnegano Cristo per un agostaro, perchè così corre il costume, ed amate fare un po' di bene in questa vita per averne molto in quell'altra, io pregherò San Filippello, e San Gennaro, per la pace dell'anima vostra, e per quella dei vostri morti."

"Allontánati, e ringrazia i tuoi Santi ch'io non ti tolga la vita in ricompensa di avere salvato la mia."

"Signor cavaliere, non mi cacciate con tanta villania: se la vostra legge v'insegna ad amare il nemico, come potrete odiare chi vi ha dato soccorso?"

"Te l'ho chiesto io quel tuo soccorso? Se non mi hai lasciato morire, è segno che ti tornava più ch'io vivessi: e se il tuo cervello non ha fatto questo pensiero, lo ha fatto il tuo cuore. Io, così al buio, non posso vedere le tue sembianze, ma tu devi certamente essere uno scellerato: - non sei uomo?"

"Voi aggiungete alla mia miseria l'oppressione del vostro avvilimento. Oh! non così i cavalieri del tempo passato!"

"Uomo! - io non ti disprezzo perchè ti vedo miserabile, ma perchè appartieni alla famiglia degli uomini, e vo' che tu sappi, il mio disprezzo per essi cominciare da me."

"Ma dagli uomini non avete avuto la vita?"

"La vita! - Parti forse dono la vita? Sia: - ma io non l'ho chiesta, e non ne devo esser grato. Una vita destinata a finire con la morte, a travagliarsi con le malattie del corpo, con le afflizioni dello spirito, sempre assalita dai bisogni, sempre minacciata dagli elementi.... è egli un dono questa vita?"

"Ma l'amore della madre, la carità dei parenti...."

"Non li conosco, non ho obbligo con nessuno: - posso odiare senza rimorso, e vivo odiando. Vattene dunque nella tua mal'ora, e possa incontrarti una morte cento volte peggiore di quella dalla quale tu mi hai liberato!"

"O signor cavaliere, non parlate così, vi scongiuro pel Santo Sepolcro. Da che voi non volete darmi neppure una burba39 di elemosina, sovvenitemi almeno della vostra compagnia, finchè saremo usciti da questa contrada: sappiate ch'ella va per le guerre della Santa Sede col Re Manfredi tutta piena all'intorno di ladri, e di gente di malo affare; non mi negate questa cortesia, che vi possano guardare sempre benigni gli occhi della vostra dama!"

"Io non vo' compagnia: se ti senti debole, perchè ti metti in pericolo? La vita deve nudrirsi col dolore: perchè vuoi sfuggire la tua parte, o perchè pretendi che un altro la consumi con te? Io penso a me. Qualora la tua salvezza dipendesse da un moto della mia mano, da un cenno dei miei occhi, - non lo sperare: i tuoi tormenti faranno le mie gioie, perchè conoscerò che non sono maledetto solo. - Non sai che il pianto della disperazione scende rugiada di conforto all'anima disperata? Or via, allontánati: se insisti a voler essere mio compagno, il mio pugnale mi farà solo. - L'uomo non è compagnia conveniente all'uomo: - più tosto il serpente del deserto." Profferite queste parole, si allontanò. Giunse alla riviera, trovando barca da passarla, si dette lungo la riva a seguitarne la corrente, sperando rinvenire un ponte.

Venne il mattino. Spuntava il pianeta nella maestà dei suoi raggi, e spargeva il calore e la luce sopra tutte le cose: le acque del fiume parevano rallegrarsi di rivedere il sole, e il sole le acque del fiume: tremolavano queste agitate dal vento matutino, quello vi diffondeva i suoi raggi: e quindi ne usciva un brillare lucido, spesso, incessante, veloce, che gli occhi non potevano sostenere, ed era pur vago a vedersi: - pareva la gioia di due amici che si abbracciano dopo molti anni di trascorsi pericoli, e di lontananza. La campagna suonava tutta armonia di tinte variate, di canto, e di odori, - il giubbilo della natura! Forse vi ha un'ora del giorno nella quale la terra ci si mostra quale apparve nei primi tempi della creazione avanti che i nostri padri peccassero, e questa è certamente quella in cui il sole ritorna ad illuminarla. Iddio nella sua sapienza la dette in premio al rassegnato, il quale sorge coll'alba per eseguire la condanna del travaglio, che percuote la discendenza di Adamo; o più tosto in ricompensa del suo stato, perchè l'operoso sia povero, e il suo vegliare col sorger del sole è per colui che non lo vide giammai, se non quando comincia a declinare. Venne il mezzogiorno, - il bel mezzogiorno nei sereni di estate. Che mai incontriamo quaggiù che valga l'azzurro dei cieli? L'occhio della bellezza, ci ha detto un gentile poeta, addita la via che al ciel conduce40, ma non può assomigliarlo. - La maestà del cielo sta sola come la onnipotenza del suo Creatore. La stella della vita, tutta rigogliosa di giovanezza, gode illuminare quella vôlta divina, e quella vôlta offre un campo sterminato alla pompa dei suoi raggi: - belle ambedue, amano parteciparsi la loro beltà. O figlio della terra! in cotesta ora di conforto non abbassare il guardo a tua madre, che ti sostiene: gli uomini hanno spogliato i campi dei frutti del sudore per mantenere una vita di stento, e di miseria: - non volgere lo sguardo a tua madre, che ti sostiene, o la illusione svanisce: - tienlo fisso nel firmamento; il Creatore ti ha conformato per questo.

Salute, salute, o sole, che susciti, e circoscrivi le vite; salute, o fonte di generazione, e di morte! Tu hai veduto con questi stessi raggi il luogo del nascimento, e la tomba dei nostri primi parenti; tu vedrai quella degli ultimi nepoti: le nazioni scomparvero dinanzi a te come le acque del torrente, come l'arena del deserto. Gli uomini ti hanno maledetto, e tu non hai cessato di spargere le benedizioni della luce sopra di loro; ti hanno offerto incensi, e preghiere, come a un Dio, e tu non hai aumentato i tuoi fuochi; - sempre grande, sempre immutabile nella tua bontà. Spesso una nuvoletta, figlia di vapore terreno, ingombrò quelle vôlte destinate a te solo, e tu la vestisti di tal candidezza, che parve la fronte della innocenza: ma ella si annerò come l'ingrato, e mosse guerra ai tuoi raggi; - il sereno fu spento, ma per noi; - la procella fremè, ma sopra le nostre teste; - il fulmine era sotto di te, e la tua luce, sempre bella e pacata, rise della sua tenebrosa vita di un'ora.

Saranno dunque eterni i tuoi raggi? Donde traesti le tue fiamme? Come le mantieni? Sopravviverai all'ultimo dei viventi? Sei per te, od una forza ti costringe ad essere? No: - adoriamo: - egli è lucido, e caloroso.

Venne il crepuscolo della sera, il quale, tuttochè screziato con più gran numero di colori di quello della mattina, nonpertanto scende tristamente mesto. Un raggio di oro e di porpora infiamma que' confini, dove pare che il cielo inchinandosi si unisca all'oceano; ma quel raggio è di cosa trapassata, ed ha la impronta della sua decadenza: - sembra la fama di un potente, che, comunque scomparso dalla faccia del mondo, abbia depositata la sua memoria nella istoria, e come può meglio si rinnuovi con essa nei secoli futuri. Questa agonia tra la luce e le tenebre dura solenne quanto quella tra la vita e la morte; ella si unisce a tutto ciò che si agita di affettuoso nel nostro cuore: abbandona l'operaio il travaglio, il filosofo la meditazione, per lasciare l'anima in balía dei suoi malinconici sentimenti. Questa ora è la prova dei teneri cuori: se un nemico trovasse il suo nemico, e lo domandasse di perdono, questi quantunque capace di ritornare nella notte ai proponimenti di vendetta, e ad eseguirli, non potrebbe ricusarlo adesso. - Infelice colui, che vede il giorno che muore senza sentirne pietà! - mille volte più infelice di quello, che può vedere il giorno che nasce senza sentirne allegrezza!

Tutta questa maravigliosa vicenda della Natura si era operata innanzi gli occhi di Rogiero, il quale comecchè non le ponesse mente, ne sentiva gl'influssi: furono i suoi pensieri la mattina feroci, erano adesso pieni di mestizia. Già il suo cavallo da qualche tempo camminava a stento nell'interno d'una foresta; Rogiero si guardò attorno per vedere alcuno abituro di cristiani, ma il suo occhio si smarrì inutilmente tra le fronde: tese l'orecchio: - da per tutto silenzio, meno il susurro misterioso, che fanno gli alberi, quantunque agitati da poco vento. Scese; si sentiva il corpo indebolito; tolse il morso al cavallo, che tutto lieto nitrì, come se durare ogni travaglio pel suo signore fosse dovere, e la cessazione di questo travaglio meritasse la sua riconoscenza. Rogiero lo palpò con affetto, e quando, ponendogli una mano sul fianco, lo sentì grommoso di sangue rappreso, e dare una scossa leggiera per la puntura della piaga inasprita, dimenticando ogni altro suo affanno, proruppe in voce lamentevole: "Allah! mio buon destriero! vedi che cosa si ricava dall'uomo scempio per la sciagura! Ahimè! comportarci con l'amico, come si farebbe co' più crudeli nemici, è segno manifesto di mente ammalata." - E sollevò gli sguardi al firmamento, e mormorò. Dipoi, tutto armato come era, si stese sul terreno, facendosi guanciale della rotella. Molta l'opprimeva la stanchezza; da prima la sua mente si fissò in un pensiero solo; di a poco una serie infinita di pensieri gli si avvolse per la testa; essi erano in principio distinti, ma spesso interrotti; e succeduti da altri disordinati, e senza séguito, diventarono finalmente confusi: gli occhi aggravati, lento lento si chiusero, e Rogieroaddormentò.

Rimase alquanto tempo in quello stato, allorchè uno schiamazzo di risa, di bestemmie, e di male parole, come usa fare la gente della plebe, tutto ad un tratto lo risvegliò. A breve distanza da lui, tra le frasche della boscaglia, vide un gran fuoco, e innanzi a quello uomini di fiero aspetto, tutti coperti di arme, che tripudiavano in orribile maniera: sentì pure, allorchè quei loro stridi infernali diminuivano, una voce piangente lamentarsi, e a quella voce rispondere con risa smoderate, ed ingiurie. La più parte degli uomini di quel tempo si sarebbe fatto il segno della salute, e fuggendo, come se mille diavoli la cacciassero, avrebbe giurato di avere veduto il Sabbato, - le oscene tresche delle streghe al lume della luna; - il demonio in forma di caprone nero accogliere le adorazioni della congrega, - scannare un bambino, - offerire il suo cuore sanguinoso su l'altare nella messa di esecrazione, celebrata con l'ostia nera; e simili altri errori, di che la buona gente d'oggidì schernisce l'antica, come se fosse sicura, che la veniente non riderà di lei per le stoltezze delle quali a sua posta va ingombra. Rogiero, sguainata la spada, studiando il passo, si accostò al luogo dello spettacolo; di lieve conobbe com'essi fossero masnadieri, ma non così súbito si accôrse della cagione della loro gioia. Osservando meglio, gli venne fatto vedere un uomo, che dalla voce, sebbene alterata per la presente paura, e pel pianto, gli parve quel desso, che la mattina lo aveva richiesto della sua compagnia. Le sue vesti erano veramente da povero: portava gonnella grigia con sarrocchino ornato di conchiglie, come correva l'usanza di coloro che tornavano di Terra Santa; poteva avere cinquanta anni; di corpo sottile; e sembrava dover essere destrissimo; il volto pallido, tutto increspato di rughe; gli occhi infossati, all'intorno lividi; mala pupilla nerissima.

"Nota bene, perchè io non vo' che tu creda che noi ti usiamo villania, e devi persuaderti tu stesso, che è bene che tu muoia. Ti abbiamo frugato da capo ai piedi, e non ti abbiamo trovato immagine di Santo, corona di Madonna, ma sì questa borsa piena di agostari lucidi e nuovi, che fa piacere a vederli: questo già, come pensi, è meglio per noi; ma tu vedi bene come non paia merce da pellegrini cotesta: e poniamo anche che fosse, come hai potuto, tapinando pel mondo, raccoglierli tutti nuovi, e di uno stesso anno? Dunque non sei un pellegrino. Rimarrebbe a vedere se sei ladro, o spione; ma risparmierò questa ricerca, perchè in ogni caso bisogna che tu muoia: se sei ladro, come pare, la gelosia di mestiere, il timore di vedere l'arte in mano di troppi, adesso che gli affari si fanno scarsissimi, ci consigliano ammazzarti: se spia, il piacere della vendetta, la certezza che tu non ci nuocerai più in avvenire, ci consigliano parimente ammazzarti. La carità, fratel mio, è pure la grande virtù, ma ho inteso sovente, che, per dirsi perfetta, deva cominciare da stesso: ora la tua carità procede affatto opposta alla mia; tu sei debole, ed io sono forte; tu fuggivi, ed io ti ho raggiunto, dunque ti uccido. Che parti, so di logica io?"

Questo discorso fu tenuto da un masnadiere, che sembrava avere una certa preminenza su gli altri: egli compariva di bel sembiante, giovane, e grande; il suo viso, dal mezzo in su, pel sopracciglio nero quasi sempre aggrottato, la fronte rugosa, gli occhi minaccevoli, veramente spauriva terribile; dal mezzo in giù, la bocca vermiglia, sempre ridente, lieta di candidissimi denti, lo dinotava amante dello scherzo e della gioia; era in somma il suo volto una contradizione, e la sua anima ancora più: indole unica tra noi, ch'io non posso con sommo mio rammarico svolgere a lungo in questa storia, però che quegli che la possedè ebbe a piegare ad immaturo destino. Al fine delle sue parole, i circostanti urlarono a coro: "Ha ragione Drengotto, ha ragione!"

Il mal capitato pellegrino, quando conobbe di potere essere inteso, si gettò ai piedi del masnadiere, e: "Bel cavaliere," gli disse "non vogliate porre le mani nel sangue innocente, che so che commettereste troppo grande peccato. Io vi giuro alla croce di Dio, che non sono ladro, spia. Quegli agostari ho avuti da un Barone di Chieti, che mi albergò una notte per carità nel suo castello, e mi ordinò recarli all'Abbate di Montecassino, affinchè ne fosse detto tanto bene secondo la sua intenzione. Intesi dire pel vicinato ch'egli in sua gioventù s'era fatto reo di molti omicidii, e di altre male opere; ed ora che sentiva con la vecchiezza avvicinarsi la morte, il pentimento gli aveva toccato il cuore, e gli si era cacciato addosso una súbita paura del demonio.... e voi, signor cavaliere, non temete il demonio?"

"Si temono esse le vecchie amicizie?"

"Deh via! non offendete il povero, ch'egli è il protetto del Signore; lasciatemi pel mio cammino; io pregherò quanto più posso per voi.... non siete un'anima cristiana? perchè volete perder la mia che vi è sorella in Cristo?"

"Nego minorem" rispose il masnadiere. "Prima di tutto, perchè il tuo argomento camminasse, si vorrebbe dimostrare che tu ne abbi una. Ma via, poniamolo come provato: o tu l'hai buona, o tu l'hai trista; se buona, che cosa ha questa vita che ti piaccia? ella è una trama di angoscie, il mondo una fossa di fiere; a te solo sarebbe concesso mutare la tua specie; questa è opera divina; non ti rimane che piangerla. Godi dunque di accostarti al Principio di tutte le perfezioni, godi di andare quanto più puoi veloce a godere il retaggio della gioia che il tuo Signore ti ha promesso. Se ella è trista, lo scellerato ha stretto un contratto con la innocenza; questa gli ha venduto il delitto, quello le ha promesso il prezzo della pena, ed io me ne faccio il suo esattore."

"E chi vi ha dato questo diritto su la mia vita?"

"La forza, fratello, la forza. E pensi tu, che quando mi avranno preso, e, secondo i costumi del paese, arso, o impiccato, o sotterrato vivo a nome delle leggi, per volere di un potente Dei gratia, con una sentenza fatta per filo e per segno in nome di Dio, amen, piena di citazioni d'Irnerio, di Bulgaro, e simili baccalari, che ci avranno proprio che fare come Pilato nel Credo, avranno in sostanza migliore diritto che questo? - La forza, fratello, è la gran madre Eva di tutti i diritti."

E qui i masnadieri, fino a quel punto intentissimi alla disputa, gridarono a gola spiegata: "Bravo il nostro dottore! egli è un valente uomo Drengotto!"

"Oh! signore mio, voi siete troppo savio maestro di argomentazioni, perchè un povero accattone possa venire in contesa con voi, io vi scongiuro per l'anima di vostro padre, s'è morto...."

"Questo è quello che non so neppure io. Pover'uomo! E mi ricordo, che mi voleva bene, ma bene assai; gli dicevano tutti che io era il ritratto vivente di madonna Ermellina, ed egli aveva coralmente amato madonna mia madre. Fecemi apprendere gramatica, ed il maestro, che ne traeva grosso salario, gli andava susurrando alle orecchie: - il bello ingegno di quel vostro garzone, messere! E' mi pare di vederlo Giudice della ragione civile, e chi sa? anche Governatore, e, se la fortuna lo porta, forse Gran Giustiziere, o Protonotario della corona. - Il buon uomo, pieno di questi pensieri, datimi libri, danari e palafreno, con molte lagrime, e raccomandazioni di farmi valoroso in jure, mi accomodò con certo mercadante suo amico, che partiva per Bologna, e mi mandò allo studio. Di a due mesi, venduti libri e palafreno, mi tornai a casa in farsetto; composi una mia novella; messere la credè, e aspettava il nuovo anno per rimandarmi a Bologna. Intanto io, se non aveva imparato lo jus, aveva imparato tra gli scolari tutti i vizii, che furono, sono, e potranno essere, e più. Aveva bisogno di danari, e questi mi forniva assai sottilmente mio padre, perchè con la vecchiezza suole venire l'avarizia: mi cadde in mente di rubarglieli; osservai dove tenesse il forziere; mi accorsi che stava riposto in una cameretta in capo della scala; mi provvidi di arnesi, ed una bella notte mi apprestai all'opera; apersi agevolmente l'uscio, e la cassa; tutto era andato a dovere, e già toccava il danaro, e già lo prendeva, e.... ma ciò facendo con poco senno, e manco precauzione, lasciai andarne un pugno per terra; le monete cadute mandarono un suono, che mi abbrividì di spavento: alcune di queste ruzzolando ruzzolando trovarono l'uscio aperto, e si cacciarono giù per le scale; ogni balzo che facevano su i gradini, era per me una stoccata per mezzo del cuore: rimasi un momento incerto, come colui che si sente sconfortato dalla paura e dalla vergogna, e questo momento fu che mi perdè. Mio padre, udito il romore, amando più della vita il danaro, che egli chiamava suo secondo sangue, venne a precipizio alla mia volta: quando io volli fuggire, me lo trovai innanzi al cammino, egli mi afferrò alla gola, e stringeva di buona mano. Intanto la fante strepitava: "Aiuto! misericordia! al ladro, al ladro!" Ormai parevami vedere giungere tutto il vicinato co' lumi, sentire i loro rimproveri, quelli del padre; un peso insopportabile di avvilimento mi si aggravava sul capo; detti in questo pensiero una scossa violenta; mio padre cadde riverso, la scala gli stava alle spalle, vi precipitò, io dietro; egli percosse su la pietra, io sopra lui; mi alzai, gli passai sopra il petto, fuggii.... le mani ed il viso aveva imbrattato di sangue: sicchè vedi che amore pel padre sia stato il mio! Ma io non credei che ne dovesse uscire un tanto danno; vi giuro ch'io noi credei. Voi tutti avreste fatto lo stesso, compagni, non è egli vero? ditemi, in nome di Dio, non avreste fatto lo stesso? Qual vita, o quale affetto può avere prezzo agli occhi del ladro in paragone della cosa rapita? E poi c'entrava l'onore, perchè, se mi ricordo bene, trattandosi di cosa lontana, mi pare che io fossi in cotesti tempi onorato."

E sì parlando rise, ma di un cotale riso sfumato che gli morì a fiore di labbro: i compagni applaudirono, perchè tra loro convennero che il detto non era arguto; ma in sostanza, perchè fu troppo scellerato per chiunque ha viscere di umanità. Drengotto passò due o tre volte la mano su la fronte, quasi per cacciarne, quella immagine, e quindi riprese a favellare: "Or via, pellegrino. perchè sei ostinato a non volerti persuadere che la tua morte è un bene, cosa per la quale soltanto meriteresti morire, vediamo se potrò rendertene desideroso col modo con cui intendo apprestartela. Vo' dunque che tu sappi, che, essendo io stato a studio, amo darti una morte latina. La gloriosa Serenità dell'Imperatore Federigo, che il demonio faccia pace alle sue ossa, tra gli altri suoi ritrovati inventò la pena del propagginare, da propago propaginis, che vuol dire germoglio: questa, come vedrai, è morte curiosa, perchè si fa un buco per terra profondo quanto tu sei alto, e più; poi ti ci adattiamo capovolto, poi terra sopra: che partene? non si ha da chiamare ella questa immaginazione veramente imperiale?"

"Sì, propagginiamolo, propagginiamolo!" urlarono quei feroci, e si posero tutti di concerto a cavar terra.

"Oh! Santa Vergine, assistetemi voi!" esclamò il pellegrino smarrito dalla paura.

"Vergognati, via," gli disse Drengotto "apparecchiati a morire di buona grazia; anzi ti godi nel piacere della vendetta: tu così propagginato germoglierai; dal seme della spia deve nascere di certo il legno della forca; e tu lusinga queste ultime ore nella speranza, che un giorno o l'altro saremo frutti del tuo albero."

"Non mi uccidete, magnifico cavaliere, non mi uccidete, pel vostro battesimo, per la benedizione di Dio e dei Santi; tenetemi per vostro fante; io so come si governa un cavallo, avrò amore ai vostri, e a voi; vi servirò fedelmente. Oh! liberatemi, signore, da questo affanno; la morte è troppo grave dolore." E intanto piangeva e singhiozzava interrotto.

"Chi ti ha detto che sia un dolore? Tu non sei mai morto per saperlo; un'altra volta potrò crederti, ma per questa non posso darti fede."

"Oh! sì, ch'ella è dolorosa; vedete come tremo al solo sentire nominarla? e voi pure tremereste se vi foste vicino: perchè avremmo noi questo istinto di vita, se la morte non fosse angosciosa?" E qui tornava a singhiozzare e a pregare con disperate parole.

"Deh! non piangere, fratello; tu mi muovi proprio a compassione: vedi, anche Federigo il glorioso Imperatore, ch'era molto maggiore uomo che non sei tu, è morto; anche Innocenzio, il sapiente Pontefice; ed io, io pure, nato di messer Tafo di Andreuccio, che teneva banco di cambio nella città di Napoli, e di madonna Ermellina di maestro Gentile; io pure, che ho appreso lo jus civile, e la ragione canonica, nello Studio di Bologna, bello, giovane e forte, sono destinato a morire41. Nasciamo tutti con questo patto; ella è condizione sine qua non: l'eternità ci concede alcuni anni di vita: non piangere sopra la tua sventura; o piangi, e piangerò teco, su la nostra schiatta infelice. - Avete lesta la fossa?"

Il pellegrino, che dal suono pietoso col quale il masnadiere aveva proferito il precedente discorso, si era alquanto rassicurato, non è da dirsi qual rimanesse quando ne intese la chiusa; e molto meno è da dirsi, quando sentì ripetere attorno: "È lesta, è lesta!"

I masnadieri gli si fecero addosso; egli provò di schermirsi, menava calci, mordeva chiunque gli si accostava: preso, più di una volta, uscì loro di mano; i muscoli del suo volto si agitavano convulsi; urlava da spiritato, volgeva qua e velocemente gli sguardi atterriti, faceva gli sforzi della disperazione: alfine giunsero a tenerlo, lo capivoltarono; i suoi stridi divennero, se non più forti, più feroci: lo accostarono alla fossa.

"O gran madre di Dio, aiutatemi voi!" diceva per via con ammirabile celerità. "San Germano! Santo Ermo! San Filippello d'Argiro! Angeli ed Arcangeli, abbiate pietà dell'anima mia! Santi martiri e confessori...."

"Manco male, via," interruppe Drengotto "se non va a morte persuaso, almeno ci va pentito: sentite come canta le litanie dei Santi!"

"Ben detto! ben detto!" con un tumulto di risa esclamarono quegli empii, e già erano giunti alla fossa. il male arrivato faceva invano incredibili sforzi: ormai vi avevano introdotto il capo, ogni speranza sembrava perduta. Allo improvviso si fanno sentire tre suoni di corno; i masnadieri tutti spaventati lo lasciano cadere, e, senza punto badare a ciò che fosse per succedere di lui, tolte ognuno le sue armi, sotto gli ordini di Drengotto si dispongono in atto di ricevere qualche gran personaggio. Si volgevano tutti ora qua ora , incerti da dove sarebbe per comparire costui; imperciocchè la selva sorgesse folta dintorno, e il ronzío delle fronde ne celasse il suono delle pedate. Di súbito vide Rogiero scaturire dalla tenebra, e svelare innanzi al chiarore tutta la maestà delle sue forme un uomo di membra gigantesche, era vestito come gli rimanenti masnadieri, se non che aveva di più il corsaletto di piastra di ferro, diligentemente forbito, il corno al fianco, e una piuma al berretto. La fiamma rifletteva sopra il suo sembiante una luce vermiglia; e quei suoi lineamenti gagliardi, il sopracciglio irsuto, l'occhio sanguigno, lo dimostravano sottoposto al dominio di feroci passioni, mentre che la testa elevata, la fronte ampia, acuta negli angoli delle tempie, il mento un po' ritorto all'insù, le labbra strettamente compresse, lo dicevano d'irremovibile volontà, e nato a dominare. Quel suo volto, sebbene severo, non aveva nulla di spaventevole, anzi ispirava a chi lo avesse fissato un senso di fiducia, cosa che sempre si osserva nelle sembianze di quegli uomini che sono di anima e di corpo sicuri. Lo seguitavano quattro masnadieri che conducevano quantità di muli, a quel che pareva, carichi di derrate. Allorquando si furono avanzati, il condottiere guardò tutti i compagni, e con modo signorile cortesemente disse loro: "Salute."

"Addio, condottiero!" risposero i masnadieri.

"Ecco che Dio non vuole la distruzione di cui l'offende: noi abbiamo conquistato di che provvedere assai tempo al bisogno, - al bisogno che ci mette l'arme alla mano contro i nostri fratelli."

"Conquistato!" esclamò uno dei quattro armati che avevano seguíto il condottiero "conquistato! Potevamo in vero, e di leggieri, conquistarlo, ma voi l'avete voluto comprare in tante buone monete d'oro di Federigo II."

"E non parti ella una conquista, Beltramo? - Con l'oro, più che col ferro, in oggi si vince il mondo, e per lungo tempo, del quale non vedo la fine, ancora si vincerà."

"Non so che dire su questo," rispose Beltramo "ma potevano certamente essere tutti risparmiati."

"Gli avete spesi voi? Ve ne ho io chiesto la vostra parte? Oh! non aggraviamo di grazia la nostra mano su l'infelice, oppresso dal caso e dagli uomini: insegniamo a questi uomini, che ci hanno ributtato dal seno, che siamo migliori di loro. - Di vero io poteva levare a quei poveri vassalli le robe che portavano al mercato, e lasciare loro il danno per prezzo: ma potresti, Beltramo, cibarti di coteste vettovaglie, senza pensare al pianto che susciterebbe il duro esattore del Barone, allorchè andasse in giro a raccogliere il livello, ed essi non avessero da pagarlo per cagione nostra? No, no; il pane rubato al povero non conforta l'anima il corpo. E stasera, tornati tutti festosi alle loro famiglie, racconteranno: - Cinque cavalieri ci occorsero per via; noi fuggimmo, lasciando le robe per salvare la vita; essi potevano toglierle, ma ci richiamarono; e le vollero pagare con più profitto, che se fossimo andati fino al mercato. - E quando pregheranno, vado sicuro che ci rammenteranno nelle loro orazioni, e i nostri nomi saliranno al cielo con quelli dei Santi.... sì con quelli dei Santi; e Dio, sentendoci esaltati nella bocca dei suoi eletti, ci guarderà nella sua misericordia, ci vedrà infelici, e forse ci torrà da questa vita, angoscia per noi, spavento per gli altri: Iddio è pietoso nelle opere sue."

"Amen" disse sotto voce Drengotto.

"Perchè dici amen, Drengotto?" lo interrogò un masnadiero che gli stava più prossimo.

"Perchè la predica è finita: già la sua fine deve essere un cordone, o alla vita o alla gola."

"Drengotto!" chiamò il condottiero.

Il chiamato uscì di fila, e presentatosi baldanzoso innanzi di lui rispose: "Adsum, messere."

"Rendetemi conto della giornata."

"Ella è cosa di poco momento, messere Ghino: abbiamo corso e ricorso tutto il giorno dal bosco alla riviera, ma non si presentò Saracino Cristiano: tornavamo dunque verso sera a mani vuote a casa, allorchè i cani fiutando e abbaiando si sono lanciati entro un macchione, e noi dietro di loro; quivi abbiamo veduto che avevano addentato una bestia di pellegrino che giace in terra: siamo subito accorsi a liberarlo; perchè, un poco più che tardassimo, lo spartivano da buoni fratelli in uguali porzioni tra loro."

"Ben fatto."

"Alcuni di nostra compagnia volevano che lo lasciassimo andare; ma noi per la pienezza del potere che ci avete delegato, ci siamo opposti, ed abbiamo detto: vediamo se il buon pellegrino porta in dosso reliquie e corone; peccatori come siamo non ardiremo porre le mani sopra le sante ossa, questo va bene; ma se ha argento, oro, o pietruzze dattorno, noi le prenderemo, perchè elleno sono vanità, e noi siamo in questo censori solenni di costumi. Dopo questo ci siamo messi a frugarlo, e mirabile visu! niun Santo si annidava sopra costui, ma questa borsa piena di agostari d'oro."

"O gloriosissimo Barone, per l'onore della vostra famiglia, per la pace dei vostri defunti, salvatemi da quel feroce, che, e nei detti e nelle opere, sembra essere il primogenito del demonio: vedete che mi ha preparato la buca per propagginarmi." Così interruppe il pellegrino, che, ascoltato il parlare soave del condottiero, si era levato su le ginocchia, e a questo modo, strascinandosi, recato fino ai piedi di lui. I masnadieri nel vederlo comparire in quell'atto, con la paura della morte sul viso, imbrattato di fango e di polvere, proruppero in alte risa, le quali furono tosto represse dal sembiante del rigido condottiero.

"Alzati," disse Ghino "l'uomo non dee prostrarsi che innanzi alla Divinità;" e scioltegli le mani soggiunse: "sei libero." Poi, quasi per evitare le solite formule di ringraziamento, sempre inutili per l'uomo sapiente che conosce la gratitudine del beneficato dalla espressione del volto, si volse a Drengotto, e domandò: "È egli ben vero ciò che sento dire di voi?"

"Messer sì."

 "Perchè volevate far questo?"

"Oh! non era nulla: amavamo così avere un per esempio del come Federigo Imperatore faceva morire i nostri colleghi, quando gli capitavano tra mano."

"Avete trasgredito una legge della nostra compagnia voi meritate una pena."

"Chi ha fatto codeste leggi, messere?"

"La nostra libera volontà."

"E chi ha fatto il carro lo può disfare. Tutto varia in questo mondo, riti, lingue, costumi, cielo e terra, e non dovrà mutare un codice di masnadieri, fatto dopo cena col bicchiere alla mano?"

"Chi è quegli che vuol mutarlo qui?" gridò Ghino con tale una voce che strinse i cuori dei suoi compagni, girando certi occhi all'intorno, che fecero abbassare tutti quelli nei quali s'incontrarono: "chi è che vuol mutarlo qui? La nostra piccola società procede diversa dalla grande, che comprende la vasta famiglia degli uomini: qui non sono patti ai quali non siate intervenuti, non promesse che voi non abbiate fatto, o giurato; non leggi, se non prima da voi lungamente discusse, e con pienezza di consenso votate. Voi tutti vi dipartiste dalla gran società, perchè odiaste, o sivvero offendeste, i suoi statuti; ma intervenendo in un'altra, gli statuti e le costituzioni non erano niente meno necessarii: nessuna rettitudine d'ordine senza legge, nessuna durata di scambievole fratellanza. Le leggi discusse e giurate non si vogliono toccare così di leggieri, e mai, se fosse possibile; altramente operando, daremmo trista opinione della umana sapienza, e della eterna giustizia, accennando, con tanta mutabilità di provvedimenti, che non si bene in questo mondo, o che è cosa disperata conseguirlo. Stiamo lontani dagli uomini con tali pensieri, e con tali atti, che un giorno, richiamati tra loro, non adontiamo di alzare la testa, e dire: - voi foste gli scellerati, quando perseguitaste la innocenza. Nessuno vive tra noi che nel secreto del suo cuore non palpiti alle care ricordanze di padre, di figlio, di parente, di amico; nessuno che non sospiri le case paterne, e i dolci castelli: forse i nostri occhi non vedranno il giorno del perdono, ma noi non cessiamo di sospirare quel giorno. Tutto è legge nel creato, ed ordine stabilito: lo stesso Onnipotente si sottopose alle leggi, senza le quali egli sarebbe, noi saremmo; la bontà, la misericordia, ed altri assai sono i suoi attributi, egli può allontanarsi da questo sentiero, che la sua sapienza ha stabilito percorrere fin dal principio dei secoli."

"Non mi parlate di leggi," urlò schernendo Drengotto "nessuno può meglio persuadervi, che non sono leggi, quanto colui che ne ha fatto lo studio. Se la nostra natura le avesse volute, ce le avrebbe date; e senza scritto tra mezzo saremmo buoni, compassionevoli, e giusti: ma noi siamo al contrario naturalmente tristi, ingiusti, e crudeli. Rugge qui dentro il nostro cuore una rabbia amorosa di noi, la quale ci grida incessantemente - Primo mihi: la gioia altrui è un attentato alla tua, perchè ti toglie porzione del retaggio al quale tu aneli: ognuno si fa centro del creato; il mondo è il suo circolo; gl'interessi di tutti i viventi formano i raggi che si devono concentrare in lui, e questo è certo: non parlo arguto io? Occorrono nelle società degli uomini persone che traggono tutto il vantaggio da tali condizioni, che o non furono mai convenute, o furono, ma con principii diversi, o pure in un momento di ebbrezza, come noi abbiamo fatto le nostre: ch'esse si studino di conservarle, sta bene; ci va del proprio vantaggio, e anche io farei lo stesso in quel caso. L'uomo, che trova alla sua azione, resa manifesta, lo intoppo di una forca, non muta sentimento, nasconde l'azione; e quindi ne nasce quella guerra perpetua di furti, d'inganni, e di frodi, che non pure non si punisce, ma si loda dicendo: - costui provvede accortamente alle cose sue. Chi più nemico alla società di un uomo che toglie moglie? e pure il matrimonio dicesi essere un principio essenziale di questa società: vedete contradizione! ogni figlio che gli nasce gli un motivo di guerra di più contro i suoi simili; vorrebbe ch'essi soli fossero felici; lo cerca a prezzo della felicità universale: e poichè pare che non sia stata concessa somma di bene capace a soddisfare tutti, od anche volontà da soddisfarsi, per ogni avventuroso devono vivere cento nel fondo della miseria: quegli ori, quei vasi preziosi, quei cibi apprestati per pompa, non per bisogno, su la mensa del ricco, non vi starebbero, se negli infiniti ricoveri del povero fosse pane da sfamarsi, mezzina da bere, letto da riposare. Io per me vorrei, che allorquando celebrano un matrimonio, la chiesa fosse parata a lutto, e le campane suonassero a morto, come si usa nelle pubbliche calamità: - un matrimonio nuoce agli uomini più di due delitti...."

"Distruggi dunque, scellerato, distruggi; cotesta facultà appartiene al demonio: nella sua eternità di dolore egli ama le rovine, e i mucchi di cadaveri; essi sono il suo trono, dove regna tormentando, e schernendo le anime che si sono affidate a lui; ma egli è immortale, e vive per propria entità: tu, atomo, miscuglio d'imbecillità e di creta, più fragile in mano dell'Eterno, che paglia sotto il piede dell'elefante, come giungerai a questa potenza di male? Come schiverai la guerra di tutti contro di te? Ti sarà data la caccia come alla fiera del bosco, e tu morrai coll'angoscia di essere una memoria di esecrazione e di stoltezza per quelli che verranno. Ma poniamo che tu vi giunga: che cosa avrai fatto, quando avrai distrutto? come sopporterai la tua esistenza? come l'aspide del rimorso che ti roderà le viscere? Non udrai più voce nel mondo: ma come sfuggirai quelle della tua coscienza? Sarai come l'uracano nel deserto; vivrai solo, morirai solo. - Oh stolto! tu non conosci tutte le amarezze della solitudine, e possa Dio non fartele conoscere mai!"

"E v'è un proverbio, messere, che dice: meglio soli che male accompagnati; ed i proverbii sono cose da tenersi in conto, perchè, siccome ho udito nello Studio a Bologna, significano probatum verbum, parola approvata dalla esperienza dei secoli e dal consenso degli uomini: ma, e poi, quello che avete detto riguarda il séguito; allora provvederemo ai casi nostri; intanto ci giova vivere come viviamo."

"Ahi scellerato! E come puoi giovarti del sangue del fiacco che piange? qual diletto o quale utile puoi ritrovare a spengere barbaramente chi ti stringe le ginocchia, e implora la tua pietà? - Pensa, che un giorno dovrai a tua volta essere giudicato."

"Che volete? ogni uomo ha le sue opinioni, ed io ho questa. E' visse un popolo nell'antichità, come mi dicevano i miei maestri, che faceva morire per compassione i mal fatti di corpo, e si trova chi lo loda; or come, uccidendo io i male disposti di cuore, che è molto peggiore cosa, potrebbero biasimarmi? L'antichità si reputa madre solenne di utili ammaestramenti, messere."

"E chi sei tu, che pretendi scrutinare i pensieri dell'uomo, e vuoi assumere la più portentosa qualità del Signore? Se veramente cotesti sono i tuoi sentimenti, tu meriti, piuttosto che ragioni, pugnalate. Questo ti basti, che il debole non fu mai trucidato che dal vile: la storia del lione San Marco, che pochi anni fa salvò a Fiorenza il bambino Orlanduccio, t'insegni, che il forte è magnanimo."42

"Con questo mi pare che vogliate tacciarmi di vile, e voi mi dite cosa senza significato; io vi dirò onesto, e avremo detto una menzogna od una stoltezza per uno."

"Drengotto!"

"Eh via! gettiamo questa sopravvesta di virtù che non conviene a noi altri che facciamo mestiere di rubare le strade: non vedete che sembriamo il demonio in abito da cappuccino? guardiamoci nella nostra nudità; ella è schifosa, ma noi abbiamo cuore da sostenerla: diciamoci apertamente scellerati; che cosa giova celarlo? tanto, nessuno ci crede. Ecco qui, - sia onore, sia pena, ognuno di noi porta il segno di Caino sopra la fronte; avrete un bel tirarvi il berretto su gli occhi; il segno sfonderà il panno e si farà vedere; ovvero accadrà di voi come di quella donna, che per celarsi lo sfregio del volto si pose la gonnella in capo e mostrò nudo il di sotto. Siamo almeno sinceri, poichè col fingere non possiamo ingannarci; renunziamo all'apparenza d'una virtù, dalla quale non ricaviamo altro frutto, che lo scherno del diavolo. - L'essere così pienamente ribaldi senza legge, deve tornare più che farla da onesti con la legge: nel primo stato sei sempre sicuro, perchè ti guardi; nel secondo ti affidi, e sei ingannato: ed allora che ti rimane? il pianto! - il conforto dell'imbecille. Io scommetterei, messer Ghino, questa mia spada di Damasco, che voi, voi stesso, con tutta la vostra generosità, se il Papa o Manfredi vi promettesse un feudo a condizione di tradirci, senza un baleno di esitanza ci vendereste tutti, come manzi al beccaio, anima e corpo."

"Drengotto!" gridò Ghino, e la sua mano ricorse al pugnale. Ma quello sciagurato, seguendo la sua trista loquacità, aggiungeva: "Ma noi vi guardiamo, perchè non abbiamo in voi migliore opinione di quella che, se voi siete savio, dovete avere di noi: per ciò ognuno faccia quello che gli aggrada; stiamo uniti finchè possiamo; quando non potremo più, o ci lasceremo, o ci distruggeremo, come meglio ci tornerà. Intanto lasciateci propagginare il nostro pellegrino. Libertà di azioni! viva la libertà!"

"Libertà di azioni!" gridarono alcuni ferocemente. E si muovevano per prendere il pellegrino; ma questi avendo veduto i masnadieri intenti nella contesa, côlto il tempo, curvato la persona, strisciato cautamente dietro di loro, se l'era data a gambe, così che adesso poteva avere fatto assai cammino. Rimasti delusi, volevano sciogliere i cani, frugare la foresta, rinvenirlo ad ogni costo, e propagginarlo. Ghino, seguitato dalla più parte dei suoi, cavò la spada, e gridò: "Io lo impedisco."

"Lasciateci fare, o che vi uccideremo!" urlarono i compagni di Drengotto.

"Me uccidere? vili ribaldi!" girandosi attorno mirabilmente la spada esclamò Ghino "alla prova!"

"Alla prova!" e già venivano al sangue. Allora Drengotto si fece innanzi gridando:

"Pace! pace! Messeri, udite un poco me prima. Ghino, come vedete, noi abbiamo due diverse opinioni: colle parole non ci possiamo comporre; che potremmo dire e dire fino al giorno del giudizio, ognuno persisterebbe nella sua; e posto ancora che uno giungesse a svolgere l'altro, ciò andrebbe troppo per le lunghe: finiamola dunque col pugnale, ch'è più breve. Non facciamo come i potenti della terra, i quali, quando hanno alcuno affare da strigare tra loro, costringono il gregge degli uomini ad ammazzarsi allegramente a nome della gloria, senza saperne il perchè; riteniamo anzi questi, che ci sosterrebbero volenterosi, rendiamo vane le speranze del carnefice, che farebbe gran pianto, se si uccidessero tra loro: tra noi sorse la rissa, si finisca tra noi; affidiamoci al giudizio di Dio."

"E Dio ti ha condannato: la mia spada non ha mai dato colpo in fallo."

"Questo so ancora io; crediate, messere, ch'io voglia un duello con voi; altra forza è la vostra, altra arte nelle armi, che non è la mia: voi avete trattato fino dai primi anni spada e lancia, io codice e comenti: facciamo in modo che niuno di noi abbia vantaggio; poniamo in terra i nostri pugnali, allontaniamoci cento passi, voi da una parte, io da un'altra; dato il segno, ognuno corra a raccogliere il suo; chi prima giunge, ferisca; che parvene?"

I masnadieri si tacquero. Ghino, riposta la spada, trasse il pugnale, e mostrandolo luccicante a Drengotto, gli disse: "Lo vuoi? Pensa che ho raggiunto il capriolo al corso, e Dio mi porrà l'ale ai piedi, perchè è causa sua."

"Tanto meglio per voi. Che volete? i nostri compagni aspettavano di vedere propagginato il pellegrino, egli fuggì per cagion vostra; una festa bisogna pur farla."

"Sia fatta la tua volontà, e il tuo sangue ricada su la tua testa."

Dopo questo, Ghino si raccolse un momento; poi scuotendo la fronte, gittò il pugnale con tanta forza, che più di mezzo l'internò nel terreno; quindi volte le spalle fece sembiante d'incamminarsi al suo luogo. Drengotto spiava questo momento; si avventa rattissimo, e già ficca con orribile perfidia il suo pugnale nel fianco di Ghino, allorquando una lama di spada si vede comparire di dietro ad un albero, e percuotere con tanta furia il braccio dello assassino, che la sua mano cade a terra recisa. La mano guizzò saltellando, e lasciò andare il pugnale; poi si aperse, e si richiuse celermente, come se tentasse afferrarlo di nuovo, e stette assai tempo innanzi di quietare quel moto. Il ferito gittò acutissimo strido, rimase un momento in piedi, finalmente cadde svenuto. Ghino volge la testa; conosce con un solo sguardo il caso, ed esclama: "Vive un Dio che punisce il tradimento!"

I masnadieri, maravigliati e atterriti, piegarono la faccia a terra, e dissero tra i denti quasi per forza: "Vive Dio?"

Come poi Rogiero si fosse rimasto immobile all'avventura del povero pellegrino, e di così giovevole aiuto sovvenisse il capo dei masnadieri, non riuscirà difficile a spiegarsi, qualora si voglia por mente a quello che ammaestra il buon Lavater, su gli effetti delle fisionomie. Occorrono di que' sembianti, dice egli, che al primo aspetto diventano il piacere dei tuoi occhi, la gioia del tuo cuore, punto ti persuadi che da te non sieno stati più visti; anzi ti senti suscitare nell'anima un affetto confuso, che si assomiglia a qualche lontana memoria di amore, e ti diletti ingannare te stesso, e credere che sieno gli amici della tua infanzia, i quali, sebbene scomparsi da anni ed anni, ti lasciarono nondimeno un lungo desiderio di loro; quindi il moto irresistibile di congiungerti a quelli, e chiamarli a parte delle tue gioie o dei tuoi affanni, ch'è così bello sfogare nel cuore di un amico: mentre all'opposto ne occorrono tali altri il cui aspetto t'inspira un senso di allontanamento, e se i tuoi occhi s'incontrano con gli occhi loro, tu sei costretto ad abbassarli; e se la tua bocca vuole indirizzare loro un discorso, le parole non ti escono intere, ma smozzicate; a stento, per modo che è un fastidio a sentirsi; per quanto ti studii, non giungerai a vincere questo naturale sgomento; forse la tua ragione potrà persuaderti a non odiarli, - ma amore non è passione che possa comandarsi all'anima nostra. Ed oltre a questa cagione, per stessa potentissima e naturale, ne concorsero alcune altre, alle quali forse non pensò il medesimo Rogiero, ma che tuttavolta poterono contribuire al suo atto senza ch'ei vi ponesse mente; e sono, che il caso del pellegrino si operò a qualche distanza dal luogo ove egli stava appiattato, e i masnadieri erano tutti concordi a propagginarlo, per lo che muoversi alla sua difesa era lo stesso che non salvare lui, e perdere stesso: il fatto di Ghino accadeva forse due passi discosto, e la più parte dei masnadieri risoluti a proteggere il capo lo affidarono, che il colpo non pure andrebbe impunito, ma anzi lodato. Comunque ciò fosse, Rogiero considerando adesso la impossibilità di celarsi, trasse fuori dal nascondiglio, e si avanzò verso Ghino. Quel, suo comparire improvviso, la ricca armatura di che egli andava coperto, e il bel sembiante, gli davano aria di San Giorgio che ha abbattuto il dragone; e per San Giorgio, e per l'Arcangiolo Michele, lo avrebbero adorato quelle menti superstiziose dei masnadieri, se Ghino facendoglisi innanzi con lieta accoglienza, non gli avesse stretta la mano, dicendo: "Io vi devo la vita, bel Cavaliere."

aggiunse parola, ma il modo col quale queste poche furono espresse dimostrò a Rogiero, che aveva trovato uno amico, uno che avrebbe dato i suoi averi, la sua vita, e il suo onore, per vederlo felice; gli dimostrò in somma tutti quei sentimenti, che favella al mondo non si vanta potere proferire, e, quando anco potesse, il cuore sdegnerebbe adoprare, perchè la profonda passione sta muta, ed un ringraziamento loquace nella testa di cui lo pronunzia serve a sdebitarlo della metà dell'obbligo.

Queste vicende accadevano in brevissimi istanti; però Ghino, salutato Rogiero, si volse subito a Drengotto, ed aiutò i compagni ad allacciargli alla meglio le arterie tronche, ed impedire la effusione del sangue, che ormai troppo aveva perduto quell'empio. Lo tolsero in appresso quattro masnadieri sopra le braccia, e s'incamminarono soavemente alla capanna; Ghino gli sorreggeva la testa. Per via il ferito si rinvenne, e alzando gli occhi aggravati vide il condottiero, al quale con voce mezzo spenta parlò: "L'uomo curioso che siete voi, messere! Or che credete voi fare con questa apparente pietà? voi non dovete, potete sentirne per me: non ho io tentato di uccidervi? - e a tradimento, direbbero gli stolti. Che cosa significa tradimento? voi mi offendeste, io dovea vendicarmi; apertamente non avrei potuto; e' sarebbe stato aggiungere il danno all'oltraggio; - lo tentai come meglio poteva; non sono riuscito; - -pazienza! Ell'era una lite tra noi; il caso l'ha decisa contro di me, io me ne affanno più del medico che vede morto l'ammalato, o del giureconsulto perduta la causa: andate, via, cotesta vostra compassione m'insulta. A che monta una mano di meno? la natura ne ha preveduto il caso, perchè, altramente, a qual fine ce ne avrebbe ella date due? Poichè siamo nati per morire, meglio giova andarcene a poco a poco, che tutto a un tratto; così ci avvezziamo: - intanto mi è morta una mano; - poi un piede.... qualcheduno doveva fare le spese della festa; sono toccate a me: - pazienza! Già le scommesse mi sono state sempre dannose."

Ghino si apprestava a consolarlo, ma egli era ricaduto in isvenimento. Giunti alla soglia della capanna, il condottiero, chiamato Beltramo, gli comandò averne cura, e lo pregò che per suo amore lo vegliasse; lo avrebbe ricompensato in appresso; intanto se l'ammalato si aggravava andasse a San Quirico, e dicesse all'Abbate, che messere Ghino mandava per lui, ch'egli sarebbe certamente venuto; finalmente rivoltosi alla masnada che lo aveva seguitato, parlò con voce solenne brevissimo discorso: "Siavi di esempio Drengotto; io perdono i colpevoli."

Ciò detto, ricusata ogni altra compagnia, camminò verso la sua dimora, pregando gentilmente Rogiero a volervi accettare l'ospizio per quella notte. Rogiero, non che accettare il prego, avrebbe pregato egli stesso, tanto era il diletto che ricavava dalla presenza di Ghino, e più il bisogno che sentiva di ristorarsi. Andò pertanto volenteroso con lui; e si misero dentro a certi intricati viottoli della foresta, pei quali ogni uomo che non ne fosse stato ben pratico sarebbesi certamente smarrito. Lasciamoli andare, chè Ghino ne conosce la via, e menerà diritto il suo compagno allo albergo: noi andremo a dar fine al capitolo e alla vita di Drengotto.

I masnadieri, licenziati da Ghino, si dispersero, chi qua, chi , con diversi sentimenti, ma tutti profondi; noi li diremo.

I quattro che sostenevano Drengotto l'adagiarono sul letto; Beltramo in atto di dispiacenza disse ai compagni: "Avrete voi cuore di lasciarlo solo?"

"Non ci stai tu?" uno di loro rispose "e che faremmo noi per tutta la notte?"

"Giocheremo a zara" soggiunse Beltramo.

"Se così è, rimango."

"Così io, - ed io" risposero gli altri.

Ma Beltramo, che aveva un atomo di umanità più di loro, osservò che Drengotto era svenuto, alla qual cosa essi risposero che dormiva; ed allora non che egli fosse internamente persuaso che Drengotto dormisse, ma facendosi inganno con cotesta affermazione dei compagni, pose un po' d'accordo tra la sua anima e quello che stava per fare, e trasse i tre dadi di tasca.

"Manca il vino!"

Uno dei compagni, che aveva infinita impazienza di cominciare il giuoco, rispose: "Guardate su questa tavola; non vedete come Drengotto se ne trovi molto ben provveduto? Andando a pigliarlo nelle nostre capanne, logoreremmo troppo gran tempo: togliamo di questo; se Drengotto vivrà, glielo pagheremo, o rimetteremo, come voglia; se morrà, lo avremo bevuto senza pagare l'ostiero; il che tramuta in greco43 anche l'aceto, come disse il poeta."

I masnadieri risero al motto, e tolto i fiaschi del vino ed alcune candele, si disposero in circolo sul pavimento dando principio alla partita. Avevano fatto da sei giri di giuoco, e bevuto altrettanti fiaschi di vino, allorchè una voce, che pareva uscisse di sotto terra, chiamò: "Beltramo!"

"Ti sei svegliato, Drengotto? Sono da te; - dopo questo tiro mi viene la mano, - getto i dadi, e son da te."

"Beltramo!"

"Eccomi - son lesto - dammi i dadi - bel tiro! sei e quattro dieci, e tre tredici: - segna, Cagnazzo - la partita non è ancora perduta." Poi levatosi in piedi andò al letto del ferito, il quale gli disse:

"Beltramo, mentre io stava svenuto...."

"Come! non eri addormentato?" esclamò Beltramo facendo le maraviglie.

"Mentre stava svenuto," continuò, senza badargli, Drengotto "sia ch'io facessi alcun moto, sia che la fascia...."

"Tre, tre! sto per uno!" urlò un masnadiero.

"Tocca a te a gittare, Beltramo; stanno per uno."

"Per uno! E come è andata questa? - Un momento, Drengotto, gitto i dadi, e torno."

"La fascia era male messa, e il sangue...."

Beltramo che avea fatto un passo tornò indietro: "il sangue?" ripetè sbadatamente, e soggiunse: "Cagnazzo, tira per me, che ora non posso."

"Il sangue del mio corpo quasi che tutto fuggì dalle vene lacerate, ed io mi muoio: - vedi!" E si scoperse: - miserabile spettacolo! - diguazzava dentro un lago di sangue.

"Tredici! - Ho vinto! - abbiamo vinto, Beltramo; - cinque ne perdono."

"Segna al muro, a scanso di liti.... O Vergine gloriosa! Perchè non m'hai chiamato prima, Drengotto?" disse Beltramo, e si affaccendò a rifasciargli la ferita.

"Sta bene!" rispose Drengotto sorridendo "ma fermati, che oggimai tu faresti opera vana. - Io ti ho chiamato per rogare il mio testamento nuncupativo; e voi pure, compagni, accostatevi ed ascoltate le mie ultime disposizioni."

I masnadieri, che avevano finito il giuoco, e senza il quarto andavano malamente innanzi, sorsero, e ognuno col bicchiere alla mano s'incamminò verso il letto del ferito. Questi, vedutili pronti ad ascoltarlo, incominciò:

"Invocato, etc. etc. Considerando essermi vicina la morte, che forma la conclusione della vita, di mente sanissimo, cioè, come sono stato sempre, lascio da prima l'anima a cui di ragione, e il corpo, poichè non ha pelle che possa giovarvi, tutto intero alla pianura. Item lascio le mie armi e le mie vesti a cui primo le piglierà. - Item il mio danaro a voi altri quattro, onde facciate dirne, o ne diciate voi stessi.... tante partite a zara. - Item a voi, il vino che tengo in serbo nella capanna, perchè possiate passare allegramente questa notte, e la seguente se ve ne avanza...."

"Oh! l'abbiamo già preso" esclamarono tutti.

"Dunque cassi il notaro questo legato," disse il moribondo ridendo. "Quindi instituisco erede nella università dei miei debiti Beltramo di Tafo, che mi ha fatto tanto amorosa guardia in questa ultima malattia."

"Oh! niente, niente, Drengotto; tu in questo caso avresti fatto lo stesso."

"Credo che sì, Beltramo; solo ti prego di una grazia, e ti scongiuro a non rifiutarla alla nostra antica amicizia: - quando porteranno a seppellire il mio cadavere, cercherai la mia mano che deve essere rimasta in mezzo al bosco, e ti adoprerai di pormela accanto, in modo, che súbito la possa trovare; però che quando l'Arcangelo ci chiamerà a quel giudizio - ch'io non ho mai avuto - possa presentarmi dei primi, e sapere súbito il mio bene o il mio male; altramente, come vedi, chi sa ove diavolo me la caccerebbero, e quanto tempo dovrei frugare per rinvenirla!" E qui rise, ma quel suo riso fu l'ultimo, chè l'agonia lo sorprese. Le sue labbra tremolavano increspate, i suoi denti battevano fragorosi, - ell'era una espressione infernale: le palpebre parimente si aprivano e si richiudevano con quella velocità, con cui vediamo scuotere l'ale alla farfalla nuovamente presa: il periodo della convulsione fu di pochissima durata, a mano a mano divenne più debole, cessò, - e della creatura rimase la creta.

I masnadieri che circondavano il letto col bicchiere alla mano, vedutolo spirare, se lo accostarono alla bocca dicendo: "Anche questa è finita, - alla salute dell'anima sua!" e lo vuotarono: poi coperto il cadavere, tornarono a giocarsi a zara i danari del morto.

 

 

 

 




39 Moneta saracina di prezzo assai vile.



40 Gentil mia donna, i' veggio

Nel muover dei vostri occhi un dolce lume,

Che mi mostra la via che al ciel conduce.

PETRARCA, canz. 9.



41 Questo discorso è affatto simile a quello che tiene Achille a Licaone nel 21 Libro dell'Iliade. Io per me credo che non vi sia persona, la quale piuttosto che epico, non voglia riputarlo comico.



42 "Intorno al 1760 fu presentato al Comune di Firenze un bel lione, al quale avevano posto nome San Marco, e lo facevano guardare in piazza di San Giovanni; uscito per mala guardia di gabbia, e vagando per la città, azzannò in Or San Michele un fanciullo postumo di un tale ucciso a tradimento: la madre, cacciando acutissimi stridi, si prostrò innanzi al lione, che severamente guardatala, le restituì il figlio: questi cresciuto vendicò l'anima del padre, e fu chiamato Orlanduccio del lione." (Villani, Lib. 6, c. 79.)



43 Ottimo vino che fa in Italia, e così si chiama perchè nasce da magliuoli primieramente venuti di Grecia.






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