Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Francesco Domenico Guerrazzi
La battaglia di Benevento : storia del secolo 13.

IntraText CT - Lettura del testo

Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

CAPITOLO DECIMOPRIMO.

 

IL PELLEGRINO

 

.... la luce di Romeo, di cui

Fu l'opra grande e bella mal gradita.

Ma i Provenzali, che fer contra lui,

Non hanno riso: e però mal cammina

Qual si fa danno del ben fare altrui.

Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,

Ramondo Berlinghieri, e ciò gli fece

Romeo, persona umile e peregrina;

E poi il mosser le parole biece

A dimandar ragione a questo giusto,

Che gli assegnò sette e cinque per diece.

Indi partissi povero e vetusto;

E se 'l mondo sapesse il cuor ch'egli ebbe

Mendicando sua vita a frusto a frusto,

Assai lo loda e più lo loderebbe.

PARADISO, canto 6.

 

Tornato da Santo Jacopo di Galizia, un buon romeo44 traeva verso sera l'infermo fianco per le vie di Marsiglia, come colui che sembrava attenuato dagli anni e dal lungo cammino, in cerca di un Senodochio45, dove potere riposare per quella notte le membra. Poichè ebbe percorso molte contrade della città, si fermò innanzi uno splendido palazzo, dal quale partiva una gran luce, ed un armonioso concerto di suoni e di canti: vedeva entrare ed uscire dame e cavalieri, doviziosamente abbigliati; vedeva scudieri affaccendarsi, maggiordomi scorrere qua e con le mazze di argento perchè tutto procedesse in buon ordine, e siniscalchi, e fanti, di su, di giù, per le scale, portare in preziosissimi vasi squisiti rinfreschi: tutto in somma accennava, che una gran festa si faceva dentro. Il romeo si accostò ad un uomo del popolo, ragunato avanti la porta, e mossagli graziosa dimanda, seppe come il palazzo appartenesse a Monsignore Raimondo Berlinghiero Conte di Provenza. Correva in quel tempo altissima rinomanza per tutta Cristianità di questo Conte Raimondo, sì perchè egli era nato di gentile lignaggio, avendo comune l'origine con la Casa di Arragona e con quella del Conte di Tolosa, sì perchè fu signore discreto molto, valoroso, cortese, grande operatore di cose onorate. Si riparavano alla sua corte tutti i prodi cavalieri di Provenza, di Francia, e di Catalogna, non meno che i più valenti Trovatori che avessero fama a quei tempi; ed egli stesso assai dilettavasi di correre lancia nel torneo, e cantare la canzone di amore in mezzo ad un bel cerchio di giovani dame.

Il romeo disegnò di far prova della cortesia del Conte: e senza altro pensare si cacciò arditamente nella corte. Maravigliaronsi i cavalieri, che un mendico avesse tanto di audacia da penetrare in mezzo a loro; ed ognuno di essi schifavalo, e sì come pauroso che le sue vesti di seta non s'imbrattassero toccando quelle del povero pellegrino, da parte si ritraeva: ne seguì quindi, che, invece di farlo obbrobrioso, come era il pensiero, lo esaltassero, imperciocchè egli camminava tutto solo in mezzo a due ale di dame e cavalieri, i quali, quantunque si fossero così disposti per disprezzo, pure il concetto mal talento non manifestavano al di fuori, e quella posizione era rispettosa.

Il Conte Raimondo, che, per godere di un solo sguardo la festa, s'era messo a sedere sopra un luogo elevato a guisa di trono apprestatogli nella parte principale della sala, appena vide il romeo che si avanzava, scese, e andatogli incontro gli fece grata accoglienza, dicendo: "Bel pellegrino, voi siete il molto ben venuto in nostra corte; disponete a modo vostro di tutto quello che vi aggrada, perchè intendiamo che ne siate come signore, e padrone."

"Monsignor Conte, ora vedo che la fama, per quanto dica della vostra alta cortesia, non può tanto dire, che le voci al paragone non vengano meno. Io m'era qui recato per farne esperimento, e vedere se nell'ora della pompa avreste sdegnato volgere il guardo al servo di Dio, stanco dagli anni, e travagliato dal cammino: ma voi, Conte, avete lasciato l'orgoglio ai cuori codardi, che se lo hanno tolto signore; i quali, per quanto sieno circondati di ossa e di carne, nol potranno mai celare all'occhio dell'Eterno." E qui girò severamente la faccia ai circostanti cavalieri, che troppo erano cortigiani per abbassare la loro, e che gliela mostrarono da un punto all'altro tutta ridente. Il buon romeo, disdegnando le lusinghe, sì come innanzi il disprezzo, continuò favellando al Conte Raimondo: "Voi non vergognaste adempire le speranze del povero, che aveva posto in voi fede; voi gli profferiste quello di che abbisognava, senza ch'ei ve lo chiedesse, però che colui, che vede il bisogno, e aspetta la richiesta, quasi si apparecchia a negare; e voi sarete rimunerato in questa vita, e in quell'altra; con voi saranno le benedizioni del Signore; ei vi magnificherà su i vostri emuli, vi glorificherà sopra i vostri nemici, e il vostro nome si conserverò nei nepoti, come l'odore della mirra si conserva, dopo che il fuoco ne ha consumato il granello."

Stupirono i cavalieri e le dame a sentire il pellegrino favellare tanto discretamente, e lo tennero per uomo valoroso. Il Conte Raimondo, tutto lieto, con benigne parole gli rispondeva: "Noi vi abbiamo obbligo infinito, bel pellegrino, per la fede che avete posta nella nostra cortesia, sebbene per cosa che non valga rammentare: chè troppo gran torto noi faremmo, non diciamo ai nostri fratelli di cavalleria, ma ai nostri meno agiati vassalli, sospettando che avrebbero chiuse le porte al buon romeo."

"Non l'atto, ma il modo, Monsignor Conte, guadagna lo spirito; e v'è tale che nega in sì benigna maniera, che tu l'ami più di tale altro che villanamente ti dona."

Allora il Conte Raimondo, tolto per mano il pellegrino, lo condusse nei più riposti appartamenti; e fattolo ristorare di cibo e di bevanda, vedendolo stanco, non volle per quella sera trattenerlo in più lunghi discorsi, ma comandato che gli si preparasse una fresca cameretta, quivi lo lasciò a riposare, e ritornò alla festa.

Alla mattina sorgendo il Conte per tempissimo si recò in un suo giardino non solo per meditare a mente quieta sugli affari della signoria in quel tempo minacciata di guerra dal Conte di Tolosa, quanto per raccogliere alcune immagini su l'aurora, onde abbellire certa cobola46 che disegnava mandare alla dama dei suoi pensieri. Vagando così tutto internato nelle sue idee, occorse nel pellegrino, il quale, levatosi anch'egli di buon'ora, s'era portato colà per salutare il Signore col primo raggio del sole nascente: questi dopo i debiti ossequii, domandò al Conte per qual ragione fosse in vista turbato. Raimondo, sebbene per natura assai circospetto, pure fu tanta la fiducia che su quel súbito ripose nel pellegrino, che punto non dubitò di aprirgli l'animo suo; e il pellegrino lo sovvenne di tali savi consigli, che a Raimondo parve dovere non che non evitare la impresa col Conte di Tolosa, desiderarla, qualora avesse seco sì accorto e valente consigliere. Gli disse pertanto, ch'ei non gli avrebbe mai fatto forza di rimanere, e che anzi era in sua facoltà lo stare e l'andare; ma se nulla poteva presso di lui il suo prego, ei lo confortava a restare. Se Raimondo si sentiva innamorato delle virtù del pellegrino, il pellegrino non lo era meno di quelle di Raimondo; onde in breve si trovarono d'accordo; stette molto che diventò il romeo di ogni cosa dello stato guidatore e maestro. Egli si mantenne in abito religioso, e con la sua industria seppe fare in modo che il Conte, tenendo sempre la medesima corte, accrebbe di più di due terzi il proprio tesoro; onde quando accadde la guerra col Conte di Tolosa (ch'era il maggiore principe del mondo, avendo sotto quattordici Conti) a cagione di confini, sì per la cortesia di Raimondo, sì pel consiglio del romeo, e pel molto tesoro, tanti cavalieri e Baroni militarono sotto le bandiere di Provenza, che il Conte di Tolosa ebbe la peggio.

Ora avvenne, che il Conte Raimondo avesse quattro figliuole grandi, da marito senza più, e, siccome sogliono la più parte dei padri, desiderasse maritarle a prodi e potenti signori, e farle Regine, e Imperatrici, se potesse; ma non gli veniva fatto immaginarne la via, chè il suo tesoro non bastava per dare a tutte la dote da Regina: il buon romeo lo confortò a non prendersi pensiero di questo; avrebbe provveduto egli. E prima maritò la maggiore a Luigi IX di Francia con moltissima dote; per la quale cosa essendo ripreso dal Conte, rispose: "Lasciatemi fare, Monsignore, ch'essendo maritata bene la prima con gran costo, mariterete le altre con minore, a cagione del suo parentado." E il fatto accadde come egli aveva preveduto: imperciocchè Eduardo III d'Inghilterra, per essere cognato del Re di Francia, tolse la seconda con dote minore, ed in appresso Riccardo di Cornovaglia, suo fratello, eletto Re dei Romani, la terza. Rimaneva in casa la quarta, ed il romeo disse a Raimondo: "Questa daremo ad uomo valoroso che vi sia in luogo di figliuolo, e vi succeda nella signoria:" ed assentendo il Conte, egli la sposava a Carlo d'Angiò, fratello del Re Luigi di Francia, affermando che sarebbe divenuto il maggiore e il migliore signore del mondo.

Dopo tanti anni di lealtà e di servitù, la maledetta invidia, peste del mondo, e delle corti vizio, cominciò a susurrare alle orecchie di Raimondo, averlo tradito il romeo, e di ogni suo tesoro spogliato. Non dava egli fede da prima a quelle malignità, ma ripetutegli oggi, dimani, e sempre, gli venne in pensiero di domandare conto al romeo di ogni sua operazione: questi, come colui che stavasene provveduto, mostrò la scrittura, dette ragione di tutto, e chiese commiato. Il Conte, parendogli avere mal fatto, con umili scuse si difendeva, e a grande istanza lo pregava a non volerlo abbandonare ora che tanta parte di vita avevano insieme trascorso; ma il pellegrino troncò quelle parole, dicendo: "No, Monsignore Raimondo; dividiamoci adesso che siamo amici; sarà la nostra separazione pur troppo amara, ma ognuno di noi lascerà all'altro tal rimembranza, che volentieri si compiacerà richiamare alla mente: forse aspettando non lo potremmo più. Voi siete vecchio, e con la vecchiezza vengono le infermità del corpo, ed il sospetto dello spirito: - forse è questo un vizio degli anni, forse il frutto della esperienza che ha veduto gli uomini più pronti a ingannare, che ad essere leali; in ogni modo il sospetto è il compagno della vecchiezza, e piacesse al cielo che fosse il solo. Questo vostro improvviso domandarmi ragione del mio operato, quantunque di per voi stesso avreste potuto considerare che di umile condizione vi ho posto in grande signoria, mi fa conoscere che la vostra età non va esente dalla comune diffidenza, o per essersi spontanea suscitata nel vostro spirito, o per opera altrui. Presentemente, la Dio mercè, ho potuto chiarirvi di quello che mi avete richiesto; forse in altro tempo nol potrei, perchè se mancano talora le prove per convincere il delitto, possono anche mancare per dimostrare la innocenza; ed allora mi punireste, e fareste mal'opera, e tale che il vostro onore fino adesso purissimo ne sentirebbe irrimediabile danno: provvediamo dunque fin che vi è tempo alla mia sicurezza, e alla fama vostra; tanto, la morte verrebbe a separarci per forza; facciamolo volontariamente. Ell'è parola di dolore, ma pur bisogna proferirla, - l'addio! Possano essere i vostri rimanenti giorni tranquilli e gloriosi; possano coloro che mi hanno allontanato da voi servirvi con quella lealtà con la quale v'ho servito io. Povero venni in questa corte, povero voglio partirmi; la tasca e il bordone, ch'io ho conservato come dono prezioso della miseria, pel quale io mi credo esser ricco, e sopra le ricchezze, saranno la mia veste; le mie gambe, come che inferme, il palafreno: - addio. Quello che mi sarei meritato in guiderdone dei miei ufficii, o ritenete, o donate ai poverelli di Cristo. Addio, mio bel signore, - addio! - ci rivedremo nel Paradiso."

per quanto il Conte con preghiere e lacrime s'ingegnasse ritenerlo, potè pervenire a farlo restare. Partiva il pellegrino in abito dimesso, portando seco l'amore e il desiderio di tutti; Raimondo co' suoi vassalli lo seguitava traendo dolorosi guai: giunto alla porta della città, il pellegrino abbracciò il Conte, lo baciò in bocca, tolse nuovamente commiato, e lo raccomandò a Dio; con tutti i rimanenti quelle dipartenze non potè fare; però alzata la mano li benedisse, ed eglino riceverono quella benedizione prostrati, gemendo profondamente, piangendo, e singhiozzando, come se ad ognuno di loro fosse morto il padre o la madre. Così, come era venuto, il pellegrino se ne partì, mai si seppe chi fosse, o dove andasse, se non che per la più parte di quelli che il videro, e gli parlarono, fu creduto che fosse un Santo.

Non sopravvisse molto il Conte Raimondo alla partenza del pellegrino, e per la morte di lui la Provenza venne sotto il potere del suo genero Carlo.

Nacque quest'uomo nel 1220 da Luigi VIII, e da Bianca di Castiglia; come figlio di Francia ebbe in sorte la Contea d'Angiò, e la signoria di Folcacchieri; come sposo di Beatrice, la Provenza, la Linguadoca, e parte del Piemonte. Quale fosse di persona e di costume troviamo con molto bel garbo narrato da uno Storico del medesimo secolo47, che abbiamo preso per guida di questo Capitolo: savio, magnanimo, di alti intendimenti, e severo, sicuro nelle avversità, veritiero in ogni promessa, poco parlante, molto operante, non ridea che leggermente, e di rado; largo del suo, cupido dell'altrui; Trovatori, Giullari, Menestrelli, ed altra gente sollazzevole, non tenne in pregio, anzi sprezzò; molto vegliava, e soleva dire che quanto meno si dormiva, meno si moriva: lo sguardo ebbe feroce; grande di persona, nerboruto, e di colore ulivigno; del rimanente, religioso, e, per quanto può essere soldato, dabbene.

Condotto nel 1250 da San Luigi al conquisto di Gerusalemme, cadde, insieme con il fratello e la principale Baronia di Francia, in potere degl'Infedeli presso Damiata. Uscito dalla prigionia, se ne andò in Provenza, dove ebbe a sostenere molte contese co' suoi vassalli, i diritti dei quali voleva annullare, e farsi senza restrizione nessuna assoluto signore.

Qui fu che gli giunse la elezione di Urbano, portatagli dal Cardinale Simone di Tours; e dopo averne tenuto proposito col Re di Francia, col Conte di Artois, e con quello di Alansone, suoi fratelli, i quali per levarsi d'attorno quell'uomo ambizioso lo animarono all'impresa, e gli proffersero sussidio d'arme e di danaro, rispose essere apparecchiato di mettersi alla ventura in onore di Dio e della Santa Chiesa romana.

Se molto la naturale cupidigia lo stimolava a quell'acquisto, non meno ve lo stimolarono le vivissime istanze della moglie Beatrice, la quale per far tesoro impegnò tutti i suoi gioielli; il che forma il più grande sagrifizio, che donna al mondo possa mai fare. Per quello che narrano le cronache del tempo, la cagione di questa caldezza di Beatrice fu che poco innanzi, essendo convenuta a Parigi insieme con le altre sorelle a celebrare nella corte del suo cognato la Pasqua di Natale, assistendo con esse loro il della Epifania alla festa dei Re, che i Monarchi di Francia usavano solennizzare nella Chiesa di San Dionigi, l'avevano fatta sedere un grado più basso, imperciocchè ella non portasse corona reale. Infinite, e forse non tutte da narrarsi, furono le arti adoperate da questa donna ambiziosa per chiamare alla sua fazione il fiore della Cavalleria francese. Erano in quei giorni due potentissimi eccitamenti a imprendere la guerra, la cortesia degli uomini d'arme, per la quale stimavano che richiesti di fare alcuna impresa per amore di dama non potessero senza biasimo ricusare, e lo spirito di religione. Ambedue questi vennero messi in opera, il primo da Beatrice, il secondo dai Legati del Papa, che andavano predicando per Francia la Crociata contro Manfredi, e promettevano la remissione dei peccati, e le stesse indulgenze che se fossero andati a combattere in Palestina. Per quelli poi che poco tenevano in conto le lusinghe della femmina, e le indulgenze della Chiesa (e questi narra le cronaca che fossero i più), l'avidità di grossi stipendii fu valevole a riunirli sotto lo stendardo di Carlo. Alle quali cose tutte se voglia unirsi la naturale vaghezza delle menti francesi di vedere nuovità, non si maraviglieranno i lettori se il suo esercito ascendesse a sessantamila uomini tra cavalieri, balestrieri, e fanti di ogni maniera.

La morte avvenuta di Urbano IV, e la sostituzione al Pontificato di Clemente IV non pure non interruppe la pratica, ma l'affrettò; chè questi era vassallo di Carlo, e zelantissimo sostenitore delle parti di lui. Costui ebbe da prima moglie e figliuoli, e fu tenuto in pregio di valoroso giureconsulto: mortagli la moglie, si rendè cherico, e diventò successivamente Vescovo di Pois, Cardinale di Narbona, Legato in Inghilterra, e finalmente Pontefice. Bartolommeo Pignattello, Arcivescovo di Cosenza, vassallo e nemico di Manfredi, spedito a gran fretta in Provenza, unitosi a Simone Cardinale di Santa Cecilia, andava eccitando Carlo a calare in Italia.

Manfredi alla novella di tanti armamenti non si smarrì, ma come uomo di gran cuore e magnanimo si apparecchiò a ben ricevere il nemico. Grandissima fu la cura che pose da lato di terra a custodire i passi, afforzando Cepperano, San Germano, e mettendo scelto presidio in Benevento: per mare, le sue galere unite a quelle dei Pisani e dei Genovesi, che sommavano in tutte a meglio di ottanta, lo tenevano sicuro. Le forze del Re di tutta Francia, non che quelle di un Conte, parevano insufficienti a potergli far danno; pure tanto sono fallaci gli umani disegni, che, e per mare e per terra, fu con mirabile agevolezza abbattuto, siccome andremo narrando nel processo di questa storia.

Ora Carlo considerando di quanto grande momento sarebbe stata la sua presenza in Italia, e la ventura non presentare più di una volta la occasione, a malgrado di molti che lo sconsigliavano, si dispose di montare sopra le galere e andare quanto più presto potesse a Roma: sapeva ben egli che Manfredi faceva guardare tutta la spiaggia romana, ignorava essere le sue galere appena un quarto di quelle del suo nemico; nondimeno creato Luogotenente per lo esercito di terra Guido da Monforte, ed a lui raccomandata la Contessa Beatrice, affidato in quel suo detto, che spessissimo soleva proferire, - buono studio vince rea fortuna, - salito in nave, comandò volgessero le prue verso la desiderata Italia.

 

 

 

 




44 Romei erano propriamente i pellegrini che andavano a Roma.



45 Senodochj (quando ve n'erano) erano luoghi particolarmente destinati ad albergare i pellegrini.



46 Cobola presso i Provenzali era un componimento lirico.



47 Giovanni Villani. L. 6, e. 91.






Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License