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Francesco Domenico Guerrazzi Racconti e scritti minori IntraText CT - Lettura del testo |
I
Nel quale s'impara come Betta facesse il thè, e il signor Orazio lo lasciasse stare.
Il signor Orazio se n'era tornato a casa lieto più del solito: giù per le scale lo avevano sentito cantare un'aria degli Arabi nelle Gallie, cosa che gli tolse l'incomodo di sonare il campanello, imperciocchè Betta lì pronta gli avesse fatto trovare l'uscio aperto. Entrato in camera e sovvenuto da Betta, spogliò le vesti cittadine, scalzò le scarpe, depose la parrucca, ed in vece di tutte coteste robe e' si mise addosso una guarnacca da casa di dobletto bianco stampato a mele, carciofi e non so nemmeno io con quanti altri frutti e legumi, propriamente da disgradarne le sottane di Pomona; il capo cacciò dentro un berretto di cotone candidissimo, che pareva crema sbattuta, e i piedi dentro un paio di pantofole di marrocchino giallo, fatte venire a bella posta da Tangeri.
Dopo avere dato sesto ad ogni cosa, seguito sempre da Betta, come il pio Enea dal fido Acate, scese a vedere come stessero i famigli, e a dare e a ricevere la buona sera; poi visitò Lillà la gatta, che appunto in quel giorno si era sgravata felicemente di mezza serqua di gattini; per ultimo volle governare di propria mano, secondo l'usanza vecchia, Rebecca e Tobia, cagna e cane per bontà esemplare, castità, discretezza e parecchie altre virtù cardinali (teologali non si era mai accorto che ne avessero) degne in tutto di figurare (se posso dirlo senza tema di sbalestrare a parole) nella santa scrittura a canto le altre bestie famose, che ci hanno preso stanza.
Terminato il giro, Orazio tornò in cucina dove prese un lume, che i famigli avevano intanto preparato, Betta ne tolse un altro, e così si avviarono entrambi verso lo studio. Qui Orazio si assettò, si rincalzò, e dopo essersi stabilito fermamente sopra il suo seggiolone a bracciuoli, domandò:
- Visite nè anco una, di fogliacci un diluvio: ecco lì, stanno davanti a lei.
- O bene! esclamò Orazio fregandosi le mani alla vista di cotesto mucchio di carte, ecco di che passare senza ozio la serata.
- Ed anche la massima parte della notte, e forse tutta senza chiudere un occhio: ma, caro signore Orazio, mi dica in grazia, o che ci guadagna ella a stillarsi il cervello a quel modo? Di quattrini, la Dio mercede, non ne abbiamo più bisogno: la scienza, mi ha detto gente che la conosce, è una torta tanto grande, che un uomo, il quale vivesse quanto Noè, se arrivi mai a mangiarne una fetta ed anco piccina, è bazza; e poi ella ne deve possedere tanta da caricarne un mulo, e forse due; dunque quando, caro signore Orazio, vorrà riposarsi una volta?
- Avremo tanto tempo da riposare al campo santo, Betta mia; ma adesso va a farmi... o piuttosto va ad ordinare che mi facciano il thè.
Betta andò, fece, e tornò col thè: interrogato Orazio se avesse a mescerglielo, quegli col cenno della mano rispose affermativamente, e Betta lo versò secondo il consueto in due tazze una per lui, l'altra per lei; ma siccome nè egli beveva, nè la invitava a bere, così ella si ritrasse da parte, pure aspettando.
Con le braccia pendenti, le mani una dentro l'altra intrecciate, Betta si mise ad agguardare Orazio, ma non le veniva fatto di vederlo in viso, perocchè egli lo tenesse nascosto dietro un foglio, che pareva leggere con molta attenzione: tuttavolta riusciva difficile a credere ch'egli leggesse, tremandogli le mani per modo, che il foglio andava su e giù come il pettine del telaio. Betta si peritava a dirgli qualche cosa, e per altra parte si sentiva rifinire dentro: col naso al vento, gli occhi fissi, il volto sporto a mo' di bracco da punta intorno al cespuglio dove ha sentito stormire la lepre, ella ogni atto spiava, ogni moto di Orazio, i quali le porgessero così un po' di addentellato per iscalzarlo intorno alle cause di cotesto subito affanno; quando ecco di botto a Orazio si prosciolsero le braccia, e il foglio gli cascò di mano: senonchè per virtù di volontà si riebbe tosto, e a prevenire qualunque domanda molesta disse con voce avventata:
- Betta! il thè... va a farmi il thè...
- Caro signore Orazio, riprese Betta con un suono di voce che la sola donna possiede, conciossiachè nel sangue delle donne entrasse per eredità di quelle figliuole degli uomini, che si sentirono dire dagli angioli: vi vogliamo bene; - -caro signor Orazio, la non se la pigli così di petto; ella, che la sa lunga, dovrebbe approfittarsi per suo uso del precetto, che vale meglio un asino vivo, che un dottore morto.
- Tu parli di oro in oro, ma come entri la morte col thè, io non ce lo so vedere.
- La morte no, che Dio guardi, bensì il suo affanno: oh! ella non è di quelli che perfidia a negare un po' di cervello a noi altre povere creature perchè non sappiamo di lettera. No davvero, le si legge in viso, come in un libro da coro, il male che le ha fatto cotesto maledetto fogliaccio: dianzi aveva una cera da Gabriello, adesso poi... sto per dire che quando il re Erode ordinò la strage degl'innocenti doveva essere come lei, o giù di lì... e poi la vuole vedere chiara che il suo intelletto ha dato nei gerundii? Miri un po': il thè lo ha chiesto da venti minuti in qua, ed io gliel'ho mesciuto per suo comando... e da venti minuti le sta davanti ed ella non se ne accorge.
- Ouf! che caldo, proruppe Orazio, e con la mano destra si coperse gli occhi, pure studiando sottrarsi alle investigazioni di Betta; per la quale cosa pigliò il partito d'interrogarla:
Era scritto, che per cotesta notte ad Orazio non dovesse andarne una a bene, onde Betta levatesi ambedue le braccia sopra il capo formando come un angolo a sesto acuto, esclamò con voce piangolosa:
- O Santa Vergine, proteggetelo voi! Oh! non ha sentito il suo orologio lì sul camino sonare testè le undici ore, e chetarsi giusto nel punto in che mi sono chetata io.
- Bè, sta bene; or va, Betta, a dire ai servitori che si mettano a letto, non ho bisogno di loro.
- Sì, signore.
- E se ti accomoda, ci puoi andare tu stessa.
- No, signore.
- Come no signore?
- In primis perchè lasciandola solo in cotesto stato mi parrebbe commettere peccato mortale, e poi quando verrà Marcellino a casa, o che vuole andare ad aprirgli lei?
- Fa come vuoi, sorella mia, fa come vuoi, ma aspettalo fuori, e appena arrivi mandamelo subito, e porta via il thè che è diventato freddo, ed io non ne ho più voglia.