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Francesco Domenico Guerrazzi Racconti e scritti minori IntraText CT - Lettura del testo |
IV
Vita e miracoli del Romanzo: della morte ne parleremo più tardi.
Miei amabili lettori - prima di mettere un altro passo protesto, che nel nome di lettori intendo e voglio comprese anche, ed anzi principalmente, le leggitrici, tanto più, che trattandosi di lettori maschi soltanto non si sarebbe potuto assegnare a tutti l'adiettivo amabili; almeno senza le debite riserve. Perchè poi adoperi così, vorrei tacerlo, ma sforzato dirò, che lo faccio, perchè secondo io insegnamento antico, tutto quello che occorre nel mondo di savio e di gagliardo hassi a distinguere con nome maschile...
- E chi sono questi barbari i quali si concedono commettere siffatte enormezze?
- La non m'interrompa, madama; veda, i romani costumavano così, e non erano barbari; questi usavano la parola auctor a modo dello indovino Tiresia, ch'ella, come sa, fu maschio e femmina, da bosco e da riviera; e noti ancora, Virgilio, che fu l'elegantissimo dei poeti latini, disse ducente Deo, e parlava di Venere; scrisse Deus impare gaudet, ed accennava a Proserpina...
- Virgilio non fa testo perchè e' si mostri sempre parziale pel genere mascolino, come ne fa fede la sua ecloga di Coridone.
- Non mi tagli a mezzo le parole, madamigella; veda anco Macrobio, che per quanto io sappia non consentiva con Coridone, parlando di Venere detta: pollentemque Deum Venerem...
- Ad ogni modo furono latini e noi siamo italiani; essi antichi, e noi altri moderni.
- Anzi, mia gentile marchesina, ella può vantarsi modernissima stando alle fedi del suo battesimo, e meglio alla freschezza del suo amabile volto: ma che però? Gl'italiani le danno torto non meno dei latini; quanto agli etruschi io non saprei; consideri, di grazia: "Madonna Cia degli Ordelaffi (Matteo Villani scrive) che rimase guidatore della guerra": e altrove - che il re Roberto di Napoli lasciò la giovine reina governatore del suo regno: - nella vita di santa Maria Maddalena si afferma che ella era molto bellissima parlatore - e avverta, che gli esempii non finiscono qui...
- Non finiscono qui davvero gli esempii, e tanto è vero, che nelle favelle latina e italiana tutto quanto occorre nel mondo di savio e di gagliardo piglia nome dal maschio, che il Cavalca, parlando di donna, le affibbia la qualità di peccatore; così mi salta su a dire una sorella del Sacro Cuore, ed io...
- La non si sbracci, mia dilettissima sorella in Cristo, perchè consideri, che lo esempio le sta proprio contra; di fatto volendo significare il Cavalca, come la donna nel peccato sia piuttosto sgangherata che rotta, la qualificò con l'aggettivo maschile, mentre trattandosi di doti lodevoli, il femminile come più parco bastava, e ce n'era di avanzo.
- Ella è un insolente.
- Può darsi, signora contessa, ma la cosa sta com'io gliela conto.
- Niente affatto: anzi le cose brutte, o fiere, o maligne. per la massima parte pigliano nome dal maschio; mi dica, l'inferno di che genere è? Mascolino o femminino?
- Che vuol ella? anco compare Matteo domandò al sole s'egli si fosse maschio o femmina, ma quei non gli rispose.
- La non si sbracci di uscirne pel rotto della cuffia, risponda in chiave.
- Lo inferno è maschio, ma la dannazione eterna è femmina.
- Il peccato e il vizio portano calzoni o vestono gonnella? mi dica in grazia?
- Fragilità, il tuo nome è donna, e badi, che lo ha scritto quell'omaccione del Shakespeare.
- Nell'inferno ha mai letto, che ci sieno demoniesse?
- No, signora: e la ragione è chiara, perchè elleno stanno tutte in questo mondo.
- Chi tentò Eva non fu serpente? lo può negare?
- Diamo un taglio al serpente, egli è certo, che Eva tentò Adamo.
- Qui bisogna finirla: datemi un codice, un codice, dico, criminale: tutte le mie crinoline, per un codice criminale; venga qua, legga: il furto è maschio, o femmina? Il parricidio, il fratricidio, l'omicidio, l'uxoricidio, maschi tutti; maschio l'assassinio; maschio l'adulterio...
- Si fermi lì, che mi ha convinto; le sue ragioni mi avevano scalzato, ma gli esempii, massime l'ultimo, mi strozzano, e poi considero, che le donne con le dilicate loro dita talora si dilettano a sfilacciare un uomo come un pezzo di tela, e Orfeo informi; però chiedo a tutti perdono, e mi affretto a fare ammenda del fallo.
- Miei lettori dunque e amabili leggitrici, io vi prego a immaginare nello svolgere questa pagina, che sieno passati due anni dal punto in che vi lasciai nel mio racconto: vedano, non facciano greppo, non aggrinzino il naso; le ho compiaciute qui sopra, ora qui sotto compiacciano di grazia un po' me: e poi pensino, che la eternità di petto alla sua durata pone meno tempo a consumare due secoli, che le signorie vostre di faccia alla loro a fingere passati due anni nel voltare di una pagina. Non mi parlino di unità, che altramente butto via la penna, e lascio in tronco la storia.
Dove ci ha maggiore inverisimiglianza, di grazia: nello immaginare trascorsi due anni nello svolgere di una pagina, ovvero nel capacitarci, che tante, e sì strane vicende sieno accadute nel medesimo giorno, e per lo appunto in un medesimo luogo? A mo' di esempio vi sembra, che stia a martello, che l'Oreste del massimo Alfieri, avendo avuto tanto tempo di palesare nella reggia di Strofio allo amico Pilade, dove crebbero insieme, quello che mulinava nella mente; avendolo avuto nella nave mentre veleggiavano; avendolo avuto allorchè dal lido s'incamminavano in Argo, si decida a spifferare il suo proponimento di ammazzare Egisto giusto dentro la usurpata reggia, di cui i muri, a senso del tragedo illustre, vanno intonacati di spie?
E poi il Romanzo, io ve lo voglio dire dentro un orecchio per la reputazione del sacro collegio47 (e intendete delle Muse, non già di quello dei Cardinali, che reputazione non ha da perdere), è figliuolo illegittimo di una Musa. Non tentennate il capo: io so quello che mi dico: le Muse in Olimpo, come accade di tante altre che non sono Muse, in questo mondo godono riputazione di vergini, e si hanno a predicare tali; quanto allo essere, gli è un altro paio di maniche; però una tradizione credibile racconta come certa Musa, e affermano fosse Tersicore la ballerina, sviatasi dalle altre, andasse un dì su l'ora dell'Angelus Domini a visitare Bacco, che trovò assettato a tavola con un branco di Sileni e di Satiri; ci erano anco dei Fauni, ch'è quanto dire tutti gli elettori i quali avevano votato per lui per mandarlo deputato al parlamento dei cieli; la Musa, a contemplare cotesto spettacolo nuovo per lei, tôrse vereconda il passo, e si fece:
Della mano su gli occhi una visiera.
Felice lei e noi, se la visiera fosse stata più fitta! ma no, signore, ella si parò gli occhi come la vergognosa del campo santo di Pisa; onde scorgendo due satiretti che pigliavano a saltare, vinta dalla passione dominante pel ballo, ed anco per vanità, rimase.
Cessato il ballonzolo, la pregarono di mostrare un po' di che cosa fosse capace, ed ella, che pure aveva voglia che la vedessero dieci Volte maggiore di quella ch'eglino avevano di vederla, si fece tanto, e poi tanto pregare, che ormai come disperati stavano lì lì per cessare: della quale cosa ella spaventandosi, di sfascio saltò in mezzo alla sala, spanta e briosa come vino che spilli fuori dalla botte lasciata per negligenza priva di zipolo. E' fu un delirio mirarla; andavano in visibilio Sileni e Satiri; per allegrezza agitavansi, baciavansi, qualcheduno piangeva alla dirotta, i più ridevano, ed abbracciandosi co' nappi pieni in mano, venivano col barellare a versarseli sul capo, senza avvertire da lunge mille miglia che un giorno le anime si salverebbero dalla eterna dannazione a quel modo, e per di più adoperandoci non mica vino, ma acqua schietta. Quando la Musa fu stanca le porsero a bere; ella se ne schermì dicendo, ch'era solita spegnere la sete sua nell'acqua chiara delle fontane di Parnaso: Bacco le rispose, che l'acqua era buona per fare i bucati; gradisse una tazza di nettare, e non credesse, che fosse vino del piano di Pisa; e poi soggiunse, che per compagnia aveva preso moglie un frate. La Musa bevve, e dopo tornò a ballare; ribevve più tardi, e quindi col più snello dei satiri menò un gentile minuetto, e per l'ultimo un ballonchio da casa del diavolo dove entrarono tutti; così produssero la veglia innanzi della notte un pezzo; e la guardie di sicurezza, che passarono e ripassarono sotto le finestre di casa Bacco, l'avrebbono fatta smettere di prima sera, se non li tratteneva il pensiero che i signori pari a Bacco in prigione non si mettono mai, bensì ci mandano spesso: però crescendo il baccano, e temendo i rapporti di qualche pezzo non meno grosso di Bacco, come sarebbe stata Minerva, la quale desiderava per le sue elucubrazioni la notte tranquilla, o vogli Venere che anch'ella ama quiete le ore notturne per un altro genere di lavori, sforzarono l'uscio ed entrarono in casa.
Egli era un mucchio di corna, di code, di orecchie asinine, di zampe di capra, di cosce pelose, e di qualche altra cosa ancora; e sotto a quel mucchio (orribile a dirsi!) trovarono la Musa concia. Dio ve lo dica per me. Col favore della notte, la portarono a casa; Apollo, che fu per darsi del capo nel muro, buttò via di capo il berretto di cotone, spezzò le corde alla cetra, e cantò un lamento senza accompagnature, che chi lo udì ebbe a dire, Apollo non avere mai fatto di meglio. Il peggio fu, che indi a pochi giorni pigliarono alla povera Musa le nausee, gli stomacucci, i capogirli, eccetera; onde ebbe a mettersi in letto; le sue sorelle mandarono per Esculapio, a cui dissero, le ingenue! che temevano forte Tersicore fosse caduta inferma pel male dell'idrope per colpa di una famosa bevuta fatta a sangue caldo nel fonte di Aganippe. Esculapio visitò la inferma per di sopra e di sotto, e poi sentenziò, che la Musa idropica veramente era; però di quella certa idropisia, che così in cielo come in terra guarisce nello spazio di nove mesi: non si sbigottissero; non correre la sorella pericolo di sorte alcuna: però medico più adattato di lui per questa specie di malattia essere una donna: facessero capo a lei: egli designava loro madama Reale la più famosa levatrice di Torino, donna capace, e sopratutto segreta; ma se conoscessero di meglio, quella adoperassero.
Tersicore, ahi! Tersicore in capo a nove mesi partorì un fanciullo più bello del giorno, almeno Tersicore diceva così; e a questo fanciullo fu imposto il nome di Romanzo. S'egli, appena messa la testa fuori dal materno alvo, non chiese da bere come Pantagruello, secondo che ci racconta il Rabelais, storico veridico quanto il signor Ranalli e il signor Gualterio, marchese e intendente, che piglia possesso di Orviato sotto il fuoco (stile di gala dei giornali moderati), gli è un fatto, che a lui appena nato spuntarono le ali, e si mise a volare; e vola, e vola, ora si posò sul naso a Giove, che credendolo una zanzara, ci diede un picchio da ammazzare un cavallo, ma non lo colse, ora su la lancia a Marte; un dì stette con Ercole, un altro con Amore, ond'egli incominciò a raccontare le guerre dei Titani, le galanterie di Venere, le fatiche del figliuolo di Alcmena, e le vicende di Psiche gentile; finchè aveva dei fatti veri si serviva di quelli, quando gli mancavano egli ce ne annestava di suo; diventato più adulto derise li Dei, prese a bazzicare gente perduta, scrisse coi greci le favole milesie, a Roma strinse amicizia con Apuleio, anco a Tito Petronio Arbitro resse la penna; insomma una ne faceva, e un'altra ne pensava; per ultimo, tante commise scapestratezze, e tanti dolori arrecò a quella povera donna di Tersicore, che sovente tutta in lacrime la meschina ebbe a dire, che ben per lei se dava retta a Momo, il quale, quando gli nacque il figliuolo, la consigliò a muso duro di metterlo nella ruota dei Trovatelli. Il peggio poi fu, allorchè il Romanzo si fece cristiano, e un dì scappando di casa alle Muse, portò via a Melpomene i coturni, a Talia la maschera, a Clio lo stile, ad Urania il compasso.
Tersicore andò a Roma alla cerca del figliuolo, e da quella via, per fare un viaggio e due servizi, baciare il piede al Papa, dacchè ella, come ballerina, una grande devozione pei piedi se la sentiva; però non se gli faceva baciare; ma a Roma le dissero: che il Romanzo si era fatto turco; allora corse affannosa a Costantinopoli, e costà seppe come da parecchio tempo ridottosi nella China, seguitava la credenza di Budda: non lo trovò neppure a Canton, perchè ito in America a farsi mormone; gli corse dietro invano per le terre degl'idolatri, a Londra, a Madrid, a Ginevra, ed alla fine lo trovò a Parigi, dove aveva aperto bottega di rigattiere di tutte le religioni del mondo. Magazzino sterminato di Numi smessi e da smettere, presso cui l'antico Panteon di Roma appariva un vero guscio di noce!
Quindi vago ei si mostrò mai sempre di mescere il sacro col profano, il serio col faceto, le lancie confondere con le mannaie; protervo e insolente, talvolta gli piacque, mutato in paggio, sostenere lo strascico dei manti regi, o insinuarsi nei penetrali delle regine a rovistare nei e pomate, ed anco, ahimè! veleni; ardì anche ficcarsi dentro le alcove delle marchese, e vedere e udire cose, che non si devono vedere nè udire, molto meno ridire, e non per tanto, non solo volle vederle e volle udirle, ma altresì, lo svergognato, volle stamparle, con tale una strage di anime, che Dio ve lo dica per me; poi mettendosi un perruccone in folio sul capo, assistè ai Consigli dei Principi e ci volle dire la sua; nè valse chiudergli le porte in faccia, o tirare le cortine; che quanto si covò là dentro di arcano tanto lessero poi, pieni di spavento, spifferato pel mondo vecchio e pel nuovo. Conobbe i disegni delle battaglie del principe di Condè, e delle fortificazioni del maresciallo Vauban, anche prima che questi gli avesse concepiti. Un bel giorno montò sopra una seggiola nel palazzo reale, a declamare con Camillo Dumoulin, muggì col Danton alla Convenzione, miagolò col Robespierre ai Giacobini, schiattì col Marat nello Amico del popolo; poi stette a vedere il ballo tondo di tutta questa gente e dei reali di Francia, che stringendosi per la mano sparivano uno dopo l'altro nel regno della morte, come gli anni si dileguano nella eternità; e la mannaia batteva la musica per tutti.
Quinci si tolse e lavò col sangue glorioso delle battaglie il sangue scellerato delle proscrizioni civili; gli piacquero il fuoco, il ferro, lo stridore e il fumo, esultò nei gaudii della strage; con la spada nella destra, e la bandiera della Libertà nella manca, si fece a urtare di corsa il ridotto, che lo aspettava con la bocca aperta dei suoi cannoni quasi tigri in atto di sbranarlo; tutte coteste bocche balenarono, tonarono, e intorno si diffuse una procella di morte; ogni vista disparve così dalla terra come dal cielo, e Tersicore dal Parnaso non sapeva nè manco lei a qual santo raccomandarlo, tanta era la confusione degli Dei che le mulinava per la testa... quando di un tratto, sgombrato l'aere, ella lo rivide in cima al parapetto, drappellare la bandiera della Libertà col piè calcante un uomo ucciso, più radioso per avventura che non fu Dio, quando soffiò la vita nell'uomo. In seguito avendo meditato i cari versi di Tommaso Grossi intorno alla gloria, si fa pacifico,
E vede come alfine ella le incresce
Se una imagin di amor non vi si mesce.
Però ridottosi a vivere in città, si rese frate: se i monasteri fossero di maschi o di femmine non distinse, o piuttosto non volle distinguere; entrò in tutti; e quivi egli legò amicizia con Abelardo ed Eloisa, eterno sospiro dei veraci amanti; anzi fu proprio lui il primo, che vide il sepolto amante levare le braccia, quando gli scoperchiarono il sepolcro per mettergli a riposare allato la sua Eloisa. Uscendo di lì col cuore chiuso, occorse nella Teologia, e per sollevarsi, le trasse la parrucca di capo e gliela buttò nella Dora; capitatagli fra i piedi la Politica, la ghermì per la coda, e mulinatala un pezzo, la frombolò come un gatto morto in piazza Castello; allo svoltare dal canto della Università, trovatasi innanzi la Metafisica che s'incamminava coi suoi arnesi a mettere al tormento i cervelli dei poveri giovani, non potè resistere alla tentazione di darle a mano aperta un solennissimo picchio sul berrettone, e ingozzarglielo fino al mento: la Metafisica poi non fece sembianza di accorgersene, anzi non tentò nè anco di tirarselo in su, nè parve che col berrettone sugli occhi vedesse meno; al contrario taluni avvisarono ch'ella a quel modo vedesse di più, e più chiaro, ed anco a lei parve così; rallegratosi il cuore, il Romanzo fu preso da immenso affetto pel popolo, e di botto lo andò a visitare nelle soffitte dei palazzi, dov'egli abita forse per trovarsi sottomano il paradiso, a cui lo accostano ogni giorno più i patimenti che dura.
Colà pose amore alla fanciulla di madre sempre viva, e di padre sempre morto in battaglia o sul mare, la incoraggì, la sostenne, le cinse il capo di una ghirlanda di fiori immortali, colti nei giardini dello amore e dell'allegria; egli le ornò la stanza, egli insegnò al suo canarino i bei versi, che chiamarono sul tetto uno stormo di pennuti amatori a plaudirgli col canto, egli gli mutò l'acqua, gli riempì la cassetta di panico, e lo ricompensò della dolce canzone col pinolo; ma soprattutto fu pei conforti del Romanzo, che la fanciulla si sentì rafforzata le dita al lavoro, e diventò zuava del cucito; egli la fece valorosa da tenere sempre fuori della porta la miseria, la quale di ora in ora si provava stendere la manaccia trista per arraffarle la mamma, e portargliela all'ospedale. La fanciulla sovvenuta dal Romanzo sostenne le querimonie della vecchia, le durezze, le male parole, i rinfacci; studiò non le mancasse mai nulla; ella talora digiunò un giorno, affinchè nella scatola della madre non mancasse tabacco, e avesse a masticare il suo bravo zucchero candito; ringraziata, ne rimase lieta, pagata d'ingratitudine, pianse, ma raddoppiò le sue cure; quando per ultimo la vecchia venne a morte, il Romanzo andò pei casigliani perchè salissero su, o scendessero a vestirla e vegliarla, andò a trovare il falegname, il quale per carità fece la cassa, ed egli ce la ripose dentro, e ci dipinse sopra la sua brava croce col pennello imprestatogli dal pittore accanto, e con la filiggine stemperata nell'acqua: chiamò eziandio quattro giovanotti della contrada, ognuno dei quali si mise in ispalla una stanga della barella, ed egli precedendo con la croce, portarono il cadavere al camposanto, dove lo seppellirono implorando alla defunta, che Dio nel giudicarla guardasse meno ai suoi peccati, che alle angoscie patite nei suoi giorni brevi ed infelici.
Tornato a casa per consolare la ragazza, si accorse com'ella il consolatore se lo fosse bello e trovato nel giovane pittore, che andato per ripigliare il suo pennello e' ci era rimasto a piangere; e poichè piangere non si può sempre, i giovani si misero a leggere, e il romanzo, niente impermalito, stette lì aperto in mezzo a loro per dilettarli, ed anco un pocolino per istruirli, ma leggi, leggi, anche questo viene a noia, onde un bel giorno chiusero il Romanzo, ed egli non vide più nulla; quanto ei rimase chiuso, il Romanzo non sa, che gli avevano rubato l'orologio alla fiera di Novara, ma ci deve essere stato un pezzo, perchè ruzzolando certa volta per terra, si aperse e vide... che vide? La povera fanciulla con gli occhi gonfi, le chiome sciolte, dimagrata da per tutto, meno nei fianchi, affaticarsi a soffiare dentro un caldano pieno di carboni. Il Romanzo innanzi tutto spalancò la finestra, che non si sentiva punto voglia di rimanere soffocato per compagnia, poi si accostò alla fanciulla e pianamente le disse: "Matta, che fai? Ci capita così presto addosso la morte, che a fè di Dio non vale il pregio affrettarla con le nostre mani; ti par'egli colpa di morte dare la vita ad un'altra creatura? Matta! e non vedi, che questo egli è come un rubare il mestiere al Creatore? Quanto ai rispetti umani, pensi che sarà lodata dagli uomini chi si va a rimpiattare col suo errore dentro una fossa, o non piuttosto chi resta valorosamente ad espiarlo? Il fallo, cara mia, è un debito come gli altri, che va saldato, e la morte rassomiglia alla bancarotta; la virtù poi di madre la è spugna, che basta a cancellare qualunque trascorso di donzella; rimanti, rimanti, e ti conforta col pensiero, che dove voce di femmina non arriva più, aggiuntata con la voce del pargolo, arriva sempre o quasi: io poi che mi trovai pei mezzi, ed ho bisogno di rimettermi in credito, veglierò per te."
E il buon Romanzo attenne la promessa, poichè entrò in casa al pittore diventato famoso, e chiappatolo a frullo, gli narrò un giorno la sua storia, con tinte messe a chiaroscuro così a pennello, che il pittore si sentì tutto scombussolato dentro; e poichè conduceva allora su la tela il quadro dell'Assunta, ed aveva lasciato in bianco il capo di un angiolino, non gli essendo occorso modello capace di stare a confronto coi tanti che ci aveva di già disegnato, gli parve la provvidenza lo avesse fatto a posta, perch'ei ci mettesse la immagine del suo figliolino, che doveva nascere bellissimo, perchè la mamma sua era molto arcibellissima, ed egli non si poteva chiamare brutto - qui si guardò allo specchio lisciandosi i baffi; - onde di punto in bianco scese tre piani, ne salì sette, entrò nella soffitta della desolata, chiese perdono, e, figurarsi! l'ebbe; abbracciò, fu abbracciato, eccetera...
Correva appunto un giovedì quando tutte queste cose accadevano, e nella domenica prossima in casa al pittore cascò, sto per dire, un diavolìo di sacramenti, perchè la donna fu confessata, l'uomo comunicato, ed ambedue congiunti in matrimonio: nè basta; che usciti appena di chiesa, la sposa a cui per allegrezza si erano commosse le viscere, partorì; però ebbero a tornare in chiesa da capo, affinchè battezzassero il bambino, e il prete lo battezzò; se non che mentre si metteva gli occhiali sul naso per registrarlo sul libro delle anime, ammonì lo sposo, che non pigliasse di coteste rincorse, altramente egli si esponeva a rischio di condurre ai fonti battesimali la sua discendenza in gregge, come il profeta Giacobbe spingeva le sue pecore a pascere nel paese di Canaan.
È fama, che il Romanzo in cotesto giorno, entrando e uscendo di chiesa, correndo pel parrucchiere, per la balia, pei convitati, per le provviste et reliqua, tutto rosso in viso ed affannoso, mentre si asciugava il sudore, esclamasse: "Quando faceva il Figaro figuro era un mestiere cane, ma fare il Figaro galantuomo è un cane mestiere".
Avendo preso amore pei luoghi alti come il Dio Moloc, il Romanzo quinci spiccando un salto si recò sul campanile della Madonna di Parigi, e colà assistè allo amore del prete che piglia il filo su la pietra stessa dove arrotano i rasoi, conobbe i baci sacrileghi, i quali dove toccano lasciano il livido, descrisse gli abbracciamenti satanici, che stringono una creatura vivente, e la lasciano cadavere, ed un bel giorno consigliò Quasimodo, e lo sovvenne a scaraventare Claudio Frollo di sotto al campanile.
Poi per ricrearsi venne in Italia, e si aggirò pei colli della Brianza, dove conobbe Renzo e Lucia, e prese tabacco nella scatola di padre Cristoforo; un degno frate in verità, ma il Romanzo dentro un orecchio ai suoi amici susurrava sommesso, che tre quarti delle virtù del frate Cristoforo, Alessandro Manzoni le aveva tolte a nolo da lui Romanzo, con promessa di riportargliele finito il lavoro, e poi gliele aveva negate; egli avere taciuto e tacere per non fare scandalo, ma, conte o non conte, questo cavargli di sotto tante virtù per regalarle altrui... e poi a chi? a un frate! sembrargli una solenne bindoleria. Basta! contentarsi per ora, che i Promessi sposi si chiamassero romanzo; caso mai si attentassero battezzarli storia, egli era capitale da citare il signor conte davanti il giudice civile, ed a un bisogno, anche, criminale.
A Livorno ci si condusse per amore dei bagni di mare, e stretta amicizia con un popolano, gli mostrò, con certa sua lanterna magica, le virtù e le colpe di un popolo caduto, e l'anima grande del Ferruccio, che ad ogni secolo (e n'erano già passati tre) si affacciava sdegnosa fuori del sepolcro per domandare se l'ora della vendetta era venuta; e il popolano accelerò la vendetta con arte, che di leggieri avrebbe potuta essere superata da ogni uomo; nessuno avrebbe potuto superarne il coraggio, l'impeto e l'odio contro la tirannide.
In somma, chi può adesso tenere fermo il Romanzo o circonscriverlo dentro certi confini? Taluno lo ha visto attraversare il deserto accoccolato sul cammello dell'arabo; chi lo trovò a Siviglia a cantare per la notte stellata una canzone del romancero sotto la finestra della più bella señora del paese; lo incontrarono nella baia dell'Hudson col Parry e col Franklin; si trattenne con gli Esquimesi, bazzicò coi Camsciadali; incammuffato di pelle di vitello marino, sostenne l'aere pingue dei loro antri, schiariti dall'olio di vitello marino; participò alle mense di vitello marino, assistè alle caccie armato di ossi di vitello marino, e tutto questo per raccogliere la storia delle loro passioni, e raccontarcela; passò in China, scavalcando di un salto la muraglia; fu in India, entrò in Jeddo, malgrado il divieto dello imperatore del Giappone, e per l'America corre e ricorre costante e benefico a mo' di vento etesio. Ora dunque consentitegli, ch'ei vaghi a suo senno, non gli chiedete forme antiche, nè osservanza a regole vetuste, imperciocchè egli si rinnova sempre, Proteo inesauribile della letteratura moderna. Un giorno forse anch'egli verrà meno, e si troverà attaccato al palco, come una giubba vecchia in bottega dell'ebreo in compagnia dei poemi epici, dei trattati di metafisica, di storie contemporanee, ma per ora egli palpita, egli regna; non gli perfidiate pertanto vivere a modo suo, dacchè egli vi lascia vivere al vostro; per le quali ragioni, che a me paiono tutte buone, vi prego immaginare, che voltando una pagina sieno discorsi due anni; e chi lo vuol fare, sì il faccia, chi no, mi rincari il fitto, e ripiglio la storia.
Sono discorsi due anni, e niente sembra mutato in casa Orazio; forse, guardandoci sottilmente, negli angoli degli occhi, e sopra la fronte di lui il tempo ha terminato il solco della ruga principiata un anno fa, e ora torna indietro per mettere mano a condurne un'altra accanto; e sopra la faccia di Betta si legge pur troppo la medesima storia: ma queste sono cose, che non giova avvertire mai, massime nelle donne, di cui il capitale, se non unico, almanco più chiaro, consiste nella bellezza vera, o presunta.
Tutto uguale dunque, perfino la tazza del thè fumante dinanzi ad Orazio, il quale, seduto coi gomiti appoggiati ai bracciuoli del seggiolone, le dita intrecciate, con la persona china in avanti, stava fisso fisso guardando, non mica gli oggetti sensibili parati dinanzi a lui, bensì le visioni del proprio spirito; e su questo punto non cadeva pericolo di sbagliare, imperciocchè le sue pupille sbalestrassero una a ponente, l'altra a levante.
La Betta, che da un pezzo mirava cotesto divagamento dello intelletto di Orazio, e n'era inquieta, onde trarnelo fuora prese a tossire, a smovere i mobili, e ad agitargli la mano su gli occhi, nella guisa che costumavano i santi quando cacciavano via da loro le tentazioni e le mosche, nè tutto questo bastando, postergato ogni rispetto, gli si accostò, con ambedue le mani gli cinse il capo, e con divina audacia se lo fece posare sul seno. Orazio tremò, e tornato in sè, non volle o non seppe literare il capo dalla benevola stretta, bensì le lacrime gli spuntarono negli occhi, le quali si sparpagliarono per le palpebre, e quivi rimasero appese come stille di rugiada su l'orlo delle foglie, pure aspettando le consumi il sole.
- Io pensava, alfine disse Orazio con un gemito.
- E troppo spesso, e troppo lungamente, perchè il suo cervello non abbia a patirne; si rammenti, che ci abbiamo avuto due o tre picchi, caro signore Orazio.
- Ma il trapassare d'idea in idea non affatica come credi, Betta; quello che fa male davvero è il pensiero fisso, questo poi trapana il cervello; io lo sento qui doloroso come un bottone di ferro infocato.
- E glielo credo; dunque perchè la si vuole limare sempre dentro cotesto pensiero solo?
- E che sai tu dei pensieri che mi galoppano per la mente? La Dio grazia, le ossa e la carne tappano meglio il cuore, del pastrano abbottonato fino al mento.
- Oh! non tappano nulla, ed io glielo miro sopra la fronte, come se ce lo avesse scolpito il signor Bastiano.
- Marcello!... Marcello! bisbigliò sommesso Betta, curvandosi sopra Orazio.
Mirabile contradizione umana! Orazio aveva provocato la risposta di Betta; dirò di più: egli l'aveva presagita; se fosse stata diversa l'avrebbe afflitto, ed ora invece di rallegrarsene se ne adontò, sottrasse il capo dalle mani di Betta, levossi in piedi respingendo il seggiolone con ira, e si mise a passeggiare per la stanza stizzito così, che peggio non appare un poeta ruggente, in cerca della chiusa del suo sonetto, e smanioso diceva:
- Ecco gli avanzi che l'uomo fa, quando si addomestica troppo i suoi servitori: questi finiscono con lo stimarlo meno di un truciolo; io le aveva detto e ripetuto non so quante volte, che al mio nepote io non voleva pensarci più; epperò non ci pensava mai; ora se Betta avesse saputo l'obbligo suo, doveva credere alle mie parole, e non levarmi il rispetto, dandomi una mentita sopra la faccia, e venirmi a sostenere così di punto in bianco, che io penso sempre a cui io ordino che si creda che non penso mai.
Betta non rispose nulla, se non che alla sesta giravolta agguantò Orazio per un braccio, e lo ricondusse soavemente a sedere: allora Orazio, quasi in tacito pegno di pace, mise la sua dentro la mano di Betta, la quale sentendola madida di sudore e tremante, fu commossa da un struggimento interno da non potersi dire, e gli occhi le si gonfiarono di lacrime: provò a trattenerle, ma e' non fu nulla, che le stavano lì lì per uscire fuora, e dall'altro canto non le voleva piangere; imperciocchè se con le sue lacrime fosse venuta a crescere il fascio dell'afflizione di Orazio, povera a lei! che le sarebbe parso di commettere un peccato, e grosso. Di botto die' in uno strido, ed esclamò subito:
- Il mio occhio! Mi è entrato un bruscolo dentro l'occhio. Signore Orazio, per carità, mi soffi dentro l'occhio.
E Orazio subito rizzato in piedi, intanto che Betta, tirando in su in giù la pelle delle palpebre, scopriva quanto più poteva della congiuntiva dell'occhio, ci soffiava dentro come un mantice, di ora in ora osservando:
- Misericordia! Quante lacrime! ti deve angosciare davvero questo maledetto bruscolo!
Affermano tutti quelli che lo ponno sapere, come in paradiso ci abbiano, non un angiolo (diavolo! un solo non potrebbe bastare), bensì parecchi angioli scribi a cui fu commesso la cura di registrare sur un libro i peccati che gli uomini vanno commettendo in giornata, da una parte, e dall'altra, come di ragione, i meriti loro, il che si chiama tenere i conti a partita doppia, per compilarne il bilancio al termine di ogni vita, e saldare poi in tanta moneta di paradiso, cosa che accade di raro, ovvero in tante tratte su lo inferno, e questo è caso ordinarissimo; dicono ancora che ogni peccato ha il suo prezzo fisso, e però eziandio le menzogne, le quali si scontano in ragione di sette anni di purgatorio per ognuna. Io, che per odio di stare a tu per tu, credo tutto quello che si degnano darmi ad intendere, protesto, che questa poi non la posso ingollare: tra menzogna e menzogna una differenza ha da correre, e sostengo che la bugia di Betta, invece di passargliela a debito, l'angiolo scrivano deve avergliela registrata a credito, defalcandone sette anni di purgatorio per qualche altra bugia meno innocente; quanto a me tengo qualunque scommessa, e vedremo a suo tempo se io ho colto nel segno.
- Grazie, signore Orazio, grazie, disse Betta, asciugandosi gli occhi col grembiule; adesso che il bruscolo è uscito dal mio occhio, miriamo un po' se ci ha verso di cavargli quella tribolazione di Marcello dal cuore.
- Sì, proviamo, Betta, proviamo; ormai corre il quarto mese, che io non ho lettere di Marcello, nè so che cosa ne sia accaduto...
- . Ed è questo motivo perchè la si addolori poi tanto? Non voleva ella mandarlo in Australia? Io giudico, che dopo avere finito i quattrini, si è imbarcato per costà...
- Dio lo guardi! Dio ci liberi tutti! Senza quattrini in terre d'Inglesi? Ma tu non sai, o Betta, che forse in tutto il mondo non ci ha che Londra dove l'uomo senza quattrini muoia proprio di fame: non mica, che la Carità manchi a Londra: al contrario ella ci è bene e meglio; ma il fumo del carbone fossile l'accieca, o se ci vede, affaccendata per andare alla borsa, non può trattenersi a soccorrere chi muore di fame sopra la pubblica strada. Gl'Inglesi hanno per costume di dire, e lo scrivono eziandio nei fondachi loro: il tempo è moneta; sarebbe più corto, e più sincero ad un punto, se affermassero a dirittura tutto è moneta; così di sopra come di sotto, e tanto dentro quanto fuori. Se questo accade a Londra, pensa se a Melbourne dove non vanno di certo i galantuomini in villeggiatura - perchè, Betta mia, l'uomo fuori di casa sta spontaneo come i nostri primi padri stavano costretti fuori del paradiso terrestre... per via del peccato...
Qui Orazio si rizzò da capo, e prese come la prima volta a passeggiare, però con ragione diversa: che per la prima volta dall'èmpito scese alla quiete, mentre adesso di mano in mano accendevasi:
- O Betta! Che hai tu fatto? Io vedo... io vedo quel povero ragazzo salito per disperazione sopra una barcaccia sdruscita; lo vedo perduto in mezzo ad un mare di cui i cavalloni s'incalzano mostruosi come le alpi che abbiamo davanti; - -lo vedo in cima di un maroso bianco, e arruffato pari al capo di Caronte, il vecchio demonio, stendermi la mano e dirmi: "Buona notte, signore zio!" e poi sparisce... o Dio! per non comparire più a galla...
- Lei dice santamente, sa, signore Orazio, la grulla sono io; Marcello non può essere andato senza quattrini in Australia... questa è chiara come il sole: sa ella dove sarà andato di certo?
- Dove, Betta? Dove credi sia andato Marcello?
- Peggio, Betta, peggio. Avrebbe Marcello potuto avere così poco cuore, e punto giudizio da mettersi a simili sbaragli senza farmene motto? Gli basterebbe l'animo di lasciarsi ammazzare per assassinare il suo zio? Che gli ho fatto io perchè egli voglia morire prima di me? Il figlio unico non può, nè deve andare alla guerra. Napoleone, vedi, che mise in pratica moderna la favola antica di Saturno, che divorava i proprii figliuoli, Napoleone stesso consentì che i figli unici rimanessero a casa: anco a lui parve, che pel figliuolo unico corressero maggiori obblighi per istare, che per andare, non fosse altro per ammannirgli altri figliuoli come legna da ardere nella fornace della sua ambizione. E poi si trattasse di guerra patria, ti dia la peste! non lo vorrei trattenere, no, quanto è vero Dio, che ci deve giudicare; senonchè mi farei allestire la cassa, e ma' mai ci arrivasse la notizia: Marcello è morto; io ti direi: "Betta, buttiamovici dentro, e finiamo questa burla sguaiata che si chiama vita!"
- Oh! che cosa mi dice, signor Orazio? Ed io aveva sentito leggere su la Opinione, che cotesta guerra ce l'eravamo recata sopra le spalle per amore di patria, ed io ci aveva creduto.
- Che vuoi tu, Betta? Iddio, essendosi per la centesima volta pentito di avere creato questa razzaccia umana, voleva distruggerla, ma si trovò legate le mani per virtù dello antico contratto, che, come sai, stipulò con Noè, quando egli uscì dall'arca; pure volendola punire con qualche cosa, che equivalesse al diluvio, rovesciò sopra la terra i giornali. Se n'eccettui taluno, ma raro, tutti gli altri dêtta la ignoranza, la presunzione scrive, la fame compone, la calunnia ne rivede le bozze, l'ambizione stende lo inchiostro su le pagine, la cupidità stringe il torchio, la infamia vende. - Il giornalista è il sicario dei tempi detti civili; come il sicario, di notte opera stampando e scrivendo; come il sicario, ti aspetta larvato al canto per colpirti alla sprovvista; come il sicario, perdutissimo e bestiale, può con un colpo di stiletto ammazzare un eroe: Ravaillac che passa il cuore a Enrico IV. Però la Provvidenza, che presto si placa, se non potè distruggere il fatto, ci porse il suo rimedio, affinchè gli uomini avvertiti se ne preservassero; e però come al serpente a sonagli assegnava il fruscio della coda, ella impartiva ai giornali un odore nauseante, e questo per l'odorato; inoltre li condannava a rimanersi sempre fradici; affinchè insozzandoti le mani, ti facessero fede che la è roba sempre sudicia.
I giornali pertanto il più delle volte sono pagati per istrozzare la coscienza pubblica; però tutti, o quasi, hanno sonato le campane a festa per questa benedetta guerra di Crimea, e il popolo n'è rimasto intronato: ma qui che le campane non ci si fanno sentire, ti dico aperto, che la guerra di Crimea è mossa da causa fin qui nuova negli annali della follìa, voglio dire per l'adulazione. Nella speranza remota di un benefizio ci arrechiamo un danno certo; nel presagio di acquistare un amico andiamo a provocarci un nemico sicuro, e poi tu hai, o Betta, a ficcarti bene dentro la mente una cosa, anzi due, che un popolo non acquista la sua libertà esterna querelandosi per le reggie dei potentati stranieri, a mo' dello accattone alla porta del convento: a questo modo buscherai una ramaiolata di broda, non la libertà; e quanto alla libertà interna, Dio volesse, che ai popoli la offerisse Igea dentro una tazza colma di salute, ma non è così; questa pure noi non possiamo acquistarci eccettochè con la ricetta che adoperò Ercole contro l'idra Lernea; voglio dire, botte da ciechi: e per compendiare tutto in poche parole, così dentro come di fuori libertà non si ottiene con la destra stesa, bensì stretta; quella si addice al mendico che supplica la elemosina, questa al guerriero che minaccia il nemico con la spada.
- Dunque concludo, riprese Betta, che se Marcello non se n'è andato lontano per mare nè per terra, senza fallo deve trovarsi vicino.
- Ma! neanche con la riga in mano si argomenterebbe così diritto.
- E se si trova prossimo, tanto più avrà ad essere facile rinvenirlo: per la quale cosa, io giudico, innanzi tratto, che ella farà benissimo a pigliarne lingua scrivendo a qualche suo amico di Milano, a mo' d'esempio al signor Tondi, quel mercante suo amico.
- Tu parli santamente: ma cotesti poveri lombardi tanto sono trassinati da quelle bestiacce di tedeschi, che tengono sempre le orecchie ritte come lupo che aombri: se avessi potuto concertare col Tondi una maniera d'intenderci fingendo favellare di zucchero o d'indaco, io credo che mi servirebbe volontieri; diversamente temerà di guastare i fatti suoi sul dubbio che qualche lettera gli sia soppressa, e la polizia vada a pescare nella ricerca di Marcello qualche insidia al paterno reggimento di S. M. Apostolica.
- Aspetti! Allora scriva a Don Placidi, quel dabbene canonico che ride tanto, che mangia tanto, che beve tanto, che...
- Certo il canonico, per quello che fa la piazza, gli è proprio fiore di galantuomo, ma tu capisci bene, che mi si professa amico dalla mano sinistra, come i principi di corona sposano le vassalle, e ma' mai l'Arcivescovo sospettasse che mantiene meco pratica, s'egli stesse contento a sospenderlo a divinis sarebbe bazza. Ora i preti, e sopra tutti gli altri cristiani i preti, dei precetti di Gesù tengono a memoria ottimamente quello, che la carità, affinchè possa chiamarsi perfetta, deve incominciare da sè medesimo; anzi molti opinano, che Don Mestesso fosse prete, e affermano che il papa lo avrebbe fatto senz'altro cardinale, se non moriva di indigestione cappellano.
- Dunque faccia una cosa, scriva al conte Scotti; questi mi pare, che non lo abbiano a tenere tanti rispetti.
- Per questo poi tu ti sei apposta, egli è una perla, ma che vuoi tu? La stagione mi corre nemica: ogni anno di carnovale il conte perde la testa a cagione dei piedi di qualche ballerina.
- Dunque ci mandi un uomo a posta che frughi, e rovisti per ogni angolo tanto, che le riporti notizia di Marcello.
- Tu l'hai detto! Per poco che il mio messaggero si mostrasse curioso o impacciato, correrebbe rischio di essere spedito in Moravia per sospetto di spia, e forse dietro a lui Marcello a fargli riscontro; perchè gli Austriaci hanno in corpo il diavolo della simmetria; tanto è vero questo, che qui in Italia non impiccano mai un italiano solo. Queste sono faccende delicate, Betta mia, adagio ai ma' passi. Se vuoi vai, e se non vuoi manda, egli è un proverbio d'oro... e bisogna finirla.
Questo dicendo, Orazio prese un candelliere e se n'entrò in camera, dove Betta non lo seguitò, pensando che andasse per qualche suo agio, ma ella ebbe a restare trasecolata quando lo vide comparire indi a poco vestito di tutto punto, abbottonato fino al mento, il fascettone di lana intorno al collo, guanti e bastone.
- E ora in cotesto arnese dove va, che sia benedetto?
- A Milano! esclamò Betta spaventata; e subito dopo quasi per mettere un travicello in mezzo alle gambe della costanza di Orazio, e farla stramazzare alla traditora, soggiunse: il passaporto?
- Da parecchi giorni io l'ho in tasca.
- Col visto del console austriaco? soggiunse Betta pallida in faccia pel presagio della disfatta.
- Col visto del console austriaco.
- E il signor Orazio me lo ha taciuto?
In queste semplici parole ci era tanto peso di rimprovero, che il signor Orazio abbassò il capo senza potere formare una parola, ed anche Betta se ne stava alquanto sopra di sè, ma subito dopo, come chi ruzzola da un balzo si attacca ad ogni tignamica, ella insistendo soggiunse:
- A quest'ora?
- Basta che mi affretti sarò a tempo all'ultima partenza della strada ferrata - e così parlando Orazio additava l'orologio posto sul caminetto.
- Ma la notte, il freddo, l'umido, la tosse, il reuma, l'emorroidi, l'ernia, il mal di fegato!... Signore! Oh! se si inferma chi lo custodirà?
- Mi sono coperto bene, ho meco il mio fascettone di lana, e questo pel freddo, l'umido e gli altri malanni; pel rimanente la ferma fiducia nello aiuto di Dio.
- E se lei casca in sospetto di cotesti scellerati di Austriaci? Signore! mi viene la pelle di pollo a pensarci soltanto.
- Betta, di grazia, sgombrami la via; vedi, tu non potresti trattenermi nè manco se tu fossi Andromaca, e mi porgessi su le braccia Astianatte.
- Qui non ci hanno che fare le natte; bensì tedeschi... La supplico non si esponga, signor Orazio... non metta a cimento la sua vita... abbia carità di lei... ed anco un poco di me!
- Duro fato di noi altri meschini! esclamò Orazio dandosi un picchio su la fronte così marchiano che si fece saltare a un punto cappello, occhiali e parrucca; non però mosse atto di correre loro dietro per raccattarli, tanto la passione in cotesto punto lo vinse; - duro fato! Lo italiano per condursi in terra italiana... qui presso... a cinque ore di cammino... in cerca del proprio sangue, corre maggiore pericolo di quello, onde i cristiani erano minacciati una volta nei paesi di Algeri, o di Sale.
E intanto che Betta raccoglieva occhiali, cappello e parrucca, Orazio soggiunse: - senti, Betta, non impedire il mio fatale andare, perchè sappi una cosa che ti ho tenuta nascosta: se io passassi una notte come la trascorsa, tu correresti rischio di trovarmi morto nel letto...
In questa fu sentita una scampanellata da buttare giù la porta; e Orazio e Betta avevano appena avuto il tempo di domandarsi: chi mai sarà? che Orsola, Lorenzo, Antonio irruppero nella stanza gridando: eccolo! e' viene! e' viene!
- Chi viene? urlò con voce rinforzata Betta.
E gli altri: - eccolo! e' viene!
- Ma chi? - Ma chi?... Betta e Orazio in coro.
- Viene Marcello, gli rispose di su la porta in atto tragico quel capo ameno del suo nipote.
Apollo tua mercè, tua mercè santo
Collegio delle Muse io non possiedo
Tanto per voi da farmi nuovo un manto.