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Francesco Domenico Guerrazzi
Racconti e scritti minori

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VI

 

Dove s'impara come le donne non sieno libri turchi, che sì leggono alla rovescia; e si tocca dei pericoli di prestare le carrozze.

 

Tutto questo mi parve, e bisogna convenire, ch'era magnifico, però nulla confacente al caso nostro, anzi micidiale, onde noi ripigliammo il cammino, stetti guari, ch'io m'imbattei nella officina del signor Lupato, mi segnai come quando giovinetto mi tuffava nel Po, e passai le soglie. E' pare, che i letterati, e chi gli bazzica emanino un odore affatto speciale, imperciocchè il signore Lupato, quantunque non mi venisse precisamente a fiutare sotto la coda a mo' dei cani, tuttavolta mi riconobbe per servitore delle Muse; la quale riputazione crebbe due cotanti quando gli confidai ch'era nipote del signor zio, e senza avvertire al rischio di mandare su le secche la sua reputazione, gli dissi che da lei in fuori non aveva avuto altro precettore nel mondo: composi di botto certa favola sopra le cause della mia assenza da casa, la quale egli bevve, o come credo piuttosto egli finse di bevere, per ultimo conchiuse: desiderare con tutto il cuore sovvenirmi in cotesta necessità; però su due piedi non potermi esibire altro, che la revisione delle bozze di stampe; pagare ordinariamente una svanzica per foglio di sedici pagine; a me come principiante avrebbe dovuto offrire meno: non volerlo fare; vedrebbe subito se gli avessi mangiato il pane a tradimento. A questo modo e sotto sì felici auspicii

 

Venni fatto aguzzino ed Amostante

 

nel regno delle Muse.

Con le largizioni sbraciate dal buon Lupaio io cavai tanto da non cascare morto di fame sopra l'eterne pagine che mi dava a correggere: ma occorrono certi quarti d'ora così per gli uomini come pei popoli, nei quali gli è un gran fatto vivere; testimone quel tanto, che su questo proposito predicò dalla bigoncia cotesto cervello magno del nostro Massimo Azeglio, che maneggia spada, pennelli, penne, e timoni (di Stato già s'intende) con la medesima agilità, onde un giocoliere di fiera si remolina fra le mani quattro mele cotogne. Vissi, e subito dopo assicuratomi alquanto su le ale, mi commisi a volo maggiore; dettai manifesti; mi arrischiai a qualche prefazioncella; e rotti gli argini proruppi fino alle traduzioni: l'esito superò l'aspettativa altrui e le mie speranze, perchè rispetto a revisione di stampe sopra ventiquattro svarioni ebbi la coscienza di non farne passare che 20 soli e allo editore milanese parvi sofistico; per le traduzioni dal francese mi regolai col mettere sempre la vocale in fondo alle parole del testo, cosa, che i miei colleghi traditori-traduttori spesso dimenticavano: epperò corsi pericolo di diventare testo di lingua, a Milano. qui mi arresto; aveva detto, bugiardo, a Teresa, di professione essere marruffino; questa parola parve smovesse la fortuna a farmi un po' di bene; mi capitò pertanto un buon Toscano, che viaggiava per vendere semenza di bachi da seta, e mi pose a parte della opera e del guadagno. Ella sa, mio caro zio, come i gentiluomini toscani in questo traffico delle sete si esercitassero sempre con alacrità tale, che a taluni storici parve soverchia, e tali altri misero in canzone; sicchè Niccolò Capponi assunto al sommo maestrato della repubblica non rifuggiva uscire di celato dal palagio in onta al divieto, per dare un'occhiata ai suoi opificii di seta: ai giorni nostri cotesto studio assieme ad ogni altro spettante alle industrie agricole crebbe così fra quella nobil gente, che all'ora che fa, non si potrebbe senza invidia contrastarle di essere diventata perfettamente villana: anzi siccome ella fa eziandio professione di amare la patria nei giornali, così io credo, che se potesse allevare alla milizia questi bachi per venderli con profitto, noi avremmo di già il fatto nostro, e senza bisogno di soccorso straniero potremmo a quest'ora esclamare con Eustachio Manfredi:

 

Italia, Italia, il tuo soccorso è nato.

 

Non temeremmo più della concorrenza della Svizzera; anzi mentre questa dolorosa repubblica manda, o consente che vadano anime cristiane a puntellare la tirannide, i gentiluomini toscani da paese monarchico spedirebbero schiere di bachi eroi a difesa della libertà.

Ma negli estri della narrazione io ho fatto un salto fuori dell'ordine cronologico degli eventi, niente di male; con la penna il tempo lascia ricondursi indietro: chiedo perdono e continuo.

Era già trascorso un mese, quando certo appressatomi al buco contemplai la terza veduta, che io sto per raccontarle.

Ecco mi apparisce di primo acchito dinanzi gli occhi una bellissima creatura, ma ahimè! di genere mascolino; giovane, di sembianze miti, a tutto punto aggiustato nei capelli, nei baffi, nelle vesti, come in ogni altra cosa, si teneva piuttosto appoggiato, che seduto su la tavola di cucina, con una gamba soprammessa all'altra, un piede piantato, mentre con la punta dell'altro toccava appena la terra, ed erano entrambi perfetti di forma, ambedue lucidi per la calzatura, così che pareano fatti con due pezzi di bitume giudaico; il braccio destro teneva a squadra levato in alto, e fra l'indice e il medio della mano paglierina a cagione del guanto gentilmente stretto, il sigaro condotto a traverso molto oceano di fumo a deliziare gli ozii della gente dabbene. Ahi! zio, zio, se in quel punto io non cascai morto, è segno, che il mio petto fu fabbricato a prova di caldaia a vapore; sentii di un tratto nel cuore il diaccio, il morso dei centomila serpenti di cui va armata la invidia, e preso da ira, da rabbia, da una catasta insomma di passioni, corsi per uno specchio, dove mirandomi potere giudicare da me stesso se avessi potuto reggere il paragone con cotesto splendido giovanotto. Pare impossibile! E pure pieno dell'amore mio io non aveva anco pensato a provvedermi uno specchio; non importa niente, dissi fra me, che mi sovvenni di Narciso, e sperimentai a prova la bontà del suo metodo di educazione, mio signore zio, quando mi diceva essere di suprema necessità tirare su i figliuoli nella conoscenza di ogni mitologia così antica come moderna, perchè gli Dei importa riverire tutti. Andai pertanto in cucina e mi specchiai dentro il catino pieno di acqua: ahimè! non avendo atteso che l'acqua quietasse, immagini lei quale strazio fu fatto delle sembianze del suo povero nipote; tre nasi, occhi strabuzzati, bocca da servire di modello alla buca dove si buttano le lettere... fui per dare della testa nella muraglia e lo faceva se non avessi saputo di trovarla dura.

- Ringrazia Dio, che se l'acqua stava tranquilla tu correvi rischio d'innamorarti come Narciso del tuo volto, e rimanerti perpetuamente attaccato al catino in cucina.

- Dunque poichè fu pel mio meglio non dico altro su questo particolare, e tiro innanzi.

Betta levò gli occhi al cielo e certo in cotesto muto linguaggio disse una di queste due cose:

- Possibile, che con tanto giudizio sieno così matti! Ovvero: possibile, che con tanta pazzia siano così savii!

E Marcello proseguiva.

Col cuore, che mi picchiava mille battute per minuto, come bue tratto al macello io mi condussi da capo al buco per mirare la strage dei miei amori.

- Oh! troni. Oh! dominazioni. Il giovane non aveva mutato, si può dire, atteggiamento, se non che il sigaro cessava di fumare, e nel suo volto traspariva un non so che di acerbo; appunto nella guisa, che notai in te, Betta, quando mangi le fette di limone, gusti fradici e che guastano i denti, come ti potrà chiarire il mio signore zio. Il giovane discorreva, e tra bene e male raccapezzai queste parole.

- Isabella, tu puoi credere se io mi affatichi ogni per mettere buone parole onde placare l'animo esacerbato di tuo padre; ma io ne cavo piccolo frutto: egli non si può dare pace che tu ti sia maritata col figliuolo del suo calzolaio.

- Senti, Felice, rispondeva la giovane, se io non sentissi avere verso babbo peggiore torto di questo, davvero io non mi giudicherei dannata. Per avventura, Felice, la nostra famiglia deriva dai Lombardi che andarono alla prima crociata?

- Nostra famiglia! pensai io; dunque sono parenti?

 

Un cielo negro allorchè spunta il sole,

Parve l'anima mia a tai parole,

 

per dirlo in rima parodiando i versi del nostro sempre dolce e soave Tommaso Grossi, ed appuntai le orecchie per sentire meglio.

- La nostra famiglia non si vanta seme di cavalieri crociati, e non gliene importa, ma tuo padre e il mio scesero dai colli di Bergamo a Milano non senza il fatto loro che moltiplicarono con industrie onorate; sicchè dopo essere saliti tornare a scendere non garba: ad eccezione di tutte le altre scale, per quella della fortuna si va volentieri in su, e con immenso affanno all'ingiù.

- Averi! Ricchezze! Che sono mai? Vele e non altro con le quali navighiamo per la vita: forse con poche non si fa cammino come con le molte? Anzi, quando il tempo seconda, con una sola ti approfitti meglio che con tutte.

- Tu parli d'oro, ma nel viaggio della vita, gli averi non provvedono le vele soltanto, bensì le paghe e la panatiche pei marinari, la cappa, e il primaggio al capitano, i noli agli armatori: insomma, cara mia, egli è più facile disprezzare i quattrini a parole, che passarsene co' fatti.

- Bravo giovane! esclamò lo zio Orazio, certamente quando lo battezzarono in Duomo, il buon senso gli fece da compare.

- E' pare, che la giovane, la quale con licenza vostra d'ora in poi io chiamerò signora Isabella, non si sentisse gagliarda in questa disputa, onde data una giravolta maestra al timone, soggiunse:

- E poi Roberto ormai può stare a paragone con chiunque, avendogli l'arciduca governatore fregiato il petto con la croce della corona di ferro.

- Creusa non doveva mai accettare doni da Medea, riprese il giovane con faccia turbata; di fatti, queste croci sbracciate dall'arciduca sono meno testimonianza del merito di cui riceve, che della smania di gratificarsi la pubblica benevolenza in cui le . Che se tu miri diritto vedrai come per uso il tuo Roberto ne ha scapitato moltissimo nella riputazione, e diventò esoso all'universale; non mica perchè o mutasse di animo, o altri stimasse che lo avesse mutato, mai no; bensì perchè è danno grave lasciare credere ai nostri oppressori, che con una pensione od una croce possano corrompere i nostri cuori italiani, immortali odiatori di chi ci tiene schiavi, come immortali amatori di qualunque promova la nostra libertà.

La signora Isabella, a quanto parve, non sapeva che pesce pigliare, dacchè teneva la testa bassa sul telaio, e senza rispondere verbo menava l'ago alla disperata. Il giovane intanto avea riacceso il sigaro a un gramo tizzo di fuoco che aveva l'aria di una lucciola smarrita nel fornello, e tra un buffo e l'altro di fumo, continuò:

- questo fu la sola maledizione che uscì dalla maluriosa croce pel tuo Roberto, che inoltre gli versò nell'animo la vanità per la quale ei tenne avere messo il tetto, quando non aveva condotto la fabbrica manco al primo piano; disprezzò i consigli, neglesse i maestri, con gli amici si ruppe, e con modi o superbi o villani provocò la tempesta, all'impeto della quale volarono via, peggio che foglie secche, la sua fama di artista, ogni speranza di riuscita, la quiete dell'animo, la salute del corpo, e in breve pur troppo volerà eziandio la sua vita. Io però non gli voglio male, e dove anco glielo avessi voluto, basterebbe vederlo infelice, perchè io mi rimanessi; ma per altra parte, intendiamoci chiaro, bene non gliene voglio, perchè io non dimenticherò mai, che in grazia sua tu mi fosti infedele.

Io che fisso al buco stava uditore e spettatore di cotesto assalto di parole, ebbi ad accorgermi che il signor Felice aveva perso la scherma, imperciocchè la signora Isabella sagacissima, colto il destro per rifarsi, accorse pronta alle offese esclamando:

 

- Infedele! E come? Forse ti promisi amore? Impegnai mai teco la mia fede? Quando mai dissi parola, o feci cosa che a te mi legasse?

Ah! zio, a coteste parole, preso da immensa tenerezza, apersi le braccia per abbracciare; qualche cosa abbracciai, il muro, e mi scorticai le dita.

- Non importa: udiamo, sta per rispondere il cugino.

- Noi fummo allevati assieme, egli disse: i padri nostri l'uno di noi destinò all'altro; noi lo sapevamo; sempre io mi stava teco; non movevi piede senza che io ti accompagnassi.

- Questo è vero, ma ciò non è amore...

- "Benedetta quella bocca!" Ed egli soggiunse:

- E nelle danze tu sceglievi sempre me per compagno, e quando cantavi io ti accompagnava col suono, in chiesa andavamo di conserva, davanti al medesimo altare ci inginocchiavamo, e se la gente diceva dintorno: "che gentile coppia di sposi!" tu ti facevi rossa in viso; tu sapevi pure che tali dovevamo essere un , te ne mostravi scontenta.

La signora Isabella lievemente impallidì, si mise il dito su i labbri, e dopo essere stata alquanto pensosa disse:

- Anco questo è vero, ma ciò non è amore.

- Da me accettasti doni, che parlano chiaro di amore, un coricino di rubini, due bottoni di smeraldo; e il verde palesa la speranza, il vermiglio la passione, e sorridendo accettasti; una sera sotto i cipressi della villa ti presi la mano, te la strinsi, e poi te la riposi in libertà, ma tu nella dolce prigione la lasciasti; e non lo posso assicurare, pure mi parve che tu sospirassi - un'altra volta seduti sul margine della vasca nel giardino, mi attentai a baciarti le spalle e tu non fuggisti.

Qui poi Isabella si fece in volto vermiglia, e presto presto come chi ha fretta rispose:

- È vero anco questo altro, ma ciò non è amore...

- E che cosa dunque si chiama amore a casa tua?

- L'amore! I trenta volumi della storia della Chiesa del Fleury, che lo zio canonico ha nella sua libreria non basterebbero a dirti, che cosa sia amore, e di un motto, uno sguardo, un sorriso ne avanzi a significarlo; tanto ti basti, che se amore fosse stato il mio non avrei, io fanciulla timida e vereconda, lasciato la mia dentro la tua mano, mi sarei rimasta dopo che tu mi baciasti le spalle.

- Come no? O che siete voi altre donne come i libri turchi, che si leggono alla rovescia?

- No, bisogna leggerci alla diritta col nostro alfabeto.

- Ad ogni modo se non pel tuo amore, almeno pel mio, che tu sapevi, e che non mi fu disdetto, io credo poterti chiamare infedele. Però quanto a tuo padre gli è un altro paio di maniche; egli gli vuole un male di morte; dove intenda a caso profferire il suo nome, egli esce di sentimento, la faccia gli si fa pavonazza, e dalle labbra manda spuma; egli non gli può perdonare di essersi insinuato in casa sua come un serpente...

- Egli ci entrò per la porta salendo le scale come fanno tutti gli altri cristiani.

- Egli lo trasse dalla miseria, egli lo confortò allo studio della pittura, gli dette asilo, gli dette soccorso, ed in mercede di tutto questo gli rapì la figliuola.

- Non è così, la figliuola prestava liberissima il consenso di recarsi con esso lui alla parrocchia per esservi sposata.

- basta, che il fraudolente mostrandosi in vista a tuo padre disperato un giorno peggio dell'altro, lo condusse a domandargli la cagione del suo segreto affanno, e quegli gli disse essere colpa l'amore di egregia donzella; anch'ella amantissima e disperata, perchè i i suoi parenti superbi di nuova fortuna a patto alcuno non consentivano le nozze; e via via, mettendogli in tanta mala vista il divieto paterno, che tuo padre irretito nella insidia lo persuase egli stesso a menarsela via di casa per condurla a sposa, e lo provvide di danari; e gl'imprestò fino la sua carrozza per fuggire.

- Salvo il rispetto paterno, ed ora che nessun ci sente, vorrei tu mi dicessi, Felice, chi operò peggio dei due, o Roberto col pigliargli la carrozza per portargli via la figliuola di casa, o mio padre che gli dava il consiglio di adoperarla in questa faccenda? Non ci sono due pesi, due misure; non fare agli altri quello non vuoi sia fatto a te, cose vecchie, eppure ignorate, o non praticate come se fossero novissime.

- Diamo un taglio a cotesto. Tuo padre, puoi crederlo, non è manco infellonito teco; però non si possono mica dare alla lavandaia le viscere di padre, e giudico, che remossa la causa non dovrebbe riuscire difficile farne cessare l'effetto; molto più, che standogli accanto io correi ogni occasione a volo per raumiliarlo, e per così dire sfruconargli l'amore paterno nel cuore.

- Tu ti mantieni quale sempre ti conobbi, Felice, un ottimo giovane.

- Eh! per quello che fa la piazza ci posso stare ancora io. Ma senti quello che dobbiamo fare. Roberto ormai, povero disgraziato, non ne può uscire... non voglio affliggerti, Isabella, ma lo vedi da per te stessa, i suoi giorni sopra questa terra sono contati. Ora per quando Dio lo chiamerà a tu mi hai a promettere chiaro e lampante per non correre pericolo la seconda volta di leggere alla rovescia, che ci sposeremo di amore, e di accordo col consenso di mio padre e del tuo. -

E tacque; Isabella rispose sul momento. Quale angoscia fosse la mia, figuratela, Betta, la se la figuri, signore zio, Dio non lo mandi a provare ai cani; se vi dicessi, che il mio cuore stava stretto come una mandorla dolce dentro il torchio dello speziale quando ne spreme l'olio non direi mezzo del vero; chiusi gli occhi, e apersi le braccia mormorando: in manus tuas...

Quando gli riapersi crebbe la paura, dacchè la signora Isabella si fosse levata, e accostatasi allato del signor Felice, gli avesse posto domesticamente la mano sopra la spalla, e lo guardasse in faccia: dopo alcuno spazio di tempo così prese a dire:

- Felice, tu sei quel giovane di garbo, che sempre ti ho conosciuto. Felice, tu sei nato sotto la stella della geometria, della idraulica, dell'algebra, di tutto quello che vuoi. Tu riuscirai un ottimo direttore di bigattiere, impresario di strade ferrate, ed anco eccellente marito; tu acquisterai fama di educatore bravo di bestie e di figliuoli; ma tanto di amore non capirai mai nulla, perchè il cuore della donna è una lira che va tocca con la più tenera delle penne levata al sommolo delle ale di amore. Ora senti, Felice, la tua proposta mi suona ferocemente magnanima, e generosamente spietata; parti egli, che tu potessi sperare, che fosse accolta da me fattami in questa stanza, presentata come capitolazione a donna vinta dallo stento, esposta a modo di contratto sopra la coltre del letto dove si spegne un uomo, che amai di amore una volta, ed ora amo per dovere e per pietà?

Senza volerlo mi trovai a battere le mani una contro l'altra, e stetti un attimo, ch'io non urlassi: - brava! - I giovani rimasero sconcertati dallo strepito improvviso, per la quale cosa rivolsero la faccia al palco, e al pavimento, non si potendo capacitare da che cosa movesse; però scappai dal buco per allontanare il sospetto, e perchè quel brava rientrato mi sfondava la gola; onde per isfogarmi, recatomi nell'angolo più lontano della stanza cacciai dentro il cappello la faccia e ci feci una scorpacciata di brava! brava! bravissima!

Quando sfogato, con piede cauto quasi pauroso di inciampare su le uova mi accostai da capo al buco, il signor Felice se n'era andato (Dio lo accompagni), e la signora Isabella come se nulla fosse accaduto menava tranquilla il suo ago. Ah! mi parve che mi levassero di sul petto il Monte-Bianco o per lo meno il piccolo San Bernardo; il collarino intorno al quale la signora Isabella lavorava in cotesta congiuntura manca alla collezione dei colletti e ci mancherà sempre, Betta... perchè... perchè... io lo porto qui tra la camicia e la carne... sul cuore...

- E presso a morte, interruppe beffando lo zio, non ti dimenticare di avvertire l'assistente:

 

Mi metterai quel collarino bianco.

Ch'ella di propria mano ha trapuntito.

 

- Attenti! Attenti, signori, a quest'altra bellissima veduta, gridò il giovane con lieta voce, e con gioconda faccia; ma chi avesse potuto mirarlo dentro gli sarebbe comparso tutt'altra cosa, imperciocchè egli avesse sperato di far breccia nello animo dello zio, e l'attenzione silenziosa di lui gliene porgesse fin credibile argomento; ora poi per cotesta berta cascava dalle nuvole per dare un picchio sul lastrone; però maliziato per arte e per ingegno, che in simili occasioni soccorre sempre naturalmente i giovani, capì, che qualche senso il suo racconto doveva pure avere operato; onde studioso di non lasciarlo raffreddare, ecco rincalzava più forte:

- Eravamo di notte, in mezzo dello inverno, correva una freddissima stagione, quando mi percosse dalla strada uno strepito del diavolo: - agguanta! dalli! ammazza! e un fuggire, e un inseguire da mettere i brividi addosso. Di un tratto mi parve che picchiassero a colpi concitati nella porta di casa della vicina, e tanto bastò perchè di un salto io fossi al buco, e vidi.... che vidi? il signor Felice stravolto così che stentai sulle prime a ravvisarlo; figuratevi: era senza cappello, aveva le vesti lacerate, ansava come un mantice, e da più parti grondava sangue.

- . Salvatemi! supplicava, se non volete che questi scellerati tedeschi trovino in via di grazia52 ad avermi a fucilare, o almanco mandarmi allo Spilbergo nel carcere duro a vita.

- Come volete che vi aiuti io? Fra un nodo di tosse ed un altro singhiozzava lo infermo: - nelle prosperità non vi siamo passati pel capo manco per ombra... adesso nel pericolo, - salvatemi! salvatemi! - io non vo' impicci, io. - L'Arciduca ha promesso allogarmi un quadro storico, e non vorrei, che per cagione vostra mi venisse a mancare... l'Arciduca...

La signora Isabella si approfittò del crescente singulto dello infermo per porgergli da bere, e troncare il corso delle sconce parole; poi tratto il giovane in cucina gli disse:

- O come è andata? Che ti successe?

- Isabella, tu sai quanto ami la Patria; se questa avesse quella tua lingua affilata forse mi direbbe, che io l'amo da geometra, da architetto, da direttore di bigattiere, da educatore di bestie e di figliuoli... va bene così? Ma la Patria non ha lingua, e avendola io, confido ch'ella si contenterebbe, che l'amassi come so e come posso, senza tante storie. Fatto sta, che stasera io assieme a parecchi giovani eravamo convenuti qui oltre in una casa per disegnare tra noi circa ai partiti più opportuni per liberarci da questi cani di tedeschi, quando, o perchè ci sia stato il Giuda di mezzo, o per proprio sospetto, i poliziotti l'hanno circondata in guisa da torre ogni speranza di uscita. Vista ogni resistenza inutile ci siamo lasciati pigliare, ma tratti per via, io a poco a poco ho rallentato il passo, e trovatomi solo con due poliziotti al fianco mi sono abbaruffato con loro, ne ho date, ne ho ricevute, ma, come vedi, eccetto qualche ammaccatura, mi è riuscito svignarmela; ora sentendomi la canetteria dei poliziotti dietro, che urlava: agguanta! agguanta! ho temuto, svoltando il canto, di trovarmi preso come dentro una morsa, caso mai mi fossi imbattuto in qualche altra pattuglia: fermatomi a riprendere fiato mi sono visto dinanzi alla tua casa; guardando dentro il portone ho mirato il casotto vuoto della portinaia, onde mi sono infilato su per le scale, ed eccomi qui da te. Quel cosaccio di Roberto mi ha fatto quasi pentire di essermi appigliato a questo spediente, ma tu, cugina, non mi respingerai?

- Così si fossero potuti salvare teco i tuoi compagni, poveri loro!

- Però il signor Felice aveva fatto i conti senza l'oste, dacchè io costituendomi di propria autorità provvidenza di questi due fiduciosi a torto, me ne era ito sul tetto e quivi tenendomi al muro dello abbaino, sporto il capo giù per la via mirai un nugolo di poliziotti brulicanti intorno alla porta della signora Isabella; eranci altresì parecchi giandarmi con le carabine armate di baionette, e farabutti con lampioni e torcie di resina; le baionette e le armi brunite riverberando la fiamma delle torcie mandavano baleni di sangue: questo mi strinse il cuore così, che mi sentii inondare la faccia di sudore freddo, saltai nella stanza, e appressate le labbra al buco risolutamente urlai:

- Presto! alla finestra del pozzo.

- Poi mirai se obbedivano, ma i giovani stavano a mo' di trasognati cercando come e donde così distinta la voce avesse risonato nella cucina, ed io considerando quanto lo indugio pigliasse vizio, da capo urlai per di dentro al buco:

- Presto! alla finestra del pozzo, o siete perduti.

- Allora ci corsero essi, ci corsi anche io, e c'incontrammo nel medesimo punto; la mia finestra distava dalla finestra accanto un paio di braccia e più; quella della signora Isabella non era sormontata dalla squadra di ferro per sostenere la carrucola del pozzo; bensì l'aveva la mia, con la sua brava fune, catena e secchia: io stesso attingeva l'acqua del pozzo, e intanto, che la tirava su, per nobilitare agli occhi miei l'atto, ora ricordava l'esempio di Nausicaa, figlia di Alcinoo, che va a lavare i panni alla fontana, ora che i costumi greci e romani vollero la ginnastica componesse parte distintissima della educazione civile. Ma adesso non corre temperie per queste novelle; urge che io vi dica come spenzolatomi dalla finestra con voce sommessa, pure capace a farmi capire, favellai:

- La polizia ha invaso questa casa, e già fruga i piani di sotto a voi. Signor Felice, non vi rimane altro scampo che questo; vi tirerò in la fune con la secchia; la signora Isabella terrà ferma la fune, intanto ch'ella, signor Felice, salirà sul davanzale della finestra; salito agguanterà la fune quanto potrà più stretto con ambedue le mani, avvertendo di fasciarsele con un fazzoletto per non segarsele; poi metta dentro la secchia il piede destro, e ci si assicuri bene: per ultimo avvisi che si trova solidamente collocato, dicendo: - giù! - Allora la signora Isabella a sua volta annunzi trovarsi in punto di lasciare ire la corda dicendo anch'essa: giù! - ed apra la mano; io reggerò più che posso, perchè non succeda troppo dondolio: ed una volta il signor Felice qui in casa, manco il diavolo lo troverà.

- Dio mio! ma se la fune si rompe, - ma se il ferro cede...

- Sta salda, Isabella; tanto, peggio di cascare in mano ai tedeschi non mi può succedere.

- Non dubitate di niente, la squadra e la fune sono tali da reggere un paio di bovi, non che il signor Felice, ch'è meno d'un bove...

- Grazie, disse il signor Felice, ora verrò ad attestarvi la mia gratitudine in casa vostra, e ridendo mise il piè nella secchia per fare il passo pericoloso.

- Riuscì ogni cosa a pennello; appena entrato in casa mia il signor Felice, volto alla signora Isabella io l'ammonii:

- Ora chiuda, signora mia, la sua finestra per bene, e si metta a ricamare al telaio senza che paia fatto suo. Al signor Roberto raccomandi tacere...

- Ma scusi, interruppe la signora Isabella, avrei il piacere di favellare col diavolo, o con un mago?

- coll'uno, coll'altro, e col tempo le farò toccare con mano che non ho coda, corna: buona notte.

Accostatomi in fretta al signor Felice gli dico:

- Vostra signoria si spoglierà, e alla parola unendo l'atto gli piglio una manica del vestito per levarglielo di dosso.

- O perchè mi ho da spogliare? rispose il giovane tirandosi indietro.

- Perchè bisogna fare così, si lasci salvare; - lo spogliai di tutti i panni, anco della camicia, perchè lacera e insanguinata; se togli le calze e gli stivali, rimase come egli una volta uscì dal grembo della madre sua; io, fatto dei panni fagotto, mi avviai verso la finestra, ma egli corsomi dietro mi afferrò pel braccio ricercando con premura:

- Ed ora dove portate cotesti panni?

- Li butto nel pozzo.

- Fermo per Dio! che ci ho in tasca tra fogli e danari il valsente di 4000 lire.

- Levatene la borsa, e il portafoglio e lasciate servirvi.

- Salii sul davanzale della finestra, staccai la carrucola di ferro, la misi dentro la secchia, con alcuni pezzi di mattone, ci legai d'intorno i panni, e poi sospeso l'involto a perpendicolo dove giudicai avesse a trovarsi la bocca del pozzo, lo piombai giù; - il tonfo, che fece rompendo l'acqua mi chiarì, che io aveva mirato giusto.

- Me ne dolse, e Dio che mi vede il cuore sa se dopo l'angoscia di lasciare lo zio io ne soffrissi altra pari nel mondo, ma così persuadeva il dovere; - -dopo avere fatto fare il tuffo ai panni, apersi l'armario, remossi la cortina doppiamente cara per reverenza religiosa e per amore filiale, e svelai agli occhi di quel più che profano del signor Felice il sacro buco, dove apposte le labbra chiamai:

- Signora Isabella, venga qua - più in qua... più accosto ancora; io prima di tutto pieno di confusione e di rimorso la scongiuro di perdonarmi se le ho fatto, senza ch'ella se ne accorgesse, un buco nel muro...

- Ah! ora capisco...

- Sì signora, ha capito benissimo, ma a suo tempo e luogo le spiegherò come non sia indegno della sua pietà non che del perdono: intanto mi faccia la carità di tappare il buco dalla parte sua.

- E perchè ho io da tappare il buco?

- Veda, signora Isabella, perchè caso mai venissero, come verranno di certo, i poliziotti a frugare fino quassù, non ci mettessero l'occhio... con costoro ogni pelo serve di bandolo a dipanare le matasse, che fanno le funi al boia.

- Ma con che ho io da tappare questo buco?

- Diamine! o che non trova in casa arnese da tappare un buco?

- Aspetti, ecco qui un tegame.

- Un tegame! E tegame vada, esclamai, guardando il cielo con ambe le mani congiunte; ci ficchi sopra un chiodo, poi ci appenda il tegame.

- Ecco fatto pel chiodo; ora il tegame.

E ahimè! il tegame si frappose fra il mio dolce desire e me. O buco! certo io sperava averti un giorno o l'altro a turare - ma però come Figaro spegne la sua lanterna; - io voglio dire quando non ce ne fosse stato più bisogno. O buco! io presagiva ottimamente che ti avrei chiuso un , ma disegnava farlo con un mazzo di penne strappate all'ale dell'amore; ed ora mi tocca vederti tappato da un tegame!... Angioli avvocati miei, abbiate cura di farmi segnare su i libri di ragione del paradiso questa partita di virtù a caratteri maiuscoli.

- Si sa fare la barba? domandai al signor Felice, che buttatosi sul letto sonnecchiava.

- Che ci entra qui la barba?

- Si lasci servire, e risponda: se la sa fare, sì o no?

- Non me la so fare.

- In questo caso gliela farò io; e versata acqua nel bacile, ci sbattei il sapone e a lui, sbigottito e repugnante invano, insaponai la barba. Mentre dava la striscia al rasoio io diceva:

- Possibile, signor Felice, che un giovanotto elegante quale ella dimostra essere, possibile, io dico, che abbia la testa così dura? Potrebbe darsi, che la polizia nel dubbio di avere sbagliato uscio venga a rovistare anco qui, e allora importa moltissimo per lei, ed un poco anco per me, che la signoria vostra non sia riconosciuta.

Allora si lasciò fare, ed io gli buttai giù baffi e capelli conciandolo, che Dio ve lo dica per me. Io giuro tutte le antiche divinità compreso il Dio Ridicolo53, che in ciò non misi una malizia al mondo, ma come lo aveva ridotto era impossibile vederlo e non ridergli in faccia; avrei pagato un Perù a metterlo davanti agli occhi della cugina Isabella in cotesto arnese; e bene mi riprometteva cavarmene la voglia il giorno appresso, ma egli non vi si lasciò prendere come udirete. Sbarbato e rapato lo rimisi a letto; di poi presi i miei vestiti dalle feste, gli sgualcii alquanto perchè paressero portati, e glieli posi sulla seggiola accanto al letto. Per buona sorte la polizia non venne, che forse tutte queste cautele non sarebbero bastate; bensì per quanto fu lunga la notte noi la udimmo tafanare nel casamento allato, nella casa della signora Isabella, e per la strada, ma sul far del giorno tutto tornò alla quiete ordinaria: allora la signora Isabella dato un picchietto nel muro rimosse il tegame dal buco e chiamò; ed io pronto di un salto a udirla, il cugino no, che dormiva peggio di un ghiro; colà ella mi fece sapere che le faccende erano procedute bene, non avendo la polizia preso sospetto di nulla, quantunque fosse ita a rovistare fino dentro al camino, e avesse aperto tutte le finestre per chiarirsi se alcuno poteva svignarsela da cotesta parte: raccomandarmi il cugino, e addio. Qui lo aborrito tegame mi rapiva la vista delle mie contentezze.

Destatosi il signor Felice lo confortai a rimanersene a letto; sarei uscito io a pigliare lingua delle cose, e a tastare il terreno; desse retta a me, non si movesse da giacere e soprattutto, badasse !... non gli saltasse il ticchio di parlare alla cugina, che i casigliani potrebbero pigliare sospetto dello insolito rumore, e contarne novelle come si costuma tra i vicini con molto pericolo mio, della signora Isabella e di lui; e misi in fondo lui per non parere, ma ci calcai su perchè capisse che il primo prossimo è stesso.

- Voi dite giustamente, ed io mi adatterò appuntino alle vostre prescrizioni come fa lo infermo agli ordini del medico; solo vi prego di tornare con qualche cosa da mangiare, e tornare presto, perchè se ma' mai vi avvisaste ricondurvi quaggiù a mani vuote non ve la cavereste con una spalla di meno.

- Buona natura quella del signor Felice, eccellente natura lombarda, generosa, amorosa e soprattutto appetitosa. Non so quanto io restassi fuori di casa, ma quando tornai pieno le tasche e il petto di bene altro che di estri febei per sopperire ai bisogni del signor Felice, il signor Felice era sparito. Fui sul punto di svenirmi, ma molto opportunamente mi ricorse agli occhi un biglietto sopra la tavola: ci stesi la mano ratto, lo apersi e lessi:

"Amico carissimo. Due bisogni del pari potenti, comecchè di natura diversa mi sfrattano di casa sua; il primo tutto corporale ed è la fame; vostra signoria tarda, ed io non mi vo' ridurre davvero a fare la fine del conte Ugolino; l'altro tutto spirituale, ed è la libertà. Chiuso qui dentro, e solo, mi pare proprio di essere già in prigione; ho preso un libro, ma che vuol ella? In ogni T maiuscolo mi ci pare vedere una forca; i puntolini sull'i mi hanno sembianza di palle tedesche; lo Z mi mette i brividi addosso, che arieggia il giudice processante; che più? Il B, perfino l'onesto B con le due pance mi richiama alla mente qualche canonico confortatore il quale mi dica senza ridere, che tra la scala della forca e quella di Giacobbe non ci corre divario alcuno, perchè menano tutte e due in paradiso. Essendomi pertanto provato i suoi vestiti ho veduto che mi stavano a pennello, epperò mi decido a portarglieli via; punto e virgola: non vada però a immaginarmi un seguace della nequissima setta dei Comunisti: e per convincerla di un tratto sappia che io mi trovo venticinque mila lire ben contate di rendita senza fare capitale su le sperabili eredità di uno zio e di un cugino: vero è bene, che il cugino noverando un anno meno di me nutrisce sopra la mia eredità la medesima speranza che io ho sopra la sua. Gli è come un palio fra noi; staremo a vedere chi lo vincerà. La morte tiene in mano la scommessa. In sequela di quanto ho esposto qui sopra, ella troverà qui dentro tanti biglietti per lire cinquecento, che mi paiono bastevoli per ricomperarsi altri panni, e se non arrivano, se la pigli in pace fino a quando ci rivedremo. Dovrei anche ricompensarla dei servizi di barbiere ch'ella mi ha prestato, ma essendomi mirato allo specchio...

- Devo avvertire, che dopo l'avventura del catino, io mi ero provvisto di specchio.

 

"....essendomi mirato nello specchio ho dovuto persuadermi, che questi non si possono pagare eccetto che in due modi; il primo dei quali consisterebbe nello accomodarla per tosatore in capite con qualche proprietario di pecore; il secondo non glielo voglio dire; quando ci rivedremo, potrebbe darsi che glielo facessi provare. In grazia sua mi toccherà a stare sei mesi in casa come si narra costumasse Demostene, ovvero adattarmi a venticinque anni a mettere su parrucca. Siccome io penso svignarmela in Piemonte, così a incominciare da domani vada alla posta, e chieda lettere per Prospero Catoldi, che io le scriverò sotto questo nome. A Isabella che dirò? Dirò quello che vostra signoria giudicherà ch'ella sappia, conciossiacosachè, come diceva padre e maestro Volpacchiotti della compagnia di Gesù, che m'insegnò la rettorica, io non sia di testa così dura, secondo che parve avere la degnazione di credere vostra signoria, da non conoscere, che l'ago calamitato del cuore della mia cugina passo passo si vada accostando al suo polo magnetico. Pazienza. Quand on n'est pas content, il faut être philosophe; ed io sarò contento di saperla in buone mani. Quantunque non ci sia mestieri, io le raccomando questa cara, degna e buona creatura; creda che la è una coppa di oro, ed è più savia che ella stessa per avventura non s'immagina. Certo quel matrimonio con cotesto orso di pittore guasta un po' la perfezione del quadro, ma poichè io le cedo ogni mia ragione sopra la cugina, intendo d'insegnarle un mio segreto col quale io mi consolava tutte le volte che mi angustiava quel pensiero molesto, il quale di per è semplicissimo. Ricorra al lunario. Sì, signore, al lunario, e quivi consideri come i luminari del cielo, donde noi ricaviamo calore e luce, in capo all'anno due o tre volte almanco si ecclissano. Il matrimonio dunque della cugina isabella col pittore Roberto, su in cielo si chiamerebbe ecclissi del sole o della luna; in terra ella lo dica una frittata di donna innamorata, e si consoli. Spero in Dio, che ci rivedremo nella patria liberata dallo aborrito tedesco: ad ogni modo in qualunque luogo, in qualunque tempo amico per la vita. - Felice."

Senza stare a inquisire sottilmente se avessi o non guadagnato nella partenza del signor Felice, e così all'ingrosso ammonito, che il vantaggio superava lo scapito, io mi appressai ai buco per darne avviso alla signora Isabella, che, pronta alla chiamata, rimosso il tegame ansiosamente domandò:

- Che ci è egli di nuovo?

- E' ci è che il signor Felice non si trova più...

- O Dio! O Dio! esclamò la signora Isabella recandosi le mani al petto quasi si sentisse ferita nel cuore, e per tema di cascare si appoggiò al muro.

Io allora provai un ghiaccio sopra la fronte come se ci avesse strisciato una tarantola, e subito dopo mi si empì il capo di tanta malignità, da disgradarne quattro giornalisti moderati, esclusa la Perseveranza, ch'è la colomba del mestiere.

Si narra come il cardinale di Richelieu costumasse dire, che se gli mettevano in mano quattro dita di scrittura del primo galantuomo del mondo, egli era tomo da farlo sdrucciolare in galera; e cotesto parve iattanza ai suoi tempi; ai nostri non ci ha chiericuzzo che non si reputi, e non sia veramente capace di farne altrettanto, se non peggio; però che lo interesse soffiando i suoi consigli nell'orecchio all'uomo ne contamini in un attimo tutto il suo sangue: di questo ebbi prova dentro me stesso; cui con la smania di calunniare vennero addosso di un tratto l'ingegno e il modo della calunnia; onde attenuata la voce dissi:

- O la non si turbi, cara signora Isabella: qui non ci ha cosa della quale ella si abbia a sbigottire; il signor Felice se n'è andato perchè non ha potuto più reggere alle mosse per via della fame, come qualmente si ricava dalla lettera, che ha lasciato sul tavolino.

- Oh! che sia benedetto! la me la porga questa lettera; vengo a pigliarla alla finestra del pozzo.

Ora essendo questo ciò che appunto mi tornava meno, non mi parve strano di aggiungere un po' di bugia alla calunnia, considerando che le bugie sono come bicchierini di acquavite ministrati alla calunnia, affinchè duri di buona lena al lavoro; però subito pronto risposi:

- Me ne rincresce proprio, perchè ho sempre veduto come la più parte dei malanni, che capitano addosso ai liberali, derivino dalla grulleria di tenere ricordi, o conservare i fogli: per me, uso così, leggo prima due volte o tre la lettera per bene, tanto che nella memoria mi si registra meglio che il bulino non incide sopra l'acciaio, poi accendo un fiammifero, e le do fuoco, la perdo di occhio, finchè io non l'abbia veduta ridotta in cenere...

- Questo si chiama operare da giovane prudente, e me ne rallegro con lei.

Prudente! pensai io; questa è la prima volta che me lo sento dire; quasi stava per voltarmi a vedere se dietro alle spalle ci fosse persona cui potesse applicarsi cotesta lode più dirittamente che a me, ma trovandomi solo non ci cascava equivoco: andava proprio a me; e mi ricordo avere pensato non senza amarezza un'altra cosa, che fu questa: mira! da molte buone parole che ho detto, e da qualche buona opera che ho fatto me n'è venuto per consueto ingiuria o danno, mentre adesso che m'inoltro nel mare del furfante, ogni vento comincia a gonfiarmi le vele.

- Alla svolta si provano i barberi: mala via non può fare a meno che porti a cattiva osteria.

- Tu parli di oro, Betta; ma persuaditi, che più spesso, che tu possa immaginare, non va così: tanto vero, che gli uomini religiosi, trovando in fondo della vita molti conti sbilanciare maledettamente, hanno insegnato a credere, che nell'altro mondo gli angeli o i demoni si pigliano la scesa di capo di aggiustarli con tanto inferno, o tanto paradiso di giunta, e così credo anch'io.

- Giusto come io le diceva, continuai a favellare con la signora Isabella, il signor Felice ha scritto, che se ne andava, prima perchè non ha potuto sostenere lo stimolo della farne, e poi perchè in questa casa ci si sentiva affogare, e a parere mio ha avuto torto marcio nell'una cosa come nell'altra; nella prima, dacchè io gli aveva promesso di recargli da ristorarsi, e l'ho fatto in copia da bastare a tre pranzi di Polifemo; onde, se non temessi di acquistarmi taccia di severo, vorrei osservare, che in giovane bennato non sapere resistere manco due ore a questi grossolani appetiti è un gran mancamento; almanco mi pare... perchè io non vorrei per cosa al mondo pregiudicare la fama di quel caro giovane: nella seconda, più presso al paradiso come in questa casa, o dove mai si vuole egli trovare il sor Felice?

- Non si può negare, noi ci troviamo molto presso al paradiso, ma non fa comodo a tutti salire quattordici scale per godere di siffatto benefizio.

- Ah! non è a cagione della linea perpendicolare, cara signora Isabella, che io mi reputo vicino alle beate sedi, bensì orizzontalmente.

Questa fu la prima parola colorita di amore, che udì dal mio labbro la signora Isabella e me ne increbbe, perchè non si poteva coniare di peggiore gusto: non se ne sarebbe giovato l'Achillini: ella però come prudentissima la lasciò cascare fingendo di non accorgersene; io per calafatare lo sdrucio, aggiunsi:

- E badi ad un'altra cosa, signora Isabella; il signor Felice si è vestito dei miei meglio panni, e mi ha lasciato cinquecento lire perchè me gli faccia nuovi...

- Oh! questo poi non è gentile davvero.

Se lo Amore si facesse radere la barba, e se fosse ito a farsela radere dalla signora Isabella, io credo, che quel non è gentile se lo sarebbe sentito penetrare dentro la pelle sottile e freddo quanto il filo di un rasoio di rota.

Per allora, ella chiuse il ragionamento pregandomi a volerla chiamare con tre picchietti nella parete quante volte avessi notizie a parteciparle del cugino, ch'ella si sarebbe affacciata alla finestra del pozzo per ascoltarle. Frattanto reputare onesto che il buco...

Io visto appena il baleno per aria, che minacciava il povero buco... di scomparire dalla natura delle cose, accorsi sollecito alla parata, ed osservai con molta gravità:

- Non credere... non parermi prudente... e sperare, che dopo matura considerazione dovesse parere anco a lei... la chiusura del buco, imperciocchè qualcheduno avrebbe potuto acchiappare per aria le parole dette alla finestra con molto danno del cugino, e suo: ad ogni modo se non ci avessero uditi, ci avrebbero visti, ed ella che giudiziosissima, ed accortissima (voleva mettere un altro sdrucciolo, ma temei sfondare il foglio) era, doveva conoscere le ciarle infinite delle casigliane alle quali basta ogni po' di gomitolo per dipanarci sopra una matassa infinita di maldicenza.

La signora stette alquanto sopra di , poi rispose:

- Lasciamo stare dunque il buco; per tapparlo saremo sempre in tempo.

- Giusto! Così diceva anch'io - e ricevuta, e resagli la buona sera ci separammo.

Io chiuso l'armario ebbi a felicitarmi; dirò meglio: ebbi a spaventarmi di avere scoperto ad un tratto in me questo tesoro di arti diplomatiche; pensai farmi annunziare su pei diarii ai Potentati del mondo, che abbisognassero di primi ministri: mi volli bene, mi onorai, e rammento, che mi presi la soddisfazione di baciarmi, la quale cosa feci accostando le labbra allo specchio: dopo ciò mi assettai disponendo i cibi davanti a me sul tavolino, e poichè allegria mangia per quattro, bevvi per otto: ricordo, che quando mi prese voglia di coricarmi, la candela unica mi sembrò moltiplicata fino a sette, quanti sono i sacramenti ed i peccati mortali, e sebbene mi affaticassi a spegnerle più si ostinavano a rimanere accese; per ultimo feci buio, e andato a letto cotesta notte, mi sognai trovarmi nel congresso di Vienna a tu per tu col principe di Metternich, a cui dopo avere detto una carta d'ingiurie lanciai un calamaio nel capo, e glielo ruppi dicendo: to' questa, che me l'ha insegnata un tedesco, - alludendo senz'altro a Lutero, il quale per quanto si racconta trattò il diavolo nella medesima maniera: alla mattina trovai che in sogno aveva scaraventato l'orinale nella parete di faccia, e i pezzi ingombravano il pavimento.

Le notizie del cugino non si fecero aspettare; le trasmisi a seconda del concertato per traverso al buco, che rimase aperto caso mai ne venissero altre: e vennero; però via via più rare; finalmente cessarono affatto; non per questo turammo il buco, anzi a furia di vagheggiarlo mi parve, che dal lato destro il contorno non rotondasse bene; e per quel giorno dopo che lo ebbi accomodato a modo mio mi piacque; il giorno di poi, guardandolo anco più attentamente vidi, che sgarbava a mancina, e lo posi in sesto; anche così andava a dovere; presi il compasso per disegnarlo senza errore; ma trovandomi imbarazzato a puntarne un'asta nel centro ch'era vuoto, ci posi su per traverso una sbarretta, la quale naturalmente soprammetteva e non poco agli orli del buco; epperò riuscì disegnato un po' più grande del primo; capiva benissimo che condurlo a cotesta larghezza tutto in un giorno non era aria; ma a poco per volta ci pervenni, parve se ne accorgesse la signora Isabella, e di certo non dev'essersene accorta, tanto la cosa venne naturale. Verso le feste di Natale mi prese il grippe con dolore di capo, e febbre da cavalli; la povera signora Isabella era sgomenta; chi potesse mandare a curarmi non aveva; quanto a lei, oltrechè in ogni caso la decenza l'avrebbe trattenuta da visitare un giovanotto, non si trovava libera di movere un passo dal letto del marito, che precipitando al suo fine diventava ogni momento più risicoso. Teresa, vecchia, se non erano le ale degli angioli, le sue gambe davvero non potevano portarla su per quattordici scale. Allora, e mira intelletto di carità che hanno le donne! ella stessa senza badare ad altro allargò il buco tanto che divenne buca traverso la quale potesse passare una tazza; ancora mi ammonì, che toccandomi a scendere da letto per condurmi a pigliare la tisana, era più lo scapito del guadagno, e questo era vero; però volle mi ingegnassi trasportarlo rasente alla parete dov'era il buco, e per lo appunto sotto di quello, affinchè stendendo il braccio senza altro incomodo potessi pigliare la tazza, ch'ella mi avrebbe offerto; così la signora Isabella in mezzo a due infermi vegliava alla cura di entrambi, e al tempo stesso alacre e animosa attendeva ai ricami. Un gentile l'avrebbe rassomigliata a Igea; a me cristiano apparve quasi la madonna del popolo in compagnia degli Angioli della Carità e del Lavoro.

E qui fo punto, perchè a cagione del tanto favellare sono fatto roco: ella consideri, mio caro zio, che se io non mi sono mostrato pari a Gargantua il quale uscito mala pena dal materno alvo chiese da bere, pure sono uomo anch'io e mi pare, che senza bere non potrei tirare innanzi, o male.

Orazio senza rispondergli si risovvenne del thè, e fece per recarselo alla bocca, ma lo trovò freddo, onde prese a dire:

 

O sia, che tu ti parta, o che ritorni,

Sempre ti provo avverso al sericano

Del cor letizia thè.

 

- Per attendere alle tue fandonie ecco, ch'è diventato diaccio, però, Betta, in cortesia vogli andare a scaldarlo da capo.

 

 

 




52 Fraseologia di S. E. il maresciallo Radeztky, mal'anima sua.



53 La immagine del Dio Ridicolo fra i bronzi di Ercolano vediamo ridotta in forma di lucerna, ed è un cono con mezza testa sopra e mezze gambe sotto, e il becco del lucignolo a mo' di bracciolo gli sporge fuori dalla metà del corpo.






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