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Francesco Domenico Guerrazzi
Racconti e scritti minori

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VII

 

Il quale a senso dello autore è bellissimo, e spera, che lo giudicheranno tale tutti quelli che lo dorranno leggere.

 

Come lo scafo, mosso su lo scalo per essere varato, da argomento umano non potrebbe essere trattenuto nell'impeto precipitoso, così Marcello non attese il ritorno di Betta per continuare il racconto. Il novelliere in molte, in quasi tutte le cose, rassomiglia alla cicala; ad ambedue piacciono gli albori mattutini, le fresche rugiade, e il primo raggio dorato del sole; ad ambedue talentano le fronde degli alberi, il meriggio splendido, l'aere aperto e sereno; entrambi, quegli da mane a sera, racconta, questa strilla; se il cielo si turba, l'uno e l'altra tacciono; se la cicala scoppia, e l'altro muore, almeno in Italia all'ospedale, se pure non lo mandano professore di rettorica in Savoia o in Sardegna, che torna ad un circa lo stesso; in una cosa sola differiscono, ed è che la cicala annoia sempre, e il novelliere qualche volta no. Marcello veramente non era narratore di professione, ma tocca appena con le labbra la coppa incantata aveva sentito l'ebbrezza brulicargli per le vene, ond'ei continuava e diceva:

 

- Siamo ad un'altra soprabbellissima veduta... attenti... attenti... signori... domando scusa, dopo la partenza di Betta non posso più adoperare il numero plurale... attento dunque, signor zio... e ora che storie sono elleno quelle di aggrinzare il naso? Non crede, ch'io sia per presentarle una soprabbellissima veduta? Sì?... ci crede? O dunque, che mai le arreca fastidio? Per avventura la parola soprabbellissima? Ma o non ha letto il vocabolario di parole e modi errati del signore Filippo Ugolini il quale ha la carità d'insegnarci, che ai grandi ingegni non disdice di due parole formarne una? e non le paia piccolo privilegio; per la quale cosa, io nella fiducia di trovarmi un battezzato per ingegno grande, mi approfitto intanto della patente, e poi considero che a questi lumi di luna per significare una cosa un po' mezzana, un povero diavolo si trova tirato pei capelli a inventare vocaboli nuovi; tanto logoro hanno fatto gli uomini piccini dei superlativi per onorarsi fra loro. Invero taluno di loro esce fuori di casa salito su i trampoli, e i compari levano le mani al cielo sclamando: ecco il gigante! - O ti additano a sera un'ombra lunga lunga, che copre una piazza, e dicono: vedi , che razza di omaccioni nascono nei nostri paesi! - Malcreati! Appaltoni! Su i trampoli montano i giullari per tenere allegre le brigate, non già per maravigliarle; le ombre dei pigmei diventano ciclopiche quando la luce tramonta. Ma tanto è: la gaglioffaggine ha messo su compagnia di mutua ammirazione, ed ha speranza, che il carnevale continui per omnia sæcula sæculorum: amen.

- Dunque siamo ad un'altra soprabbellissima veduta. Io dormiva...

- Cosa, che stava per accadere a me - se continuavi con quel suono.

- Io dormiva, e sognavo un angiolo...

- Ma, nipote mio, tu mi fai da un pezzo in qua tal consumo di angioli da rincararli sul mercato dei cieli venti centesimi la dozzina...

- Io mi figuro, signore zio, che durante la sua vita, massime in gioventù, le sarà occorso di ricevere un pugno negli occhi. Si rammenta in cotesta occasione le migliaia di stelle, che le parve vedere per un pezzo, comecchè il sole splendesse luminoso a mezzodì? Or bene, dopo il mio innamoramento a me sembrava vedere comparire angioli da per tutto; e tutta la gente mirava dopo le spalle, nella supposizione che ci avesse l'ale come altra volta ci teneva la coda. Dunque sognava un angiolo, e a chi rassomigliasse la sua bella faccia non importa dire; l'angiolo aperta una finestra del paradiso con voce e con cenni mi confortava, rotti gl'indugi, a salire, lo turbato gli rispondeva: - signore, come vuol ella che io voli, se mi mancano le ali? - Ed egli a me: - di poca fede; credi, e l'amore ti farà crescere le ali...

Qui mi venne rotto il sonno nella testa dal picchiare frequente e ognora più strepitoso della vicina nelle pareti. O cieli! o terra! non ci era da prendere equivoco; coteste erano chiamate a fuoco quando arde lo incendio dello amore. Corsi così, che credei mi fossero spuntate le ale davvero...

E questo è certo, che l'amore della donna altrui, se non fa nascere l'ale all'amante, qualche cosa fa nascere al marito...

- Aspetti a dire... e quasi tratto fuori di me mi accostai al buco, dal quale aperto mi vennero buttate in faccia queste parole:

- Signore, per amore di vostra madre venite a soccorrermi; mio marito si muore, ed io sola non lo posso assistere.

- Signora, volo, - risposi io pensando sempre al sogno, e al come l'amore faccia spuntare l'ale; però non volai, anzi tardai più del solito, come succede, ora non trovando più le calze, ora infilandomi i calzoni alla rovescia; lo indugio mi nocque, perchè in proporzione che io vestiva il corpo, l'anima si spogliava dei turpi desiri, onde rimasero a un punto quello compiutamente coperto, e questa compiutamente ignuda. In effetto quando, non so nemmeno io, e per moto tutto macchinale, mi mirai allo specchio, e levai la mano per aggiustarmi i capelli, la coscienza mi brontolò dentro: - pezzo di furfante, se ti bastasse il cuore di ricompensarti giusta i tuoi meriti tu invece di accarezzarti la chioma avresti a darti tre o quattro schiaffi su cotesto muso svergognato per brutti pensieri, che hai fatto su cotesta santa donna. Signore zio, avviso ai lettori...

- M'introdussi per la porta della cucina, e la signora Isabella trovai pallidissima, non però sgomenta; per man mi prese, e disse: aspettate tanto, che con qualche pretesto vi metta dentro, perchè l'infermo piglia sospetto di ogni cosa.

- Entrata in camera del moribondo questi con voce appannata rimproverava:

- Tu mi contrasti in tutto: io voglio uscire, io vo' andare domenica co' miei amici in campagna... ti aveva ordinato mi chiamassi il sarto... con le vesti di un anno fa sembrerò uno dei sette dormienti...

- Non ti affaticare il petto, Roberto, non ti arrapinare... il sarto è arrivato... aspetta di in cucina.

- Ma non fa notte ora?

- Fa... ma si avvicina l'alba... e il giovane è garzone, però venne per tempo a fine di non iscioperare; entrate.

Nel breve tempo, che rimasi in cucina mi percosse la vista di certe cose, che non mi aspettava davvero trovarci, ed erano pane fresco, e formaggio e prosciutto, e simili altri mangiari non senza parecchie bocce di vino.

Con tanta parte della mia curiosità nel sangue lascio considerare a lei, signore zio, se mi sentissi struggere, e se non fosse stato l'aspetto pauroso del moribondo io mi sarei avventurato a interrogarne ipso facto la signora Isabella. Costui, appena mi ebbe scorto, prese fra i singulti a favellare di amici, di vesti, di fogge nuove, di scampagnate, alle quali cose tutte risposi a modo suo confortandolo il meglio che sapeva: poi uscendo feci cenno alla signora che mi seguitasse in cucina, e a lei venuta dissi:

- Ha ella pensato al prete?

- O Dio! non ci ho pensato, e qualora ci avessi pensato come avrei fatto ad avvisarlo?

- Cotesto povero uomo se passa tre ore, alle quattro non ci arriva; ci andrò io...

- Sola col mio marito che muore... ho paura,

- Non si stia a confondere, cara signora, io sveglierò Teresa, e m'ingegnerò farla salire fino quassù.

E come dissi feci; così facile non mi riuscì col parroco, però ch'egli dicesse la messa del mattino, e prima di averla celebrata non volle venire; dopo messa e' si fermò a confortarsi lo stomaco, dacchè egli sostenne, che diceva messa all'alba appunto per questo, avendo osservato, che senza pericolo d'indigestione non poteva rimanersi più di sei ore senza mangiare; ed aggiungeva contrito, capire benissimo cotesta essere infermità, e per fermo castigo di Dio, ma come rimediarci altrimenti che sopportarlo in pace mangiando a mezzanotte, alle sei di mattina, a mezzogiorno, e alle sei della sera? intanto toglieva seco la eucaristia, l'olio santo, e gli altri arnesi, e accompagnato dal campanaio veniva via.

- Se va in paradiso, come gli auguro, osservò il parroco fermandosi a piè della tredicesima scala tutto in acqua, non avrà a fare di molto cammino - poi asciugatosi il sudore e ripreso fiato tornò a salire.

Ora con mia somma meraviglia e dolore, mano a mano ch'io mi accostava al quartiere della signora Isabella udiva sghignazzare, e clamori che indegni sempre, adesso poi mi parevano scellerati. Quale io mi rimanessi pensatelo voi quando sospinto l'uscio della cucina mi vidi comparire davanti due uomini di faccia, e più di maniere, volgari, che assettati mangiavano e bevevano schiamazzando. La signora Isabella non era ; il prete si mordeva le labbra; io trasecolava; impiccio più grande io non provai al mondo. Pregai il prete per amore di Dio a pigliarsela in pace come il castigo di avere a mangiare ogni sei ore; pregai quei furfanti in nome del diavolo a divorare cheti, e promisi sarei tornato indi a un attimo con la chiave di tutti questi intrighi.

La signora Isabella piangendo mi confessò di tutto cotesto disordine colpa il marito, il quale fittosi in capo di essere ormai sano aveva voluto ad ogni patto si invitassero a colezione certi suoi amici vecchi, ch'egli non aveva più visto dacchè si era messo a letto, ed ella per non inacerbirlo averlo contentato: supporre, anzi credere fermamente, che, già poco di buono prima, in questo intervallo di tempo cotesti uomini fossero diventati pessimi; a mani giunte pregarmi la liberassi da loro.

Tornato in cucina, eccotene una nuova di zecca: il parroco, il campanaio avevano stretto co' due compagnoni una maniera di tregua di Dio; anzi a tavola questi avevano ravvisato il parroco per amico loro e maestro, appunto come secondo il vangelo di San Luca i due apostoli che andavano ad Emmaus riconobbero Gesù Cristo alloraquando ei si mise a tavola con loro, e tagliò il pane.54

Sovvenendomi in buon punto, che tra l'osso e il dente del cane non bisogna ficcare la mano, attesi che avessero finito, il che avvenne tosto, non potendo i cibi comprati durare un pezzo al vecchio assalto ed al nuovo: allora voltomi ai compagni di Roberto dissi loro lui dolentissimo per non avergli accolti come meritavano; colpa la malattia, che gli si era cacciata addosso; per mio mezzo salutarli e ringraziarli; sperare essersi ristabilito in salute alla più lunga domenica: gli tornerebbe grato rivederli quel alla osteria del Satiro, dove intendeva pagare il risotto per tutti.

Cotesti due ghiottoni fecero un po' di premura di vedere Roberto tanto per non parere, e acceso chi pipa, chi zigaro con mille grazie e saluti se ne andarono. Rimanevano il parroco e il campanaio; il primo appiccata la sacca contenente la materia di due sacramenti al medesimo chiodo donde pendeva un mazzo di cipolle, trasportando ai pasti terreni la pratica adoperata da ogni buon sacerdote nei celesti, stava intento a rifinire ogni minuzzolo di cibo e di bevanda che rinveniva sopra la mensa: il campanaio per amore di imitazione seguitava lo esempio; per la qual cosa dopo cinque minuti di cotesto lavoro un topo si sarebbe sgomentato a trovare una briciola sola sopra e sotto la tavola. Il parroco buttando giù il bicchiere disse:

- Or bene, quando incominciamo noi, che si fa tardi e le mie penitenti mi aspettano al confessionale?

Risposi avesse pazienza tanto che andassi per disporre lo infermo a riceverlo.

- Andate, e fate presto, soggiunse il parroco.

Di concerto con la signora Isabella allora dissi al moribondo come il parroco essendosi recato a visitare certa inferma nel casamento, udito che anch'egli giacesse in letto era salito per salutarlo, e desiderare vederlo.

Il moribondo si arruffò tutto, e con impeto di cui non lo avremmo reputato capace disse risoluto non volere preti d'intorno, non sapere che farsi di loro, caso mai il parroco si attentasse ficcare il muso nella sua stanza ei gli avrebbe scaraventato quanto stava sopra la tavola da notte. Come Argante egli moriva qual visse; bestia fu, bestia rimase: e siccome era ormai troppo tardi a convertirlo, mi strinsi nelle spalle, e tornai al parroco dandogli ad intendere che l'infermo caduto in sincope non poteva in cotesto punto ascoltarlo; e il prete di rimando:

- Anzi questo è momento opportunissimo, imperciocchè appena egli torni in , la salutare minaccia delle pene dello inferno farà miglior breccia, sbigottito com'ei ha da trovarsi, ed incapace ad opporre i pensieri della carne.

Risposi non essere mestieri di simili argomenti collo infermo, che in vita si era mostrato ossequentissimo sempre ai precetti della Chiesa, ed ora avere chiesto i sacramenti da .

Parve dubitarne il parroco, pure si acchetò; insomma tanto, ora con questo, ora con quel pretesto, lo tenni sopra corda, o mi parve tenercelo, che il malato passò senza che vedesse il prete. Del suo transito mi accorsi per cagione di uno strido breve e sommesso, che mandò la giovane donna; ed in vero rientrato nella stanza trovai il marito morto, e la moglie con la faccia abbandonata sopra le coperte a piè del letto. Invocato allora lo spirito di Sant'Ignazio, che mi desse valore d'imitare il collo torto di San Luigi Gonzaga, mi feci allato al parroco, e bisbigliai: consumatum est.

- Che cosa è consumato? - domandò il parroco.

- Lo infermo se ne andò con Dio.

- Col diavolo, volete dire, col diavolo, mugghiava il parroco insatanassato; io capisco ottimamente i vostri raggiri, non sono mica un baggiano, sapete! Mostrarvi empi alla scoperta non vi attentate, che da una parte vi spaventa la pubblica riprovazione, e dall'altra vi mette paura la polizia, perchè ormai è chiarito che quale si mostra cattivo cattolico troviamo a un punto pessimo suddito, e viceversa; e se non temete lo inferno, non vi garba lo Spielberg. Però co' vostri garbugli mettete di mezzo uno specchiato ecclesiastico che serva di mantello alle vostre abbominazioni, e mentre sembra di fuori che serviate Dio, possiate senza un pericolo al mondo servire a Mammona. Ora io vi dico che questo non sarà, e cavatevi dal capo di potere scarrucolare un par mio; sappiate che il vostro morto non sarà sepolto in sagrato, e lo porteremo via senza lume, e senza croce come un animalaccio quale ei si fu; sappiate che io bandirò dal pulpito lui morto senza sacramenti un po' per colpa sua e molto più per colpa vostra, e quindi tutti incorsi nella scomunica fulminata dai sacri canoni contro gli eretici relapsi, e condannati senza rimedio alle pene eterne dello inferno.

- Amen! - risposi io senza scompormi, - tanti risparmiati.

- Come tanti risparmiati?

- Ma sicuro! dacchè persona caritatevole aveva messo da parte con molto stento non so che danari per suffragare l'anima del morto; ma ora che lo sento perduto senza rimedio la consigliere a tenerseli.

- E voi fareste male...

- Perchè? Tanto per salvarlo sarebbe tempo perso.

- No davvero, e se adduco ragioni ineluttabili, statemi attento, figliuolo dilettissimo, che ciò non fie senza profitto della vostra coscienza. In primis et ante omnia nonostante le censure ecclesiastiche può darsi, che il defunto innanzi di morire con atto di profondissima attrizione, sia salvo, senza l'opera dei sacramenti; in secondo luogo chi può chiudere può eziandio aprire, e questa verità viene espressa con le due chiavi di san Pietro; re vera, a quale uopo due chiavi, se la Chiesa non avesse dovuto adoperarle con due serrature diverse, e a fini contrarii? E la è chiara; una chiave chiude la toppa dello inferno, l'altra apre quella del paradiso; per ultimo voi dovete credere, ed abbiatelo per sicuro, che la elemosina equivale ad un battesimo perpetuo, e se non temessi di avventurarmi troppo direi che la elemosina supera in virtù il battesimo: imperciocchè questo lava una volta sola, e non si può rinnovare, mentre per lo contrario la elemosina, quasi lavandaia di carità, vi viene ogni sabato a casa, e più spesso se volete, a pigliarvi l'anima sudicia, e riportarvela netta di bucato; anzi, mirate efficacia delia elemosina! questa pulisce non pure l'anima, bensì anche il corpo, e chi fa elemosina, per sentenza di San Cipriano55 può stare senza lavarsi le mani, che tanto gli si manterranno più bianche del latte. Perciocchè cotesto gran santo ammaestra, "come essendo tassati i discepoli, che mangiassero senza lavarsi le mani, Cristo rispose dicendo: colui che ha fatto quel ch'è di dentro ha fatto medesimamente quello ch'è di fuori. Ma fate delle elemosine, e con questo vi laverete ogni cosa". Dunque elemosine, dilettissimo, sempre elemosine, ed abbondanti elemosine, e voi laverete ogni cosa.

- Voi parlate da quel dotto uomo che siete, e nondimeno il dubbio, che per l'anima una volta dannata cotesti sieno tutti pannicelli caldi, mi resta sempre per la gola.

- La intercessione dei santi ebbe virtù di cavare i dannati fuori dello inferno...

- Oh!

- Si legge, e con argomenti credibili si trova confermato, come San Gregorio magno, mercè le sue preghiere, cavasse dallo inferno l'imperatore Traiano dopo cinquecento anni, ch'ei ci stava dentro ad arrostire.

- Tanto è, che l'uomo senza fede possa salvarsi non mi quadra.

- Questo avviene perchè non avete fede, ed io mosso da pura carità vi vo' chiarire con quattro battute. La fede è dono di Dio: dono, capitemi bene, virtù gratis data che per opere non si acquista, con doni non si merca...

- Oh! guarda, ed io avrei creduto, che chi meglio opera più venisse ricompensato.

- E voi avreste creduto male, ma vi compatisco, perchè siete un ignorante.

- Mea culpa, risposi battendomi il petto.

- Le faccende di lassù, caro mio, non si governano al medesimo modo di quelle del mondo; Dio manda la fede a cui meglio gli pare e piace; le anime, figuratevi voi, sono come un branco di cacciatori tutti del pari lesti in gamba, e del pari valenti al tiro, i quali movono sparsamente per la medesima selva; e questi chiapperà una lepre o un daino, quegli non sentirà anco cantare uno sgricciolo.

- Dunque, se così è, l'uomo per possedere la fede non ha maggior merito, che ad avere sortito dalla natura il naso grosso?

- Circum circa si può dire, ch'ei sia in questa maniera. Però non mostrerebbe a mio parere buon gusto Domeneddio se si dilettasse mandare alle pene eterne una povera creatura, la quale potesse dire: - ho chiamato, e non mi avete risposto; ho picchiato, e non avete aperto; ho cercato, e non vi siete lasciato trovare.

- Così la intendo ancora io, e giudicando appunto, che Dio non farebbe opera di giustizia a tracollare quel meschino nello inferno per mancanza di fede, risparmieremo i quattrini, e lasceremo la cosa bollire nella sua acqua come gli spinaci.

- Voi pigliate un granchio, e grossissimo, fratello mio, perchè tutti i miei ragionamenti non valgono un fico se l'uomo non si è ingegnato smovere la bontà divina con la preghiera, i digiuni, e la elemosina, e non può provare, che il difetto di fede in esso non deriva dalla colpa propria, bensì per ostinazione altrui. Quello che vi ho detto è simile ad un cappone messo in pentola col suo bravo sale e sedano e prezzemolo, il quale non cocerà in eterno se non gli si accenda il fuoco dintorno per farlo bollire, e questo è chiaro. Senza elemosina i miei argomenti rimarranno perpetuamente crudi. E poi lasciamo il morto, ditemi un po' voi chi salverà i vivi dallo scandalo? Chi dal diventare segno di esecrazione dei fedeli? Chi dall'essere presi in sospetto dalla polizia? Chi dalle visite notturne del giandarme? Chi da un viaggetto in Moravia nella bella stagione di decembre? Chi....?

- Questo confesso, che gli è un altro paio di maniche, e mi do per chiarito. Torniamo al funerale, e vediamo un po' a quanto batterebbe la spesa.

- Oh! lo vedete che aveva proprio ragione io quando vi diceva che vi avrei chiarito: ecco qui, per la messa solenne quattordici lire... gli è come pigliare un pane al forno... s'intende non musicata, bensì con accompagnatura di organo... catafalco lire venti... trentaquattro... consumo di sei ceri intorno, e sei all'altare con più sei candele... diciotto... e non si può fare a meno... trentaquattro e diciotto cinquantadue, logoro di tappeto, quattro, cinquantasei... cassa otto che fanno sessantaquattro... pittura di croce una, e sessantacinque... campanaio per sonare l'agonia...

- Ma questa spesa si può risparmiare dacchè egli è morto.

- Bella ragione! L'agonia bisogna sonarla, perchè va sonata, e poi se la gente non la sentisse sonare sospetterebbe, ch'ei fosse passato senza sacramenti, ed è per lo appunto questo, che più preme evitare. E devo pensare propriamente a tutto io?

- Certo.

- E allora si ha da mettere cinque lire al barbiere per fargli la barba.

- Ohimè! lasciamo stare cotesto che la morte in breve disfarà muscoli e nervi non che la barba e capelli - e aggiungete, ch'egli in vita sua non costumò mai radersi la barba.

- Tanto peggio; tanto peggio; oh! che volete, che si presenti all'altro mondo coi segni della irreligione e del disordine? - Oh! che vengo dalla China io per non sapere, che i peli sono rivoluzionarii?

- Vada per la barba, ma cinque lire!... mi canzonate? - Mentre in vita per cinque lire ne fanno venti delle barbe ai poveri diavoli come fu il defunto.

- Voi parlareste come un libro stampato, ma quando siamo morti diventiamo tutti uguali...

- Già... appunto per questo; nudi uscimmo dal seno materno, e nudi dobbiamo tornare alla terra... uguali nella miseria.

- Alla rovescia, dilettissimo mio, alla rovescia, tutti ricchi, imperciocchè prossimi ad essere locupletati della grazia di Dio. Dunque sonata di agonia due; barba cinque; in tutto settantadue. Per gl'incappati moccoli libbre quattro, a lire due per libbra otto lire, settantadue e otto ottanta, lampioni quattro, ottantaquattro; logoro di tappeto da capo quattro, ottantotto, nolo di crocifisso di argento, due, novanta, nolo, di due preti due lire l'uno, e non è caro, novantaquattro, al curato dieci, centoquattro... mi pare, che non ci sia altro. No, aspettate, lo sterro, lire sei, centodieci. Guà! dimenticava il meglio, ai portatori della bara lire otto, in tutto centodiciotto... e se casca un kreutzer a monte ogni cosa. Poi se volete dare qualche cosa a Perpetua serva della canonica sarà vostra carità.56

- Io tolsi allora il lume, e lo volsi attorno illuminando la cucina priva degli arnesi più necessari, e poi gli dissi:

- Prete dabbene, vi par egli questo luogo abitato da gente, che abbia facoltà di spendere centodiciotto lire per un morto, senza contare la mancia a Perpetua?

- Caschi un quattrino a monte ogni cosa...

- Ma considerate la miseria di questa povera vedova...

- Ma considerate il grandissimo ribasso che ho fatto; non mai le cose sante calarono a così vil prezzo, talchè me ne piglia ira, vergogna, rimorso, e...

- Caro mio, non bisogna contare negozio per negozio, bensì istituire il calcolo buona annata, mal'annata.

- Magari si potesse fare! ma la crittogama è entrata anco nella vigna del Signore, e di che tinta!

- E voi usate la paura della polizia tedesca a guisa di zolfo eh? Me ne rincresce proprio; vedo che bisognerà raccomandarci alla Misericordia perchè lo porti via per carità.

- Non ci pensate anco; lo leveranno di casa sua su una scala, come quello che morì impenitente e fuori del grembo della santa Madre Chiesa; e alla vedova e a voi ne verrà infamia e danno.

- Quanto alla vedova me ne rincresce, per me me ne impipo.

- Non siete voi parente? non siete amico di casa?

- parente amico; la prima volta è questa che io metto il piede qua dentro; dei vostri buoni offici presso la polizia mi curo anco meno, perchè come fa giorno con la strada ferrata me ne torno a casa mia in Piemonte.

- Malannaggio al Piemonte e a chi ci è dentro! Ci sta vicino come la corda al collo del condannato; se lo potessimo spingere mille miglia lontano da noi non sarebbe perduto nulla, o presto ricuperato...

- Reverendo, buona notte, o piuttosto buon giorno: se avete commissioni per Torino fate capitale di me; perdonate se vi lascio in asso, perchè non vorrei mancare alla prima partenza della ferrata.

- Gioventù benedetta! voi prendete fuoco come gli zolfanelli... venite qua... ditemi, ma chi paga?

- Chi volete che paghi? Pago io, che pure sono povero giovane, per carità, onde se mi levo io il pane di bocca, che sono laico e non ci ho che fare nulla, mi sembra che potreste levarvici un po' di companatico voi, che siete sacerdote, e per di più pastore di anime.

- Orsù voglio farvi vedere se sappiamo anco noi altri ecclesiastici ammollare; voi ci apponiate, Io so, di avarizia; mordetevi la lingua, calunniatori; la carità la intendiamo anco noi altri: orsù, invece di centodiciotto lire, faremo ogni cosa, associazione, funerale, e sterro per centodieci.

- Curato! risposi di sul limitare della porta, avete comandi per Torino?... io parto.

- Ma sentite, non ve ne andate... in verità non si può fare a meno...

- Volete che faccia i vostri convenevoli al signor Bianchi-Giovini?

- Voi siete un capo ameno; non ci guastiamo via... faremo numero tondo... cento lire... O povera chiesa! povera religione, come scadute abbasso!... Però quattrini... subito... quattrini anticipati...

- Niente affatto; fidati era un galantuomo, non fidarti era più galantuomo di lui...

- Queste cose ad un ecclesiastico?

- Non ve ne adontate, anco i santi prevaricarono...

- Almeno la caparra...

- La caparra vada...

- Sessanta lire?

- Venti lire.

- No, sessanta...

- Tagliamo in mezzo, trenta, ed eccole... ora andate a sonare l'agonia.

Il prete uscì, ma indi a poco ritornava sbuffando e diceva:

- Mi sono gabbato... non ho messo l'organista e il suddiacono... della Perpetua non se n'è più parlato. Voi che mi parete un giovane timorato di Dio non permetterete, che un povero sacerdote si rovini.

- Io, prima di tutto dovete sapere, non temo Dio.

- Oh! non temete Dio?

- No signore, si dee temere delle cose che hanno potenza di fare il male: /* Delle altre no, che non sono paurose. */ E lo ha detto Dante, che morì frate. Ora io non ho avuto mai paura di Dio, bensì lo amo con tutta l'anima e m'ingegno osservare più che posso i santi precetti ch'egli m'insegna con senso di amore.

- Egli è tutta una, la messa torna a mattutino, anche così la si può rabberciare... ma un quid di più per l'organista, ecco, ci vuole; e il diacono e il suddiacono vi sembra giusto che si abbiano a sgelare gratis et amore Dei?

- Mi pare, che se vi piace buttare ogni cosa a monte io vi abbandono la caparra.

Il prete se ne andò borbottando, non so che parole di peccatore ostinato... luterano... e simili; però quando fu in fondo della scala si volse da capo a gridare:

- Oe, quel giovane, almeno rammentatevi di Perpetua...

Devo confessare per la verità, che il funerale e l'associazione furono piuttosto pomposi che decenti, e che con sommo mio stupore il curato levava a cielo la mia carità, e non so nemmeno io quante altre virtù cardinali e teologali, le quali, con somma mia maraviglia e quasi spavento, mi erano entrate in corpo senza che io me ne accorgessi. Tutto questo s'intende, arti vecchie per mantenersi la bottega avviata; imperciocchè, allegando esempi e lodando la pietà altrui, il prete s'industria conservare tepida, almeno per una generazione, la cenere; tocca al prete, che verrà dopo a pensare se la si raffredda.

Per tutto quel stetti in casa la signora Isabella, e del giorno appresso ci passai gran parte consolandola con quelle parole più convenienti che seppi: affinchè ella delle spese da me fatte non s'inalberasse, le dissi, ed era vero, che aveva preso le cento lire dalle cinquecento del signor Felice, e le proffersi di conservare le rimanenti, ma ella ci si ricusò.

La lasciai pertanto rassegnata, e poichè di leggeri noi altri crediamo quello che piace, così nelle calde parole, nello acconsentire degli occhi, nella stretta delle mani io pensai vedere e sentire un sentimento un zinzino più tenero che non è la gratitudine; per la quale cosa ogni sequela d'idee su questo proposito io conchiudeva colla esclamazione:

- Noi tapperemo il buco!

E tanto mi dominava questo pensiero, che prima di salire a casa comprai due libbre di gesso da presa per murarlo. Salito in casa rovesciai parte del gesso sur una tavola, in mezzo al quale dopo averlo ammonticchiato feci un vuoto per versarvi dentro l'acqua; in seguito ammannii una maniera di mestola per istemperarlo prima di servirmene; così apparecchiato mi accostava al buco, e non senza commozione gli volgeva queste parole:

- O buco conforto della mia vita, e largitore delle gioie più pure che io abbia provato nel mondo; tu mi hai tolto dall'anima quanto la dissipazione ci aveva deposto di vile: tu mi hai insegnato come l'amore preceda sempre i passi dell'uomo, pari alla stella di oriente scorta dei regi in cerca del Redentore; per te ho appreso, che dopo la madre un'altra donna più cara sì, ma non però più amata abbia sortito dal cielo potenza di condurre i nostri passi alla perfezione cui fu concesso arrivare al seme di Adamo; tua mercè io sono più che io; meglio di qualunque predicatore, vogli missionario, vegli domenicano, vogli carmelitano scalzo, tu mi hai fatto stimare i miei fratelli, me stesso, la vita, le opere, e la giocondità della virtù, lo vorrei avere ricevuto in dono la facondia di Demostene, o la fantasia di Pindaro per celebrarti degnamente in prosa e in versi. Io ti vorrei rendere più illustre assai del buco di santo Alò dov'egli ficcava il suo chiodo ogni qualvolta gli occorreva di ficcare il chiodo per non affliggere con troppi fori la parete, onde venne il proverbio di fare come santo Alò che ficcava il chiodo sempre nel medesimo buco. Se adesso io ti muro non mi muove ingratitudine; al contrario affetto pari a quello del buon padrone che riposa l'ottimo servo dalle lunghe fatiche: per chiuso che tu rimanga io diverrò mai immemore di te; tutto ha fine nel mondo; separiamoci dunque a modo di benefattore e di beneficato perchè tu capisci che potendo sedermi da ora in poi a canto alla signora Isabella, e favellarle dappresso, sarebbe strano per non dire peggio, continuare a parlarle traverso un buco...

- Oh! siete voi? - Di un tratto mi parlò la voce soave della donna amata; appunto io voleva dirvi cosa che non so perchè non mi attentai favellarvi qui in casa, ed ora traverso la parete spero mi basterà l'animo di farlo. Signor Marcello, quando si ringrazia, si presume pagare in parte il debito: ora io non voglio ringraziarvi, perchè amo serbare intero l'obbligo mio verso di voi; io ho provato che in me può venire meno l'amore, la gratitudine non mai. Tanto vi basti...

- Anzi è troppo, mia riverita signora, e avrò mercede di gran lunga superiore al merito se mi concederà, che io le rinnovi quotidianamente la espressione della mia profonda stima... in casa sua.

- Giusto, sopra di ciò voleva trattenervi, signor Marcello. La donna povera deve aver cura non dirò superiore a quella della ricca per la sua onestà, bensì delle apparenze della onestà; in vero non basta alla donna essere, ma deve eziandio parere onesta. Argomentate da ciò a che mi esporrei io se vedova, povera, e sola accogliessi in casa mia un giovane elegante come voi? Voi siete troppo generoso, signore Marcello, per mettere a duro partito la mia reputazione... io devo credere... io credo, che la mia fama ha da essere cara a voi quanto a me, non è egli vero, Marcello?

- Eh!... non dico... ma se non isbaglio, mi pare, che queste parole significhino, ch'ella non mi vuole più d'intorno?

- Oh! no; io voglio vedervi e parlarvi tutti i giorni, anzi più volte al giorno, continuiamo a farlo come prima traverso questo buco...

- O nato sotto stelle maligne! esclamai dandomi un picchio su la fronte. E il gesso da presa e la mestola ammanniti, a che serviranno eglino?

E siccome la signora, che cosa ci avessero a fare il gesso e la mestola non capiva, io l'avvertii di quello, che stava per condurre a termine quando sul più bello rimasi interrotto da lei; ond'ella tanto non si potè tenere, che non ridesse, ma io nell'amarezza dell'anima e con riso compunto ripresi:

- Poichè questo calice non può rimoversi dalle mie labbra si faccia la sua volontà, signora Isabella...

- Ma guardiamo un po' se la cosa comporti temperamenti tali da renderla tollerabile: in prima io direi di allargare il buco a dimensioni tali che di buco diventasse vera e propria finestra.

- Oh! sì... larga finestra... grande come tutta la parete.

- Questo si nega, larga tre quarti di braccio, ed alta cinque soldi.

- Talchè se io non divento un gatto non ci potrò passare.

- Talchè se voi non diventate un gatto non ci potrete passare.

- Almeno sia praticata a tale altezza, che seduti entrambi sopra una sedia possiamo vederci e favellarci.

- Questo si concede, anzi ogni sera tornato a casa metteremo, io da una parte, voi dall'altra, il tavolino rasente all'apertura e mentre io lavoro, voi mi leggerete qualche bel libro di storia, o di poesia.

- Faremo anco meglio; io congegnerò una lucerna per modo, che abbia a illuminare voi e me, e questo gioverà alla economia, ch'è la seconda Provvidenza della povera gente.

- Sta bene; e voi invece di andare all'osteria con perdita di tempo non piccola, e spesa gravissima, potreste trasportare il vostro pranzo alla sera, e pranzeremmo insieme spartendo insieme le spese; io mi piglierei il pensiero di apparecchiarvelo.

- Accettato; accettato. Se venisse Lucullo a propormi adesso il baratto di uno di questi pasti con cento suoi imbanditi in Apolline, io gli darei di un calcio nella pancia.

- Siete contento della capitolazione?

- Eh! non potendo avere di meglio, adattiamoci; però delle parole io non mi fido.

- . Oh! che volete, che mandiamo pel notaro, che si roghi del contratto?

- Dio ne liberi! Se un terzo entrasse fra noi, lo strozzerei; ma ogni convenzione costumano gli uomini raccomandare a segni più sensibili che le parole non sono, come sarebbe a dire a segnatura, a croce, a sigillo: io mi contento di una stretta di mano.

- E ciò non vi ricuserei davvero se si potesse...

- Non si confonda; in due minuti rimedio a tutto; - e anco in meno remossi un mattone dond'ella mi porse la mano, che io baciai con fervore due volte dicendo: la prima per lei, la seconda per la madre mia.

Per via di cotesta apertura, io mi transumanai, per dirla con Dante, e se avessi dovuto durare un pezzo nell'esercizio di tanta virtù dinanzi a cotesto buco diventato finestra, io credo che a questa ora, signore zio, avrebbe dovuto cercare il suo nepote fra gli angioli, con suo sconcerto forse, e sicuramente col mio; che fare un altro po' di posata in hac lacrymarum valle non mi scomoda punto. Però tra tanti gaudii mi occorse uno stroppio, e questo fu, che dimorando davanti quella apertura mi trovai un giorno cotto per di fuori e per di dentro così, che meglio non arrostisce un quarto di agnello sullo spiedo. Gran giudizio mostrano di avere i Siciliani quando, volendo imprecare a taluno qualche grosso malanno, gli dicono: tu possa essere innamorato! Di fatti addio sonno, addio talento di cibo o di bevanda; mesto sempre o pensoso senza pensare a nulla; fisso in una immagine che mi struggeva, uguale in tutto a cotesta povera fanciulla, che innamorata del sole non cessava mai di guardarlo senza badare, che le consumava la vista; e per maggiore rapina quanto più pativa, e meno mi sentiva balìa di palesare i miei spasimi; se accadeva, e accadeva sovente, che la pietosa donna mi domandasse: se mi sentissi male, se qualche pena segreta mi angustiasse, non volessi celarla a lei, che per me nutriva affetto di sorella e di madre; io stava per isfogarmi, e voleva e mi sforzava con ogni potere mio a farlo; ma sì, egli era niente, mi si chiudevano i denti, e mi saltava addosso il ribrezzo della febbre quartana. Mi pareva di essere diventato un mantice da fabbro, tanto era il mio fiatare da mattina a sera; mi pareva essere una rondine in gabbia; certa volta mi affacciai alla finestra per buttarmici di sotto, e lo faceva, se non fosse stata tanto alta: si trattava di sette piani... capisce?

- Ieri notte, sul fare del giorno, comecchè il solo coltrone mi coprisse, mi parve avere addosso una lapide; volta di qua, volta di non trovava posa; anco se il diavolo avesse preso possesso del mio corpo mi sarei dimenato tanto; metteva sospiri da spegnere una torcia a vento: - Maledetto l'amore, e chi gli vuol bene! esclamai infellonito, e scappato fuori del letto mi posi col lenzuolo avviluppato intorno alla persona a passeggiare di su e di giù per la stanza come costuma il Modena sul palco scenico quando fa la parte di Oreste. La signora Isabella atterrita da cotesto tramestio accorse all'apertura e vistomi mezzo vestito, e arruffato a quel modo mi disse:

- Signor Marcello, per amore di Dio a che pensate voi?

- Io glielo do in mille a indovinare.

- Forse a vostro zio infermo?

- No signora.

- A vostra madre defunta?

- No signora.

- A qualche sfida forse?

- meno.

- Per sorte a congiurare contro questi cani di Austriaci?

- manco per ombra.

- E dunque a che pensate, Marcello? Non mi fate più stare in angoscia...

- Vuoi ella saperlo?

- Sicuramente.

- Ma proprio lo vuole?

- Sì, sì, lo voglio, lo pretendo.

- Ebbene, allora lo sappia; io pensava a Marco Tullio Cicerone...

- Domine aiutaci! esclamò la signora Isabella levando gli occhi al cielo come paurosa che mi avesse dato volta il cervello; ed io cui il moto, e l'impeto, e lo sdrucciolo della favella avevano ormai sciolto lo scilinguagnolo, sempre correndo continuai:

- Sì, signora, a Marco Tullio Cicerone; ella saprà, e se non lo sa glielo dirò io, come questo padre della romana eloquenza immaginasse varie maniere di cominciare le sue orazioni: che talora egli esordiva esitando, come se si peritasse a dire, e tale altra alla brava dichiarando che avrebbe esposto questa cosa o quell'altra, epperò gli prestassero udienza che ei la sapeva lunga e la sapeva ben contare; sovente si raggirava per copioso sermone, e spesso eziandio veniva a mezza strada saltando a piè pari dentro la materia. Ora tocca a me recitare un'arringa, un'arringa ahimè! pur troppo importante, dacchè se mi riesce persuadere e commovere io salverò un infelice da certissima morte; se all'opposto faccio fiasco, il poverino è ito. In tanta angustia non so nemmeno io che pesci pigliare. Signora Isabella, ha mai studiato la rettorica?

- Io? per che farmene?

- È vero, le signore non hanno mestieri d'imparare rettorica, esse nascono tutte col Decolonia in corpo, talune ci hanno anco il Blair: dunque, senta, signora Isabella, mi consigli per carità. Dovrei essere lungo o corto, girare di largo ai cantoni, ovvero dire breve e schietto?

- A me sembra, che senza tanti andirivieni il meglio stia nei partito ultimo che dite: il semplice è sempre bello, e nei bello ordinariamente alberga il buono...

- Dio la benedica, signora Isabella: ebbene, signora Isabella, io l'amo... - e chiusi gli occhi, apersi le braccia come chi aspetta il colpo di grazia. La risposta stette qualche po' di tempo a venire, pur venne con voce tremula e però tanto più soave; velata sì, ma dal velo che adombrò Venere celeste quando prima apparve ad Adone, ad Anchise, eccetera... in somma un'aura di maggio, che passa su le rose sbocciate, un buffo di armonia delle sfere udito solo da Pitagora e da me, sospinto forse verso la terra dal ventilare dell'ala bianca di un angiolo...

- E dàlli con questi angioli...

- Le domando perdono, signore zio, ma creda in verità, che parlare della signora Isabella e non cascare negli angioli gli è come discorrere di pane e non rammentare la farina; pertanto ella mi disse: Marcello, ancora io vi amo; siete un cervello balzano, ma cuore amoroso, e lo starmi sola m'incresce; giovane povera, e per avventura, non ingrata di forme, potrei frequentare le compagnie senza scapito della mia fama: questo è certo, che non potendo la donna fornire sola il pellegrinaggio della vita, io non vorrei scorta diversa dalla vostra; e se la prima volta la sbagliai pur troppo, mi affido che la seconda l'avrei indovinata, non per merito mio, ma per grazia del Cielo. Però due cose, se non si oppongono ricisamente, impediscono almeno che questo desiderio adesso si compia, e sono il consenso del vostro zio, e di mio padre. Chi si conduce a questo atto solenne della vita in onta de' suoi maggiori semina di spine il sentiero sul quale ha da camminare, ed io ne ho fatta a mie spese amarissima esperienza.

Ratteneva l'alito per paura, che meno chiaro mi venisse il suono di quei santi detti, e cessato ch'ella ebbe, non potendo favellare io, la mirava; ella mi diè coraggio, ella ravvivò la mia speranza, ella mi spinse nelle sue braccia, mio padre... mio zio, ed io mi ci abbandono mettendo in sua balìa la mia morte e la mia vita. Ho detto.

- E non posso rispondere male, come quel bizzarro al predicatore, che fece il panegirico di san Giuseppe per dieci lire... no, in verità non lo posso rispondere. Hai un sigaro?

- No.

- Ebbene, to' questo e fuma. Betta, tanto che io fumo va a rifarmi il thè, e porta anco una caraffa di rum; sento il bisogno di ravvivare gli spiriti.

Il thè fu fatto, il rum portato; lo zio Orazio bevve dell'uno e dell'altro; camminava ora lento, ora concitato per la camera, e Betta lo seguiva col guardo volgendo il capo ora a destra ora a sinistra quasi fosse stato un pendolo; alla fine Orazio disse, come favellando seco medesimo:

- Guà! tutto può darsi; ai tempi miei una donna dopo avere assistito alle missioni di un gesuita ingravidò, e partorì un figliuolo con le orecchie di asino; - poi rivolto al nipote soggiunse: - suadent cadentia sidera somnos, vien meco, che ti condurrò io stesso nel quartiere ammannito nel presagio del tuo ritorno.

Accompagnando poi col fatto le parole, tolse il candelliere e precedè Marcello in certe stanze fatte accomodare per lui al terzo piano della casa; quivi egli lo lasciò dicendo:

- Non è terminato, ma non ti faceva così presto di ritorno, però quanto occorre ce lo troverai; poi se alcuna cosa ti abbisognasse suona il campanello. Buona notte. Addio.

Il giovane rifinito per la stanchezza, e dalla mansuetudine con la quale lo aveva accolto lo zio ricavando argomento a bene sperare si gettò sul letto senza anco spogliarsi, e presto si fu addormentato. Se anche in cotesta notte sognasse, io non ve lo saprei contare, perchè non me lo disse. Sicuro! voi potreste apporre: questo non fu caso, dacchè voi altri quando vi piace entrare nel cervello degli uomini desti o addormentati o ci vedete, o piuttosto voi ci volete vedere quello che vi pare e piace. Al quale obbietto rispondo: che voi avete perfettamente ragione, ma che per ora non mi piace entrare nel cervello, in verun altro luogo dei miei personaggi, e chi legge si contenti sapere, che il giovane giacque fino a giorno alto, e appena desto si sentì agitato dallo amore e dalla fame; quello era grande, ma questa non canzonava; il primo occupava tutta l'anima, la seconda tutto il corpo, l'uno toglieva refrigerio a mandare fuori sospiri, l'altra s'impazientiva a non mandare giù bocconi. Peccato proprio, che gl'innamorati non diventino sostanze spirituali, o per lo meno cicale, le quali, se la fama porge il vero, si nutrono di rugiada. L'appetito nella lotta con lo amore, messo di sotto quattro volte e sei, allo improvviso prese il di sopra e con tanto impeto, che Marcello si fece a corsa per uscire dal quartiere; la porta della stanza gli si aperse sotto mano, e facilmente: non così l'uscio dello appartamento; allora lo scosse, lo spinse, e crescendo l'ira, tentò a calci sfondarlo, ma e' non venne a capo di niente, che l'assito era forte, e gli arpioni gagliardi: quando si fu ben bene riscaldato, ammaccato nelle mani e nei piedi, dette spese al suo cervello, e si ricordò del cordone del campanello pendente in camera sua. Allora chiamandosi cento volte bestia e soffiandosi nelle dita afflitte tornò lemme lemme in camera per sonare: del qual accidente mi è parso bene avvertire il lettore, non mica ond'ei ne pigli insegnamento; perchè so, che quando gli capiterà incollerirsi lo farà subito senza rispetti, accorgendosi dopo che avrà la spuma alla bocca e sarà andato in acqua per la pena, come con un po' di pazienza avrebbe avuto il fatto suo di quieto e con risparmio di salute e di tempo; onde se mi domanderanno perchè dunque mi è parso bene avvertirlo, dirò che non lo so nemmeno io; si dicono e si fanno e si sopportano tante cose cattive in questo mondo, che non mi metteranno mica all'indice se ne ho detta una delle inutili.

Sonò pertanto Marcello, e mentre sporgeva la faccia verso la porta per vedere comparire qualche servo, sentì chiamarsi dalla finestra. Ciò gli parve strano, che tale si è appunto l'indole dei cervelli bizzarri, voglio dire non sapersi capacitare che altri viva nel mondo balzani quanto o più di loro: recatosi pertanto alla finestra guardò giù e vide Betta la quale seduta tranquillamente all'ombra di un fico gli domandò perchè menasse tanto rumore.

- Perchè voglio scendere a fare... cioè salutare lo zio, e poi fare colazione.

- Di tutte queste cose, due non si possono fare, ed una la puoi fare costà in camera.

- Come? Come? E quali sono le cose che non posso fare?

- Per esempio quella di uscire...

- E perchè?

- Perchè lo zio è uscito e si è portato seco la chiave.

- Ebbene manda pel fabbro che venga su co' grimaldelli ad aprire la porta.

- Anco questa non si può fare, perchè lo zio dopo messa una fettuccia traverso le imposte ne ha sigillato l'estremità.

- O che sono diventato un magazzino di fallito? o un deposito messo nel monte di pietà? Questo è un delitto contemplato nel codice. Ai tempi nostri doveva vedersi rinnovato il carcere domestico! violentare la libertà di un cittadino! E poi da cui? Da un liberale!... da uno zio! Ma diceva bene il consigliere Saurau, chi vuol vedere la schiavitù vada in America. E adesso lo zio dov'è ito?

- Te lo dirà quando torna.

- E quando tornerà questo benedetto uomo?

- Credo nell'ora in che sarà venuto.

- Bada, Betta, non mi mettere al cimento di scaraventarti la brocchina nella testa; e sentiamone un'altra: il mio riverito zio e tu avete nella vostra sapienza deliberato farmi morire di fame....

- Dio guardi! fruga nella stanza e troverai una funicella alla quale, calata che tu l'abbia, io legherò un paniere pieno di cose buone così per l'anima come pel corpo.

Marcello considerato come per quel momento non ci era a fare di meglio, rinvenuta la corda la calò e Betta tosto legatoci il paniere fece cenno che io tirasse in su. Sentendo lo peso egli diceva tra : che diavolo ci avranno messo dentro?

Curioso pertanto di esaminare, appena lo ebbe messo sul davanzale frugando trovò un libro e disse:

- Un libro! Imitazione di Gesù Cristo; che ci ha da fare cotesto libro?

- Ma! lo zio disse ch'è la camicia del galantuomo.

- Anco un libro. Erasmo: Elogio della Pazzia; e questo a che buono?...

- Ma lo zio ha detto, caso mai tu volessi scrivere, potresti spassarti a farvi i commenti di tuo.

- Senti, Betta, quando lo zio tornerà a casa gli dirai per parte mia, che se vuole ristamparlo lo faccia con le sue note soltanto, che sono anco troppe, anzi taluno ha detto che le sue chiose affogano il testo. Ecco un giornale, la Civiltà Cattolica; e di questo che me ne ho a fare?...

- Ma! lo zio ride tanto quando lo legge, ch'io ce l'ho messo di capo mio per divertirti, caso mai ti pigliasse la malinconia...

- Byron?

- Per tenerti sveglio.

- Il quaresimale del padre Segneri?...

- Per dormire.

- Magnesia calcinata... Gioco chinese, ovvero il rompi capo?...

- Questo per esercitare la pazienza, quella per levarti la bile di corpo.

- A quanto pare non ci manca altro che la maschera di ferro... ecco sigari... pane... vino... et reliqua. Mangiamo prima e poi il tempo darà consiglio.

- Salomone stesso non avrebbe potuto ragionare di meglio... Col tempo e con la paglia anco a te si maturerà il cervello...

Accadde una tregua alle parole; alla quale pose fine Marcello affacciandosi alla finestra col suo sigaro acceso dicendo:

- Betta?

- Che vuoi, figliuolo?

- Tu sai, che subito dopo il pasto il leggere e lo scrivere guastano la salute; però ragionerei teco se non fosse questa vampa di sole che mi brucia la faccia.

- Io mi ricordo, che su in un canto dell'anticamera i del tuo quartiere ci ha da essere un ombrello, piglialo e schermisciti dal sole.

Di fatti l'ombrello ci era, Marcello lo sporse fuori dalla finestra, lo aperse, e tra lui riparato dall'ombrello e Betta al rezzo del fico fu continuato il dialogo seguente:

- Betta, lo zio prima di andare a letto ti fece altri discorsi?

- Sicuro che me ne fece...

- E che disse?

- Disse tante cose, che ci voleva un magazzino a tenercele tutte...

- E non te ne rammenti di alcuna?

- Ecco, mi rammento di queste: tu hai da sapere, o Betta, egli mi diceva, che ai tempi antichi ci furono Dee, una delle quali di manica larga anco troppo, che si dilettò di chiappare uomini e Dei, e tenerseli per amanti contro il precetto del decalogo, perchè la sciagurata aveva marito; un po' zoppo per la verità e di molto sudicio, che di sua arte egli fu magnano, ma non importa; marito egli era e doveva rispettarsi in lui il sacramento del matrimonio; l'altra all'opposto fu di manica stretta e fuggiva gli uomini come i cani arrabbiati dall'acqua; questa fu abitatrice di selve e cacciatrice solenne; fiere uccelli la passavano liscia con lei, che o di saetta cadevano o da mille arzigogoli insidiati rimanevano presi, ed ella li pelava, arrostiva, mangiava come facciamo noi: in questo come vedi valeva meglio l'altra di lei, però che Venere (quella che faceva preda degli uomini si chiamava Venere) la preda fatta non arrostiva e non mangiava, solo le assottigliava le gambe, e le affilava il muso. Un giorno o una notte, salvo il vero. Giove mosso dai giusti lagni degli uccelli superstiti, i quali gli dimostrarono come qualmente tanto valeva non averli creati, che lasciarli in balìa di cotesta sterminatrice, la quale gli uccelli non poteva patire, eccettochè arrostiti, operò in guisa che Diana (quest'altra si chiamava per lo appunto così) s'imbattesse in un giovane tanto fatto e bello, sto per dire più del capo tamburo del reggimento delle guardie reali; l'effetto di questo incontro fu che Diana volle diventare amica di Venere; gli uccelli ebbero tregua; ma, diceva sempre lo zio, la burrasca si rovesciò addosso agli uomini, perchè Diana insegnò a Venere tutte le insidie con le quali pigliava gli uccelli, e Venere a Diana tutti i tranelli co' quali pigliava gli uomini, e insieme composero un catechismo, che le donne per non istare in ozio imparano nei nove mesi che si trattengono in corpo alle genitrici loro, onde lo zio concludeva che a buttarsi dalla finestra, a torre moglie, insomma a fare tutte quelle cose che si fanno una volta sola bisogna avvertire almeno due...

- Fosse anco san Tommaso in persona, se lo zio vedesse la signora Isabella rimarrebbe estatico di riverenza e di ammirazione: non mi sembra di essere uccello da cascare sul vergone al primo coccoveggiare della civetta...

- E questo gli diceva ancora io. I giovani, che sia benedetto, la sanno più lunga di noi, io gli diceva; ma egli mi rispose: no signora, tu, Betta, costumi tenere per lo meno tre giorni i granchi teneri in purga prima di friggerli e darmeli a mangiare; ora non vuoi che io provi per altrettanto tempo una donna prima di consentirla a moglie pel mio nipote? Io opposi che tra i granchi teneri e una moglie ci correva grandissimo divario; ma egli ostinato replicava, che se differenza ci entrava era a carico della donna per la quale tre giorni a ripurgarla forse non sarieno bastati. Però stamane è partito per Milano...

- Ah! zio, zio, zio, - esclamò arruffato Marcello, e fe' punto. Se gli frullasse nella mente di aggiungere qualche altra parola e precisamente quale io non affermo nego, certo è che ei non la profferì; però tempestando si tirava indietro dal balcone e siccome l'ombrello aperto gli faceva contrasto, lo lasciò andare; poi sbatacchiate a furia le finestre prese a pestare i piedi, a strapparsi i capelli e a commettere pazzie da disgradarne Orlando matto, meno che non isvelse pini come Orlando, perchè nella stanza non ce ne trovò; per ultimo si mise a letto.

 

 

 




54 C. 24, n. 30-31.



55 San Cipriano, Orazione su la elemosina, volgarizzata da Annibale Caro.



56 Paiono enormezze, queste, immaginate dalla sfrenata fantasia del romanziere, ma, ahimè! io le ho riscontrate vere pur troppo, e più volte.






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