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Francesco Domenico Guerrazzi
Racconti e scritti minori

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LA FIGLIA DI CURZIO PICCHENA

E IL SECOLO CHE MUORE

 

Questi due romanzi furon pubblicati postumi, il primo nel 1874, il secondo nel 1885, dopo esser apparso nel 1875 in appendice al giornale l'Epoca, ma solamente in piccola parte. Come il Paolo Pelliccioni aveva rappresentato lo Stato romano sotto la ferrea egemonia pontificia del secolo XVI, così la Figlia di Curzio Picchena è un quadro della Toscana sotto il governo spigolistra e sbirrocratico dei Medici nel secolo XVII. Ma chi legga la lunga prefazione di questo romanzo, non tarda a convincersi che, sotto il pretesto di raffigurare le consorterie toscane di duecento anni prima, il Guerrazzi mira a colpire le consorterie dei suoi tempi e a trar vendetta di quanto, in sì lungo volgere di anni e di avvenimenti, lo avevan fatto soffrire. Il romanzo non è gran cosa, forse sarebbe da imitarsi l'esempio di F. Domenico che, dopo averci narrato l'adulterio di Caterina Picchena e di Curzio Salvoni, e aver lasciata al cap. II la donna fra le braccia dell'amante, ce la mostra al III in fondo ad una cella del Mastio di Volterra, per dir poi, nell'ultima parte, come e perchè era caduta da tanta felicità in sì grande abiezione; ma la protagonista è creatura abilmente rappresentata e più figlia del cuore che della mente di F. Domenico. E chi conosca Claudio Frollo di Notre-Dame dell'Hugo, ne troverà un riflesso, sebbene pallido, nel Pandolfini di questo romanzo.

Il Secolo che muore, che Giuseppe Chiarini in una breve prefazione giudicava "forse letterariamente la migliore opera di F. Domenico, certo una delle migliori", riprende il fare e i personaggi del Buco nel muro. Risolta la questione capitale della libertà e della unificazione della patria, rimanevano però, ardenti più di prima, gli attriti fra repubblicani sconfitti e monarchici vittoriosi; il clero, schiacciato, non domato, tentava ogni sforzo per tornare ad essere ciò che era stato fino allora: di più, le plebi sorgevano e insorgevano, accampando nuovi diritti, la donna cominciava a non credere più che la migliore delle epigrafi fosse per lei domum servavit, lanam fecit. Su tutto ciò medita il Guerrazzi nel Secolo che muore, e chiude il suo libro con un fosco vaticinio di non lontana guerra civile.

Tale la produzione letteraria di F. D. Guerrazzi, a cui debbono aggiungersi articoli critici, lettere in gran copia, molte delle quali non ancor pubblicate, ed epigrafi tra le più vigorose della letteratura italiana: produzione che potrà essere variamente giudicata e più o meno gradire, ma che sarà pur sempre considerevole per la sua vastità e per quell'ardente amor di patria che la ispira dalla prima all'ultima pagina.

Tutto considerato, F. Domenico Guerrazzi fu, con G. B. Niccolini, il più valido e tenace oppositore del neoguelfismo rifiorito, per nostra sventura, a metà del secolo XIX:

 

...ciò non fa d'onor poco argomento,

 

e i suoi libri possono per avventura molto insegnare anche nell'ora presente.

 

 

 

 




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