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Francesco Domenico Guerrazzi
Racconti e scritti minori

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II

 

Se i dolci sorrisi e i molli baci, e tutte le più care soavità dell'amore conteneva in il cinto di Venere, come poetando ci narra Omero divino, veramente può dirsi che i colli di Firenze la circondino leggiadri come la cintura di Citerea. Deh! che non è tutta Toscana il mondo! esclamava quell'austero intelletto di Vittorio Alfieri scendendo dall'Apparita, e la contemplazione di così stupenda bellezza valeva a spianargli una ruga sopra la fronte, - un'altra sul cuore. - Adesso tutti gli Dei disertarono questa terra, che è delizia del Sole: squallidi fati ci avanzano; rimanemmo soli. E nondimeno in partendo i Numi la riguardarono con amore, e vi scossero sopra le fimbrie delle clamidi quasi per benedirla, sicchè l'aria intorno conserva un senso di ambrosia e di armonia, che verun tristo vento ha potuto dileguare fin qui. Pei boschi degli allori e pei mirteti tu sentirai sibilare lenemente le ultime vibrazioni delle antiche arpe famose. La morte ha chiuso i labbri dell'incliti nostri personaggi, e non pertanto per gli atrii, pei fôri, lungo le mille colonne delle navate dei templi risuona ancora l'eco delle estreme loro parole. - Come sul volto

di Laura, la morte par bella su questa terra bellissima...!13

 

 

 




13 Non posso astenermi (che mi parrebbe ingratitudine) di confessare come parecchie frasi di questo periodo sieno reminiscenze di un canto di Francesco Pacchiani; Francesco Pacchiani, natura privilegiatissima che Dio si compiacque ornare dei tesori della più alta intelligenza. In lui era materia da mostrarsi al mondo in un punto Dante e Galileo, e il Pacchiani durante tutta la vita si affaticò a disperdere i doni di Dio. I tempi e i costumi lo guastarono i provò la sventura, ma tardi, e come conseguenza di vita scomposta, non già come persecuzione di animo gagliardo o d'intelletto svegliato. Poco ci avanza di lui, e tra le altre cose il Canto in cui leggiamo le seguenti terzine:

 

Come aureo industre verme esce di spoglia,

Lucida spoglia ov'ei si fece alato,

Dell'infinito valicò la soglia.

Dalle candide penne ventilato

Spirò dal cinto d'Iri il ciel di Flora

D'ambrosia e d'armonia senso beato.

Pei medicei laureti udissi allora

Uscir dalle famose arpe commosse

Il suon che gl'immortali anco innamora;

E dall'onda dei numeri percosse

Che destò il ventilar dell'ala bianca.

Detter mie corde, che la man non mosse,

Il suono che dal tempo i nomi affranca,

E l'inno che raccolsi nella mente

Incominciai come persona franca.






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