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Francesco Domenico Guerrazzi Racconti e scritti minori IntraText CT - Lettura del testo |
II
Se i dolci sorrisi e i molli baci, e tutte le più care soavità dell'amore conteneva in sè il cinto di Venere, come poetando ci narra Omero divino, veramente può dirsi che i colli di Firenze la circondino leggiadri come la cintura di Citerea. Deh! che non è tutta Toscana il mondo! esclamava quell'austero intelletto di Vittorio Alfieri scendendo dall'Apparita, e la contemplazione di così stupenda bellezza valeva a spianargli una ruga sopra la fronte, - un'altra sul cuore. - Adesso tutti gli Dei disertarono questa terra, che è delizia del Sole: squallidi fati ci avanzano; rimanemmo soli. E nondimeno in partendo i Numi la riguardarono con amore, e vi scossero sopra le fimbrie delle clamidi quasi per benedirla, sicchè l'aria intorno conserva un senso di ambrosia e di armonia, che verun tristo vento ha potuto dileguare fin qui. Pei boschi degli allori e pei mirteti tu sentirai sibilare lenemente le ultime vibrazioni delle antiche arpe famose. La morte ha chiuso i labbri dell'incliti nostri personaggi, e non pertanto per gli atrii, pei fôri, lungo le mille colonne delle navate dei templi risuona ancora l'eco delle estreme loro parole. - Come sul volto
di Laura, la morte par bella su questa terra bellissima...!13
Come aureo industre verme esce di spoglia,
Lucida spoglia ov'ei si fece alato,
Dell'infinito valicò la soglia.
Spirò dal cinto d'Iri il ciel di Flora
D'ambrosia e d'armonia senso beato.
Pei medicei laureti udissi allora
Uscir dalle famose arpe commosse
Il suon che gl'immortali anco innamora;
E dall'onda dei numeri percosse
Che destò il ventilar dell'ala bianca.
Detter mie corde, che la man non mosse,
Il suono che dal tempo i nomi affranca,
E l'inno che raccolsi nella mente
Incominciai come persona franca.