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Francesco Domenico Guerrazzi Racconti e scritti minori IntraText CT - Lettura del testo |
III
Dove si fa conoscere chi fossero Orazio e Betta, non che le gravi considerazioni di Orazio sul consorzio umano in proposito del gatto Maccabruno vestito da Gesuita, e del cane Tobia vestito da Giandarme.
Adesso che Marcello viaggia, e Orazio è a letto custodito da Betta, parliamo un po' dei nostri personaggi, e cominciamo da questa, dacchè ultima ella ci cascasse dalla penna.
Betta era l'angiolo custode di Orazio: però voi non vi avete a figurare che Betta fosse buona come le pecore o le vitelle sono: mai no. Betta aveva conquistato valorosamente la sua bontà, aveva combattuto, e aveva vinto le male passioni; i travagli della lunga contesa le si leggevano in volto: quantunque queste passioni ormai stessero rassegnate a non levare più il capo, tuttavolta Betta dal piglio risoluto, e da una certa tal quale trucezza dello sguardo si mostrava pronta a riappiccare la battaglia dove occorresse. Questo tornava in massima lode di Betta, per mio avviso, imperciocchè che cosa valgano le innocenze o non tentate, o ineccitabili, o fuggitive, io non so vedere. Allora le cause del tenerci ritti paiono, e sono, poste piuttosto fuori, che dentro di noi, mentre all'opposto per le virtù battagliere le cause stanno barbicate dentro l'anima nostra. Delle prime, dove il tentatore trovi modo di appoggiare le scale, novantanove su cento, puoi giudicare, che saranno espugnati muraglie e cassero tutti di botto, mentre le seconde sono capaci di attendere il nemico ai merli, e agguantatolo pel collo scaraventarlo a capo ritto nel fosso. Insomma quelle ti si mantengono oneste, finchè la campana del furfante non le chiami a refettorio; per queste l'ora del ribaldo non viene mai, o l'orologio è scarico: per le prime tu hai il simbolo in Eva, prima che le si faccia davanti il serpente; per le seconde tu l'hai in Ercole bambino che trovatisi sotto mano nella culla due serpenti, senza cerimonie gli strozza. Tale è Betta, la quale, essendosi condotta dagli anni primi della sua gioventù a vivere in casa del signore Orazio, mostrò possibili a stare insieme due cose dall'universale reputate contrarie, voglio dire reverenza, ed affetto tra uomo e donna, e, quello che sembrerà eziandio più difficile, tra padrone e serva, anzi tra intelletto esperto in ogni maniera di sapere, ed intelletto che dalla natura in fuori non pigliò mai insegnamento, nè ispirazione da nessuno. I lunghi anni vissuti insieme da Betta e dal signor Orazio facevano fede, che i cuori non sanno di ragguagli, non conoscono misure, e che quando essi sono coppe di oro, il più o meno di oreficeria non cresce nulla al valore intrinseco della materia. Tutto questo quanto allo affetto: circa lo ingegno, Betta era la battuta che rimetteva in chiave i pensieri discordanti di Orazio; il piombino dell'archipendolo che gli faceva ritrovare la linea retta smarrita per la copia dei pensieri o delle immagini che ribollivano nel cervello di lui: in una parola Betta era il buon senso in gonnella.
Di Marcello toccai abbastanza: importerà meglio dire dello zio, uomo proprio nato apposta per essere a suo tempo impagliato, e messo nel museo di Storia naturale. Egli nasceva di padre generoso, per colpa degli avi ridotto al verde di ogni bene di Dio; tuttavolta questo uomo per virtù di pertinacia trasse la famiglia dalla miseria con istento ineffabile, talchè il cavare la pietra dal pozzo non gli sembrava paragone bastevole ai travagli sofferti. Quando il forte uomo morì, se avesse lasciato ai suoi figliuoli retaggio così ricco di facoltà come di esempii lodevoli, i figliuoli avrieno potuto condurre i Rotscildi per mozzi di stalla; ma dall'accurata educazione, e dalla benedizione in fuori, più poco essi poterono raccogliere della eredità del padre, che non per questo venerarono meno come santa memoria.
Quando la disdetta piglia a perseguitare vogli popolo, vogli famiglia, o individuo, tu ti potrai accorgere, ch'ella procede a modo delle tempeste di mare, le quali non cessano mica da un punto all'altro; bensì, calato il vento, continuano a nabissare le onde, che a mano a mano scemano il mareggio e per ultimo quetano. Pertanto giusto a quel modo la sventura, che infuriò nel padre, rallentava nei figli, ma non troppo; i quali per maggiore stroppio morirono tutti immaturi, eccetto Orazio, e senza lasciare altra discendenza da Marcello in fuori. Orazio quando accadde l'accidente infelice contava ventiquattro anni, ed era di corpo ottimamente composto, e di aspetto gentile: adesso lo vediamo arrivato a cotesta età, che si può dire, che stia a cavallo al fosso della morte e della vita, come sarebbe la cinquantina, con forse qualche altro anno per giunta, e nonostante ciò a guardarlo bene si sarebbe giudicato subito, che la bellezza doveva essere passata di costà: ma ciò poco rileva. Orazio al pari del padre suo era stato da madre natura scolpito nel porfido: rimasto solo superstite della famiglia, come la colonna del tempio della Concordia in Roma, si ficcò in testa rilevare la sua casa: veramente pensandoci sopra parve anco a lui una faccenda seria e difficile a un dipresso quanto pretendere, che cotesta colonna unica ritta intendesse sollevare su la base le gemelle rovesciate, e ricostruir il tempio: tuttavolta, avendo sbandito dall'anima sua ogni altra passione, ne commise il governo a due amori, o piuttosto ad un amore solo applicato a due cose distinte, Patria e Famiglia. Una senza dell'altra egli tenne che non potessero stare; che questa venerò come il tempio, l'altra come la divinità. A che allevare figliuoli, educarli, tirarli su nello esercizio delle buone arti, ammaestrarli negli esempii magnanimi, eccitarli alla pratica della virtù se poi avessero solo a limarsi nei traffici, o a perigliare su i campi? E' tornerebbe lo stesso, che mandare cappelli nella isola (alcuni opinano, che sia terra ferma e giaccia da queste parti) dove gli uomini per testimonianza di santo Agostino nascono senza testa. E per altra parte qual pro travagliarci nei negozii pubblici, sostenere contese, affrontare odii, patire di ogni ragione disagi, rilevare ferite, dalla stessa morte non rifuggire, se la lode e l'utile di tali fatti noi non potessimo, se superstiti, godercela in casa co' nostri consanguinei, e defunti, lasciarla ai posteri pegno perenne di riverenza e di affetto? E' sarebbe lo stesso, che sonare il violino dentro un campo santo. Orazio trovò la Patria serva, e più dei tiranni assai gl'increbbero i popoli servi della propria viltà: oscuro, e solo dapprima, poi con pochi eletti cominciò la terribile iliade di odio da un lato, barattato in tanto odio a misura di carbone; di amore dall'altro non ricambiato da amore se non che tardo, e scarso; ond'egli quando lo assaliva l'umore nero diceva, ripeteva, e tornava a ripetere il verso:
Ho servito a signor crudele e scarso,
ma s'egli apponesse cotesto verso, come fece messere Francesco Petrarca, all'amore, o se piuttosto a qualche altra cosa, come sarebbe il popolo, non lo lasciava capire.
Pari allo Anteo della favola, quante volte egli picchiò di uno stramazzone in terra, tante si rilevò più gagliardo di prima; e più destro di lui ei procurò di non
farsi sollevare per morire soffocato nelle braccia di Ercole. Sembrava fatto della natura di panno di lana, il quale per mantenersi immune dalle tignuole ha mestiere di essere battuto almeno una volta la settimana, nelle prigioni studiava quanto un benedettino, e ritemprava i ferri, ed altri ne fabbricava, per tornare subito più infesto alla guerra sì dell'odio, e sì della pietà: ma di ciò basta, che di Orazio a noi preme discorrere come privato.
Fu sempre sua ferma opinione, che l'uomo, il quale non si affatichi a uscire di miseria, meriti di essere schiavo: se la ricchezza genera vizii, il bisogno è padre di viltà; onde le moltitudini, anco da cui le ama, chiamansi vili, e meritamente; chi non le ama loro contende persino le nozze, e rinfaccia la prole! Certo all'uomo uscito dal bisogno si apre tuttavia immenso innanzi a sè il campo per peccare, chè la cupidità lo tira co' desiderii smodati, e le lusinghe del lusso allettano infinite; ma il bisogno gli è proprio la Cibele dalle cento mammelle, che allatta la infinita famiglia dei delitti: alla più trista esci dal bisogno, e ti scemerai mezze le cagioni della infamia. Però chi potendo procurarsi agiata la vita, si mantiene indigente, egli reputava, che se non era ancora tornato di casa dentro un articolo del Codice penale, e' fosse ito per le chiavi, e a fissarne la pigione. Anzi teneva per fermo, che il popolo per provare se quelli, che gli si profferivano tutori, dicessero davvero, aveva una pietra di paragone infallibile in mano, la quale egli pregava volesse, almanco d'ora in poi, adoperare più spesso; e questa pietra aveva due facce: la prima se i suoi protettori essendo ricchi oltre i termini del bene ordinato vivere civile presumessero durare così, e peggio se aspirassero a dovizie maggiori; la seconda che messi da parte statuti, leggi, assemblee, dicerie, e franchigie pensassero a sicurare, migliorare, e allargare il pane del povero redimendolo dalla necessità, o dalla tentazione di farsi schiavo, ed infame. Se la prova tornava, il popolo si gittasse pure a chiusi occhi in balia del tutore, che allora egli lo avrebbe sperimentato Agide, o Cleomene, o Gracco; se non tornava, rispondesse al tutore quello che disse la tortora al gatto Mur, quando questi spasimandole al lume di luna sotto le finestre la supplicava di scendere ad aprirgli la porta, tanto ch'egli potesse chiarirla più da vicino del gran bene, che le portava.
Rispetto a lui, il dì che potè fare incastrare i suoi bisogni dentro la cornice della rendita, chiamò Betta, la invitò a inginocchiarsi insieme con esso e levare le mani a cielo per rendere grazie a Dio proprio col cuore, e questo egli fece perchè in casa sua non permetteva immagini, per reverenza al Padre della natura; se non che Betta a ridosso di queste sublimità trovandosi in mezzo della stanza con le mani, e con gli occhi levati in su, vide un ragnatele, e riavviata com'era, di un tratto rizzossi in piedi, e presa la spazzola lo levò, e poi appoggiata sul manico ammonì Orazio tuttavia genuflesso:
- Che sia benedetto, noi abbiamo l'aria di raccontare le nostre ragioni ai travicelli.
- In ginocchio, Betta; di là da cotesti travicelli ci è Dio.
- Badi a quello che dice, signore Orazio; oh, non sente, che sopra i travicelli i figliuoli del casigliano fanno il diavolo a quattro?
- Non importa, Betta, giù in ginocchioni; sopra quei ragazzi che fanno il diavolo a quattro ci è Dio.
Orazio un tempo passò per avaro e non lo fu mai; superbo era molto, e soleva dire in proposito, che se non ci fosse stato Cristo, il quale gl'insegnò la dignitosa alterezza della natura umana, egli avrebbe acceso le candele al diavolo perchè padre della superbia; ed aggiungeva che in difetto di altro, per salvare l'anima dalle tignuole, egli giudicava la superbia canfora unica al mondo. Per questo egli sovvenne sempre il suo simile in segreto, e studioso della soddisfazione della propria coscienza, la lode altrui non cercava, nè curava: le repulse poi erano clamorose, e non contento a negare, voleva con lunga diceria chiarire il postulante, che a cagione delle sue pessime qualità avrebbe avuto tutto al più diritto ad una fune che lo impiccasse. Certa volta domandarongli la elemosina pei bambini chinesi, allegando ch'egli era per riscattarli dai cani: egli si abbottonò precipitosamente fino all'ultimo bottone delle vesti, e rispose:
- Nè anco un quattrino; la mia carità somiglia ai cerchi cagionati dal sasso che si butta nell'acqua; il primo cerchio comprende me e la famiglia, il secondo i parenti e gli amici, il terzo i compatrioti; altri cerchi non sa fare, e dentro questi rimango. Ipocriti! siete pieni di carità pei chinesi, e veruna ve ne piglia pel vostri fratelli italiani. Ipocriti! pietosi dei morti potreste vedere un vivo stramazzare dalla fame senza porgergli un boccone di pane.
L'amore suo per la Patria si mostrava così esclusivo, che durò un pezzo a insegnare la geografia al nipote con la carta d'Italia unicamente ritagliata alle Alpi, e così impastata sopra un foglio bianco, e quando Marcello gli veniva domandando:
- E di là a sinistra oltramonte, che cosa ci si trova, zio?
Egli borbottando arruffato rispondeva:
- Dicono che ci si trovi un paese il quale si chiamava la Francia.
Se per disgrazia il fanciullo lo interrogava su i paesi a destra di là dalle Alpi, egli si rizzava in piedi co' capelli ritti gridando:
- Ci è il diavolo, che ti porti.
E per cotesta sera non si faceva più lezione. E' fu pertanto dall'amico Bastiano, che il ragazzo seppe coteste contrade essere abitate da una gente perversa, odiatrice nostra, e da noi più che mortalmente odiata, che aveva nome di austriaca; e fu eziandio per intercessione del signore Bastiano che egli pure ottenne dallo zio l'atlante intero, e il mappamondo.
Orazio non solo non era capace di commettere mala azione per volontà, ma per natura gli sarebbe riuscito impossibile; e tale pretendeva lo estimassero non solo i conoscenti, ma altresì quelli che non lo avevano in pratica; onde riusciva talvolta gioconda la sua maraviglia, se comprando egli qualche cosa per via, e non si trovando danaro allato, il venditore non si contentasse delle sue parole:
- Galantuomo, vi pagherò domani, - e agguantatolo pel braccio non lo lasciasse andare.
In questo fu irremovibile, che non volle mai giurare, e chiamato un dì per testimone, e negando il giuramento, a cui gli notava ciò imporre la legge, egli rispose:
- Ma lo nega Cristo; ora io non conosco legge che vinca il vangelo; - e poichè minacciavanlo restringerlo in carcere, egli crollate le spalle soggiunse:
- Mi ci hanno messo tante volte per cause meno sante, che adesso mi parrebbe andarmene a nozze.
La Ipocrisia aveva virtù non solo di voltarlo sottosopra nel morale, ma gli cagionava le convulsioni: pietoso era, e magnanimo, aborrente dal sangue; pure senza tema di aggravarmi la coscienza affermo, che se la Ipocrisia avesse avuto persona, egli per finirla a un tratto, l'avrebbe appostata al cantone, e quivi ammazzatala di una coltellata nel cuore; ma poichè la Ipocrisia non vestiva persona, e di lei solo apparivano i portati, egli sgomento di poterli sperperare si rimaneva; imperciocchè se si fosse trattato unicamente dei tartufi neri, col tempo e la pazienza avrebbe sperato di metterci buon sesto: ora poi, che pullulavano su a miriadi anco i tartufi bianchi, che a paragone degli altri pizzicavano due volte tanto, gli erano cascate le braccia, e si era dato per vinto. Soleva rammentare sovente come il padre suo gli avesse lasciato per ricordi, primo di non avere che fare con gli uominini, co' cavallini e con tutta la robuccia piccina; secondo: se hai da comprare, compra giovane; perchè gli anni non fanno cascare solamente i denti e i capelli, bensì ancora le virtù: e il diavolo appunto è cattivo perchè vecchio. In obbedienza al primo ricordo, fuggiva come peste ogni luogo frequentato da insetti, ed una volta che gli accadde di passare accosto ad una botte di vino guasto si cavò il cappello salutando rispettosamente i moscerini, e a cui sorridendo lo domandò che cosa intendesse con cotesta burla di significare, egli con volto scuro, e vista paurosa rispose:
- Terribile è la potenza del piccino. Fra le fatiche di Ercole tu non ci trovi quella dei moscerini; guai a lui se l'avesse tentata, gli ne sarebbe uscito a capo rotto!
E fu creduto dai più, ch'egli intendesse accennare ai mediocri in lettere, ai moderati in politica, alla turba dei giornalisti ebrei battezzati, e cristiani circoncisi i quali, al mestiere antico di tosare le monete, avevano aggiunto quello di tosare le reputazioni dei galantuomini.
Si dilettava di arti; amò la poesia, ma più l'abbaco, per modo ch'ei stava dietro ad una scrittura con la quale intendeva dimostrare per via di operazioni aritmetiche, piane, facili, e da stamparsi nei lunarii a luogo dove mettono i numeri del gioco del lotto, che i delitti rispondevano ad altrettante somme sbagliate. Ma se i modi suoi apparvero bizzarri, bisogna dire, che per la favella si era ridotto a tale, che chiamare pane il pane, e sassi i sassi ormai non sapeva più, nè poteva.
Cotesto suo spirito, che ritraeva alquanto dello Sterne, e moltissimo del Montaigne: un po' per imitazione dei begli umori italiani dei secoli decimoquinto e decimosesto, un po' per naturale propensione, si era fabbricato un linguaggio grottesco, a riboboli, che non immeritamente si potrebbe paragonare a quella maniera di pittura, che si chiama raffaellesca, e non di manco è più antica di Raffaello assai: per essa in cima di uno stelo lunghissimo miri uscire da un fiore leggiadro, a mo' di insetto anche più leggiadro, una ninfa; più sotto un amorino che avendo alle spalle invece di ale un nicchio di chiocciola striscia su di un melo granato, e ride: là di mezzo a un canestro di fichi e di mele sbuca la testa barbuta di un filosofo; qui ai manichi di un candelabro stanno appese a guisa di spegnitoi due sfingi con la coda mezzo squame di serpe mezzo foglie di acanto; in altra parte si corrono dietro sistri e crotali, lire e nacchere in compagnia di uccelli, di farfalle, e di rose, vero stravizio di cervello ebbro di bellezza; ma forse il linguaggio di Orazio talora ritraeva piuttosto la follia del quadro di Santo Antonio dipinto dal Callotta, dove i diavoli fanno da artiglieri e da artiglierie, le quali accese alla bocca sparano tentazioni da un'altra parte, che non importa dire quale, contro il povero santo, e più spesso altresì rammentavano i dipinti di cotesta scimmia delle stranezze umane Hogarth; nè basta; vi era dei giorni, che Orazio adoperava costantemente, per esprimere i suoi concetti, immagini e vocaboli desunti dall'architettura: così quella tua proposta gli pareva fuori di squadra; - questo discorso strapiombava, l'altro era cubo come un piedistallo; un ragionamento mancava di base, un concetto di capitello; qui tu mettevi l'architrave prima del cornicione, e via discorrendo; un altro giorno dalla pittura; un terzo dalla chimica: in somma egli era cosa da farne strabiliare i cani, e ciò che riesciva giocondo egli era, ch'ei si stizziva coi servi se non lo capivano di côlta. Tu puoi ben credere, che questo aere di bizzarria diffondendosi intorno a lui aveva a lungo andare viziato tutta la famiglia, tranne Betta puritana settatrice delle cose semplici semplicemente significate; sicchè i suoi domestici si mostravano tutti uomini nuovi favellanti per via di traslati, d'iperboli, e di metafore nelle più bizzarre maniere del mondo; le quali cose o per contradizione o per altro avevano abilità di rallegrare mediocremente Orazio, e qualche volta lo affliggevano, come accadde un dì, che uscendo di casa in compagnia del signor Bastiano gli si pararono su l'uscio acculattati il gatto Maccabruno, e il cane Tobia, dei quali quello i domestici avevano vestito da gesuita, questo da gendarme. Orazio si fermò a guardarli tutto arruffato, e al signor Bastiano che ne sghignazzava disse severo:
- I miei servi mi hanno oltraggiato, perchè mi credono capace di aprire canova di civiltà, avendomene messo la insegna su l'uscio. - I poli della civiltà, almeno per ora, sono il gesuita e il gendarme.
Egli aveva composto parecchi libri, e quasi tutti o scritti o meditati in prigione, cui egli levava a cielo, e metteva in cima di ogni altro istituto letterario: affermava, che messere Francesco Berni, nel suo capitolo del Debito, non era giunto a dire nè manco mezzo dei mezzi i grandi beni che ci si trovavano dentro, e questo non per difetto d'ingegno, che il dabbene uomo aveva sortito dalla natura pari al cuore, bensì perchè ai tempi suoi la prigione non era arrivata al perfezionamento che tocca oggi. E poichè la materia lo merita, non fia grave udire, come un tratto sponesse questo suo concetto. Accadde un dì che il signor Bastiano gli portasse a casa un diario inglese dove occorreva narrato il fatto seguente: in Londra la pubblica carità aveva istituito certa consorteria di cui lo scopo consisteva sovvenire alle fanciulle traviate; preside di questa una gentildonna proprio di quelle, che hanno la prima tacca sul mille, alla quale certa volta si presentava una meschina che con le lacrime agli occhi e il viso rosso espose: lei, e la madre sua trovarsi ridotte a miserie estreme; fin lì essersi schermita lavorando giorno e notte; adesso mancato il lavoro non avanzarle altro scampo, che accettare il prezzo della vergogna, la quale con insistenza diabolica le veniva offerendo una rea femmina: quanto a sè avrebbe preferito annegarsi nel Tamigi, ma la tratteneva il pensiero della madre inferma e vecchia... deh! per lo amore di Cristo la salvasse dalla disperazione. La gentildonna, continuava il diario, avere ascoltato la desolata con uno stringimento di cuore da non potersi dire, ma osservando le regole dello istituto averle dovuto rispondere: figliuola mia, a me non è concesso soccorrere altro, che le pericolate, e tu sei pericolanda; fa una cosa, va prima a pericolare e poi torna, e credi che non ci sarà aiuto, che tu non possa sperare da me; tanto mi hanno tocco la tua modestia, la tua verecondia! - E qui Bastiano non rifiniva di pestare mani e piedi imprecando alla stravaganza inglese, alla pedantesca ipocrisia, alla crudeltà dei cuori saccenti, e a un flagello di cose peggiori, se peggiori tu puoi immaginarle. Or pensa com'egli avesse a rimanere, quando al termine della sua filippica, e giusto nel punto in che si asciugava il sudore, sentì esclamare Orazio:
- Grullerie! grullerie!
- Come grullerie! urlò il signor Bastiano fuori dei gangheri.
- Ma sicuro, grullerie, perchè, Bastiano mio, se intendi crepare arrabbiato non hai mestieri di uscire di casa: tu avresti dovuto arrabbiare già da un pezzo, e per cose domestiche: questa sarebbe stata almeno rabbia patriottica. Dà retta, che io ti vo' chiarire, a patto che tu cessi di farmi gli occhiacci, e ti ponga a sedere. Conosci tu il giardino dove la Filantropia coltiva i suoi fiori con lo studio, che altra volta mettevano gli Olandesi a educare i tulipani? Lo conosci?
E siccome Bastiano s'impazientava, Orazio si affrettò ad aggiungere:
- Parlo della prigione in genere, e dei penitenziarii in ispecie. La civiltà gli ha ai giorni nostri ordinati in modo, che il popolo se vuole essere tenuto per carne battezzata, per creatura di Dio, per fratello degli altri fratelli del genere umano, per anima insomma, bisogna che si risolva ad ammazzare una mezza dozzina dei suoi simili, senza premeditazione s'intende, o per lo meno a sfondare un magazzino. Ecco il figlio del popolo onesto; cammina la notte co' piedi nella neve, e sopra il capo ha neve, nè alcuno lo ricovra sotto il suo tetto; ha le mani crispate dal freddo, i piedi dolorosi dai pedignoni e non trova chi gli faccia luogo al caldano. Chi lo ricopre ignudo? Chi lo sfama? Chi lo disseta? Chi...? Certo, certo qualche cuore che non sia di pietra il poverino così di tratto in tratto lo trova... Diavolo! non siamo mica tutte bestie. Ma nota la diversità che passa tra il ladro e l'onesto. Il ladro, che ignudo e assiderato dal freddo rubò nel bel mezzo di un giorno di gennaio, venuto in mano dei giandarmi, veri angioli custodi della società, per evitare scandali si trova prima di tutto ad essere messo in carrozza dandogli il posto di dietro, e questo è già un diletto che in vita sua il meschino non aveva provato mai; condotto al penitenziario, cominciano a ficcarlo nel bagno caldo, ed anco questo gli giunge insolito piacere; poi lo puliscono, e questo pure gli avveniva fare da sè di rado, per opera altrui giammai; gli tagliano i capelli: quando era onesto, per non avere di che pagare il barbiere, gli toccava andarsene zazzerone; lo rivestono, ed ecco la veste, che non gli avevano mai dato la carità e il lavoro, gliela dà il delitto: ha stanza, ha letto, ed, oh meraviglia! strapunto ancora, e lenzuoli, e coperte; all'ora debita pane, minestra, carne e vino. Ch'è questo mai? Pargli sognare, si frega gli occhi, e torna a guardare; sì signore, egli non si è punto ingannato; cotesti sono veri e vivi, pane, minestra, carne e vino. Allora piglia al cuore del disgraziato un pensiero molesto: che avesse proprio sbagliato a dare retta fin lì ai ricordi di sua madre, ai rimproveri di suo padre, ed agli ammonimenti del parroco? Il cammino del galantuomo fosse quello appunto che menava dritto dritto alla rovina? Sente la contrizione, che gli si abbriva addosso, e cascando giù di sfascio recita il confiteor e al meo culpa si dà botte nel petto da spaccare un muro maestro per avere resistito fin lì alla vocazione, che lo tirava al ladro. E dopo il primo giorno le faccende vanno di bene in meglio; da un lato pigliano a educarlo nella lettura, nella scrittura, nell'abbaco e se più ne vuole, e più gliene versano; in qualche bella arte l'istruiscono ancora dandogli agio di perfezionarsi col non curare il guasto che si mena della roba sul principio, però che chi non fa non falla, e dove onesto e libero gli avrebbero rotto il regolo sciupato sul capo, e dato un calcio che lo spingesse a ruzzolare in mezzo alla strada, adesso ch'è ladro gli mettono in mano un altro scorcio di tavola, e lo correggono con carità. Anche i suoi buoni maestri di morale non mancano: veramente e' stanno lì per rammentare il proverbio: chiudere la stalla quando sono fuggiti i bovi; ma non fa caso, tanto glieli danno; nè basta ancora; letterati di conto e insignis pietatis viri, come sarebbe a dire preti e frati, che incontratili onesti per la strada lo avrebbero fuggito come il bufalo che cozza, adesso si degnano trattenersi in geniali colloquii con essolui sostenendo valorosamente l'assalto così delle cimici come delle pulci annidiate dentro le celle dei ritenuti, quanto granatieri della vecchia guardia, la mitraglia di un ridotto: e non si fermano nè anco qui; che uscito di carcere il nefario è messo sotto la protezione di qualche valentuomo, il quale lo accomoda presso operai di sua conoscenza perchè apprenda utili mestieri, e col vigilarlo, ammonirlo, soccorrerlo, e persuadere i maestri a tenerlo con garbo, s'industria a farlo diventare persona agiata. Che se i patroni non riescono, non si può dire senza ingiustizia, che la colpa sia loro. Dunque cessa di arrovellarti, e vedi come la migliore strada anco tra noi per diventare qualche cosa nel consorzio civile (per dirla co' Dottori) sia appunto il passare per la trafila della prigione: di tanto poi mi piacque chiarirti, Bastiano, come per chiosa a quel detto del santo evangelio, che non bisogna montare su i trampoli per isbeffare il fratello che ha il bruscolo nell'occhio, mentre nel suo ci sopporta una trave maestra: il meglio, Bastiano, che possano fare gli uomini consiste nell'adoperare carità gli uni verso gli altri, e pregare Dio, che ci renda tutti più buoni, o per lo manco meno tristi.
I libri, che Orazio stampò, furono mai sempre volti ad accendere i petti degl'Italiani allo amore della Patria e della Libertà, e in questo meritavano lode non fosse altro per la intenzione; gl'incresceva avere a mescer l'odio nei suoi inchiostri, e più nell'anima sua; ma con Vienna e con Roma e con certi amici suoi peggiori di Vienna e di Roma messi assieme, e fattone tutto un pesto, non sapeva quali spedienti, oltre quelli suggeriti dall'odio, potessero giovare; però picchiava, e picchiava forte, quale incudine sul martello, e certo non era stato per lui, se, all'ora che faceva, Vienna e Roma non si trovavano ridotte in cenere: quanto ai nemici suoi avrebbe desiderato vivessero, e si pentissero, ma non ci vedeva verso; però gli raccomandava a Dio o al Diavolo secondo il merito; comecchè andasse più che persuaso che quanto a raccomandarli a Dio gli era fiato perso. A parte il concetto, furono celebrati sopra modo i suoi libri per la vaghezza dello stile colorito, e per la lingua a quando a quando popolesca e vispa, o curiale e solenne: e anch'egli dalla corrente fu portato al Campidoglio, e salutato anch'egli da plauso infinito, e davvero tanto ei fu sciaguattato, che, se non dette la volta e diventò aceto, fu miracolo, e fece prova di essere vino di Chianti, ma non di Broglio, che questo è fumoso, e sfonda lo stomaco. - Non si ha però da credere che in questo suo trionfo mancassero le scede, e i vituperii come nei trionfi romani, ma tanto non sapevano, o non potevano dire in biasimo suo, ch'egli non ne dicesse due volte più da sè.
"O povera, povera Patria, egli sclamava talora, smorto in viso e con voce piagnolosa, a quali stremi condotta! Ora conosco sì che tu se' prossima al fallimento, e in procinto proprio di dare del sedere sul lastrone, se ti tocca a mettere fuori questi fondi di magazzino pel tuo meglio! E dove prima ponevi in mostra nelle tue bacheche broccati d'oro, velluti finissimi o per lo meno damaschi, ora hai di catti e sporci bigelli e frustagni." Ciò non pertanto aveva in uggia i critici, anco i buoni; perchè aveva visto di rado, che non patissero tutti il vizio del mestiere, ch'era la saccenteria; o non si poteva capacitare come cervelli, che alla prova del fare riuscivano male e poco, presumessero insegnare altrui le ragioni del far bene. Se poi il critico oltre al mostrarsi benevolo spettava alla specie di Brunellesco, che, sfidato da Donatello a scolpire meglio il Cristo, glielo lavorò tale da fargli cascare per istupore le uova dal grembiale, allora gli si cavava di berretta, e gli baciava la mano.
Però giudiziose o no gli apparissero le censure, benevole o maligne, non se ne tormentava mai; se ci era da cavarne costrutto le notava, se no lasciava correre tre pani per coppia; quanto poi alle presuntuose, alle gaglioffe, o alle maligne, una volta gli vidi pigliare con le molle del caminetto cento fogli della Gazzetta Piemontese e buttatigli sul fuoco non disse altro che questo: - Scorpione! -
Potrei aggiungere molte cose sul conto del signore Orazio, ma se non giudico male, quelle che ho dette penso le abbiano a parere anche troppe, e fo punto.