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Francesco Domenico Guerrazzi Racconti e scritti minori IntraText CT - Lettura del testo |
V
Betta, riportami il thè.
Il giovane con impetuosi passi si fece verso lo zio, e giuntogli appresso gli si genuflesse davanti, prese, a lui male repugnante, la destra, gliela baciò, e bagnò di pianto. Il signore Orazio non sapeva in che mondo si fosse; capiva, che il suo dovere era mostrarsi non pure sdegnato, ma acerbo; si sforzava ricondurre sotto la bandiera l'ira con gli occhi insanguinati, la contumelia con le labbra gonfie, e il terrore co' capelli ritti a mo' d'istrice che abbia visto i cani, ma l'erano novelle; tutte queste cose scappavano quanto più le chiamava, e ormai si sentiva disposto chinarsi alla capitolazione, ed abbracciato il capo al nipote sfogarsi in lacrime sopra di esso, quando per ventura venne a posare la manca su l'orlo del vasoio dove stavano tazze, zuccheriera, e bricco del thè ormai freddo da un pezzo; il vasoio messo a leva rovesciò bricco, tazze, e zuccheriera, ogni cosa a rifascio sul capo al figliuolo prodigo; e' fu un battesimo di thè, di latte, e di zucchero. Allora Orazio, rompendo in uno scoppio di risa si mise in ginocchio: ridendo dopo di lui s'inginocchiarono Betta, Orsola, Lorenzo, ed Antonio, e tutti insieme presero chi ad asciugare il pavimento, e chi a raccogliere i frantumi delle tazze, sovente toccandosi con le mani, e qualche volta cozzandosi con la testa. Intanto Orazio prolungando ad arte cotesta faccenda andava mulinando fra sè: che dirgli? come parlargli? lo rispingerò? lo abbraccerò io? cuore di pasta frolla, non sapevi essere ardui i doveri paterni? perchè ti recasti sulle spalle la dignità di padre? perchè la tieni se te ne senti indegno? Non capisci che dalla costanza tua, o dalla tua debolezza può dipendere la sventura, o la onorata vita di questo giovane? Fa di cuore rocca e rimandalo là donde è venuto... Sicuro è detta! dopo il Fiscale della coscienza, entrava a dire l'Avvocato. - E poi dopo avere riso, dopo averne toccate le mani, dopo averlo ribattezzato col thè, col latte e con lo zucchero? O il battesimo non lava tutte le colpe? Asperge me hyssopo et mundabor; e se David ci mise l'isopo e non il thè, ciò accade perchè il thè ai suoi tempi non usava.
E Orazio, giù carpone per terra, chi sa quante belle cose avrebbe discorso su questo gusto, se ormai diligentemente rasciutto il tappeto, raccolta ogni scheggia, comecchè minutissima, non si vedeva tolto ogni onesto motivo di rimanersi giù per terra mentre si erano rilevati tutti; si drizzò pertanto senza neppure avere deciso, se nel volgere il discorso al nepote avrebbe adoperato il lei, o il tu; o il voi.
Qui gli occorse nuovo ostacolo alla politica bellicosa, dacchè vide Betta, che preso con ambedue le mani il capo di Marcello ci teneva su fitte le labbra come se volesse bevergli il cervello.
- Ecco lì, egli pensò, costui mi ha sciupato ogni cosa... e non gli pareva vero, che fosse ita a finire a quel modo; però cotesto toccare terra gli aveva fatto bene; gli aveva dato forza per perdere come successe ad Anteo di mitologica memoria, onde con voce tra fosca e chiara disse:
- Marcello, voi avete sbagliato, il numero tre dista due unità dal numero cinque...
- Zio, ella ha dieci volte ragione: ma ecco ciò che mi ha persuaso a tornare; si compiaccia seguitarmi nel mio ragionamento...
- Tira innanzi a ragionare... arri! e ringrazia Dio, che non ci ho la frusta.
- Io mi sono fatto a dire: lo zio Orazio accoppia a cuore amante ingegno eletto; quindi non è da supporsi nè manco per ombra ch'egli siasi innamorato del numero cinque; no davvero. Parve a lui, che non ci avesse mestiero di minore spazio di tempo per raddrizzare le gambe ai cani, voglio dire il cervello di suo nipote; ma se questo nipote gli tornerà in casa innanzi cotesto termine e gli mostrerà buttando carte in tavola, che senza pretendere di essere esposto alla venerazione dei fedeli come uno stinco di santo, può stare come un altro nell'arciconfraternita dei galantuomini secondo la stagione che corre, lo riceverà a braccia quadre, e gli dirà: tu sia benedetto!
- Eh! Eh! e durò un pezzo a tossire Orazio prima di rispondere; ma chi avesse potuto vedere in viso cotesti eh! gli avrebbe scorti rossi per la vergogna, essendo altrettante bugie della gola adoperate da Orazio per pigliare tempo; all'ultimo disse: eh! cotesto tuo discorso starebbe in isquadra, ma io non so sopra quale fondamento riposi; chi mi malleva che non mi torni a casa furfante come prima, più la sfrontatezza per giunta?
- Io vi mallevo.
- Tu ti presenti a me come nel Metastasio Ezio all'imperatore Valentiniano quando gli dice cantando:
"Signor, vincemmo ai gelidi trioni."
Ed ora mi rispondi come Medea quando nella tragedia sentenzia:
"Or che resta a Medea? - Medea."
Tutto ciò mi chiarisce, che hai letto il Metastasio e il duca di Ventignano, non già che tu sii migliorato!
"Non son chi fui:
(rispose Marcello declamando sempre a mo' d'istrione)
morì di me gran parte.
Se quel che avanza è roba dozzinale
Un po' di studio ci adoprando, e di arte
Spero direte; e' non ci è ben nè male."
Questo in rima; in prosa le ripeto, che tengo carte in mano...
- Ora dimmi via, qua! fu il santo, che operò su te un miracolo tanto miracoloso? Nominalo tosto. - che io gli mandi ad accendere i moccoli ai piedi.
- E' non fu un santo...
- Dunque?
- E' fu un buco.
Il signor Orazio spiccò un salto come un ranocchio di legno, lieto trastullo dei bambini, e sentì la bile tornare a gonfiargli i precordii, nel sospetto di essere cuculiato dal protervo nepote; ma guardatolo così a squarciasacco gli apparve tanto ingenuo, e rispettoso in vista. che subito cadde in apprensione gli si fossero spigionate le soffitte; onde è che percosso da questo pensiero proruppe in un grido, chiamando: - Betta! Betta!
Betta rimescolata gridò:
- Ch'è accaduto, signore?
Orazio additando Marcello con faccia sgomenta, continuava:
- O Betta! Ecco là Marcello, che pretende di essere guarito dagli antichi vizi, meglio del lebbroso che si tuffò nella piscina, - ma non in virtù della piscina, bensì... o Dio... Dio... in virtù di... un buco. E qui il degno gentiluomo coprendosi con ambedue le mani il volto singhiozzava...
Ma Betta lì pronta prese a dire: - in verità io non vedo in questa faccenda motivo di maravigliarci e molto meno di sgomento; un buco può fare molto bene, e molto male; venga qui, signore Orazio, sia benedetto; la si figuri la buca delle lettere, e consideri quante cose buone e quante cattive la può portare; una sfida al duello, una carta d'ingiurie, l'avviso di un incendio, di una seduta accademica, di un accidente e via discorrendo; per altra parte una rimessa di quattrini, il saluto di un amico, l'avviso di un matrimonio, un decreto di assemblea che ti dichiari benemerito della patria: quando vostra signoria era giovane, un invito... mi capisce - e se più ne ha più ce ne metta: però mi sembra dicevole alla sua prudenza ascoltare con pacatezza il giovane, e poi secondo ciò che egli le verrà esponendo, governarsi secondo il suo buon giudizio.
- Ah! tu sei la linea retta del buon senso, o Betta. - Marcello - poi disse Orazio agguantando il nepote pel braccio - tu m'hai a promettere una cosa sul tuo capo.
- Che cosa, zio?
- Quando Betta morirà, che intendo e voglio sia dopo di me, tu me la impaglierai, e riporrai nello studio.
Per questa volta era Marcello che dubitò che lo zio avesse dato nei gerundii, onde non senza esitazione domandò:
- Impagliare Betta! e perchè?
- Perchè in Arquata sopra la soglia della casa, che fu del Petrarca, mostrano la sua gatta impagliata come il genio del luogo; questa non mi sembra, e non è da filosofi: mentre tu mostrando ai curiosi Betta impagliata nel mio studio potrai dire: - vedano signori, cotesta donna quando viveva ebbe giudizio per dodici gatte, e per ventiquattro donne, - e, se ti parrà - potrai aggiungere - e di uomini, sì in verità, di uomini, compresi tu ed io.
Poi ridivenuto blando Orazio riprese:
- Marcello, tu non t'impermalirai se non pago la cambiale, che tu hai tratto a vista sopra la mia fiducia; io non ho assegnamenti di tuo in mano, lo sai?
- Lo so; così intendeva farle pagare lo assegno solo dopo ricevuta la merce, ma ei non mi ha dato tempo di sbarcarla nè anco; - si compiaccia rammentarselo. Dunque, ella prima mi ascolti, e poi mi condanni.
- È giusto! disse Betta. -
- È giusto! soggiunse Orazio, anzi per udirlo a bello agio, Betta, non ti sia per comando, riportami il thè.
E il thè fu portato, e versato fumante nelle tazze, ma prima che Orazio e Betta se lo accostassero alle labbra, Marcello incominciò:
- Arrivai a Milano, dove non mi presi briga alcuna d'informarmi quante miglia distasse da noi l'Australia, contentandomi sapere, che l'erano troppe più di quelle, che io volessi fare; e poichè mi paragonava ad una nave lanciata, seguitai lo impulso che mi pareva avere ricevuto, non ismettendo punto, anzi crescendo le spese: se però mi venisse attorno quella specie di farfalle, che invece di consumarsi le ali passando di mezzo al fuoco lo consumano: pensatelo voi; ce ne fu di ogni maniera antica; se qualcheduna nuova, tra queste principale il perseguitato politico; io ebbi modo di cavarne per mio uso il ritratto, e glielo mostro. Stia attento.
Il perseguitato politico per ordinario porta i capelli corti alla soldatesca, i baffi idem; gli uni e gli altri lustri di grasso, profumato o no, non importa; ma per lo più sa di sego; in guisa che per questo la sua età non apparisce giusta; vero cannocchiale per gli anni, ora li sfodera a cinquanta, e, se gli torna, anco a sessanta; se no gli ritira fino a trentacinque, ed anco a trenta; e se una donna cinquantenne gli osserva: - come siete giù! vi avrei giudicato più attempato; egli sospirando risponde: - Ah! madama, per le angoscie del cuore l'uomo invecchia presto; possa non provarle ella mai, madama, le pene del cuore. - Allora madama trova, che egli può benissimo avere trent'anni soli, ed anco meno.
Egli veste un abito abbottonato fino al sommo del petto, e talora ci si vede una cima di nastro; e se gli venga domandato a quale ordine cavalleresco appartenga, ne dirà uno di Portogallo, o turco, o tunisino; anche la persona egli tiene su rigida come uomo avvezzo agli esercizj militari: quanto al fumo sembra perpetuamente in gara con la cappa del camino di una vaporiera: adopera il sigaro; più sovente la pipa; anche, sembra nato gemello con lo stipite del caffè, donde si muove solo per accompagnare i suoi conoscenti al tavolino per bere con esso loro di tutto e sempre; poi torna al posto; egli entra in tutte le liti, di tutti i duelli è il padrino; se riesce a comporre in pace i duellanti è bene; se non riesce è meglio; solo, questa giustizia bisogna rendergliela, procura che non seguano mai morti; e se prima dello scontro non era amico di veruno dei litiganti, lo diventa senza fallo dopo di tutti e due; quando si viene a discorrere di casi successi egli è tomo di dire come il conte di San Germano, allorchè presero a contrastare in sua presenza di un fatto accaduto alla corte di Luigi XIV cento anni innanzi: - no signori, non andò così, e lo so perchè mi ci trovava, o, anzi stava allato di lui col candelliere in mano.
Difatti egli era a Saragozza quando la presero di assalto i Francesi, e vide proprio co' suoi occhi veggenti scrivere al Palafox il famoso biglietto: guerra a coltellate! - Mina, il Pastor, il curato Merino gli ha tutti su le dita. In Grecia si trovò a sostenere cadente il povero Santorre Santarosa a Sfacteria, e fu per lui se si conservò il ritratto dei suoi cari; ch'egli a furia di baci stinse mezzo la vigilia della battaglia48; e chi tenne per le falde il vescovo Germanos mentre si buttò di sotto dalla torre di Missolungi, se non egli? E lo salvava se la tonaca di quel degno sacerdote non era troppo logora, sicchè sul più bello gli si strappò in mano. Egli a Marco Botzaris suggerì un'insidia, a Miauli un colpaccio disperato, con Canari entrò nei brulotti co' quali andarono a bruciare i vascelli turchi, ambedue spensierati, e alla carlona come quando si accende il sigaro.
Quanto più ci accostavamo alle nostre parti tanto più si mostrava discreto: si era però trovato co' fratelli Bandiera, ma per amore di Dio non lo dicessero: nelle cinque giornate di Milano egli fu la mano destra di Carlo Cattaneo: ma avendo preso cura d'imbrattarsi il viso, non era stato riconosciuto da nessuno. Si afferma sviscerato di Kossuth; fratello di Mazzini; di quei di Francia non si discorre nè manco. - Donde viene egli? Secondo i paesi dove si trova muta polo. In Ispagna fu italiano, in Italia spagnuolo, ma a volta a volta ora esce di Sassonia, ora di Moldavia, ora di Valacchia: e non lo tradiscono i costumi, nè la favella, perchè fantino fu tratto di casa, e i genitori lo lasciarono presto orfano, e poi la lingua francese è lì per torre via ogni originalità, come il bianco di calce per imbiancare qualunque segno sopra la parete. Per quale diavoleria con tutte queste cose che io dico, e molto più con quelle che io taccio, egli sia stato e si rimanga a Milano, pare proprio un miracolo, e miracolo maggiore, che la polizia non abbia preso lingua delle sue parole, ch'ei studia moderare, ma che pure basterebbero, anzi ne avanzerebbero mezze per condurlo diritto come un fuso allo Spilbergo, o in qualche altra villeggiatura di S. M. Apostolica.
Siccome il proscritto politico fa professione di comunismo pratico, non teoretico, ed afferma di più avere versata in altri tempi la sua messe nella borsa comune con tanta generosità, che nè anch'egli, pensandoci sopra un giorno, saprebbe dire a quanto mai ascenderebbe, e ciò credo ancora io; basti questo che a lui non rimase più nulla; e che non possieda più nulla è verissimo, ed io lo so ch'egli prese a esercitare sopra le mie povere robe un saccheggio regolare quotidiano, con tutte le regole dell'arte. La mia guardaroba non si trovava tanto fornita, che potesse resistere a simili assalti; ma lo fosse stata il doppio e il quadruplo, in capo ad una settimana avrebbe dovuto votarsi. Inasprito un dì, che io lo vedeva mettersi in tasca il mio penultimo paio di calze, gli dissi corna; ma egli mi volse uno sguardo di pietà, e avvoltosi superbamente nelle pieghe del mantello, che mi aveva preso, rispose: - pur troppo prima d'ora mi sono accorto, Marcello, che da te non ci sarebbe stato modo di cavarci niente di buono: le vie della perfezione stanno chiuse irrevocabilmente dinanzi ai tuoi passi: - tu porti il nome del nipote di Augusto, primo tiranno di Roma; tu non potrai essere buon repubblicano mai. - Così favellando usciva, e indi in poi mi fu facile levargli di sotto qualche cosa di mio come pelare i capponi, che Lorenzo ci mette in tavola lessati. Però devo confessare, e veda, zio, lo faccio senza corda, non fu il solo genere mascolino che provai infesto; io ebbi a sostenere la guerra contro tutti i generi della grammatica; il femminino quanto il mascolino, ed anco il neutro mi volle dare la sua zampata; che certo prete mi portò via venti svanziche per non so qual messa pei morti di Curtatone e di Montanara. Io, deve sapere, signore zio, ebbi mai sempre trasporto alla dinamica; onde mi posi a considerare, con l'attenzione che per me si poteva maggiore, lo strano perturbamento che giusto adesso si operava nelle sue leggi; per ordinario se piglia una tavola, e la mette in bilico, quanto più aggraverà di peso una delle cime tanto più si leverà l'altra; ora della dinamica dei quattrini conobbi, che la faccenda cammina non solo diversa, ma contraria; difatti in proporzione che il peso dei marenghi scemava da un lato il giudizio saliva dall'altro: tanto e' si era levato in alto che fin là credo ei non vi sia giunto prima, nè giungerà poi; anzi mi parve miracolo che non gli pigliasse il capogiro. Il giudizio dal sublime soglio, dove lo aveva sospinto la imminente miseria, schierò dinanzi a sè i miei marenghi, come si dice che costumasse Serse i suoi soldati prima di entrare in Grecia, e conobbe che bisognava affrettarci a ingaggiare la battaglia, se non voleva rilevarne una batosta irreparabile quanto vergognosa. Dato il segnale, ecco comparire sul campo in acie ordinata il locandiere, la lavandaia, il sarto, il caffettiere, il calzolaio, eccetera, armati fino ai denti dei loro conti, e fulminarmi col fuoco di fila delle somme finali: combattei al pari di Leonida, giacqui, risorsi, e grondante sangue per mille ferite rimasi vivo e vittorioso, pagando, come talvolta anco nei tempi moderni è accaduto a qualcheduno49. Rassegnando i miei dopo la battaglia vidi che mi erano rimasti giusto otto marenghi, e per istrano caso un Napoleone I, un Luigi XVIII, un Carlo X, un Luigi Filippo, una Repubblica, un Carlo Alberto, un Vittorio Emanuele, un Napoleone III. Due imperatori, cinque re, e una repubblica per 160 franchi, non era caro. Però essendomi agguantato il capo con le mani per bene contemplarli, o cavarne i responsi, mi parve che Napoleone I prendesse a movere le labbra, e subito dopo un suono metallico mi percosse le orecchia, il quale diceva: "nè senno, nè fortuna, scompagnati dalla giustizia fondano cosa durevole, ed io fui ingiusto, vinsi battaglie inani, feci del papa una statua di marmo, che poi cascatami addosso mi schiacciò i calli: il trono comecchè coperto di velluto rosso. andava composto di ossa umane slegate, onde mi scrollò sotto, e battei del postione su la terra; infelicissimi casi! Ma di tutti più infelice l'ultimo, quando dal pulpito di Santa Elena mi strinse il bisogno di predicare alla terra, affinchè mi amasse, mi ammirasse, o almeno compiangesse; predicai al deserto, e il deserto delle acque provai più desolato del deserto di arena; imperciocchè questo taccia sepolto in silenzio di morte, mentre l'altro rompendosi nelle roccie col suo perpetuo fiotto parve irridermi dicendo: bugiardo! bugiardo!"
Io stava per blandire cotesto marengo afflitto, quando entrò in quel punto un ultimo avversario a darmi di uno stocco nel petto.
Ma sopra ogni altro feritore infesto
Sopraggiunge Tancredi e lui percote.
Però non era Tancredi, bensì il lustratore di stivali... allora il fiero capitano s'involò nelle ombre delle tasche del lustratore in compagnia di una svanzica, di una mutta, e di tre centesimi parmensi, che gli tennero dietro come le tre furie a Oreste parricida. Tantæ molis erat saldare il conto del lustratore degli stivali.
Mi volsi per consolarmi a contemplare la faccia canonicale di Luigi XVIII, che ammiccatomi alquanto degli occhi con un risolino susurrò: "e' si danno tempi, figlio mio, in cui salutare gli uomini col nome di bovi, sarebbe dargli metà meno del loro avere; così vero, che i bovi bisogna strascinare al macello, mentre che gli uomini si arrabattano a darti carne, ossa, pelle, e corna; e se tu non gli pigli, si arrapinano; tu bada di accettare dall'uomo dopo cena quello che ei non ti avrebbe donato prima di colazione; non mica perchè egli non ti abbia a ridomandare anco questo, un giorno o l'altro, ma sì perchè tu glielo potrai restituire senza incomodo anco co' frutti; mentre se pigli troppo, ti fia grave renderlo con gl'interessi o senza; ed egli spogliato di tutto vorrà troppo più, e con modi più acerbi, che se in parte tu lo avessi lasciato vestito; di questo ti faccia testimonianza il gramo marengo del mio successore, il quale in fede di gentiluomo non so come la gente duri a barattare per venti franchi come il mio; tu però non gli domandare niente; tanto lo ingrullirono le donne e i preti, che se tu lo interroghi intorno ai negozii di Stato, egli è capace di risponderti: ite, missa est". E continuando il suo risolino concluse recitando i versi di Orazio sua delizia:
Nos ubi decidimus
Quo pater Æneas, quo dives Tullus et Ancus,
Pulvis et umbra sumus.
Luigi Filippo mi disse pensoso: "giovane, impara; io ho creduto, che se fossi giunto a ridurre il mio regno nella formula: ecco io sono il vostro pane e il vostro vino, la umanità mi avrebbe battuto le mani per omnia sæcula sæculorum; ho sbagliato, l'uomo non è materia affatto, nè affatto spirito, nè in qualsivoglia condizione il consorzio umano fu così tristo, che tanto o quanto non si dovesse attendere a soddisfare lo spirito, o così sublime che ci assolvesse da qualunque cura della materia. Tu stima gli averi al pari di tutte le cose che possono direttamente procacciarti: non gli stimare sopra, nè di più di quelle cose che non valgano a procurarti. I quattrini ti compreranno un buon desinare e un letto soffice, non ti compreranno la buona reputazione, e la coscienza incolpevole, madre dei sonni tranquilli".
Il marengo della repubblica rappresentava tre figure un po' logore, due di femmina, forse la libertà e la uguaglianza, sposate da un terza in sembiante di uomo incamuffato con la pelle di lione, la coda del quale gli spenzolava giù per le gambe: ahimè! già a vederlo solo questo simbolo mi dava il mal di mare. La figura di mezzo mi parlò in questa sentenza: "a volere fondare una repubblica che duri, bisogna che la libertà e la uguaglianza sieno coniate nel cuore dei cittadini, non già su le monete di argento e molto meno sopra quelle d'oro; e perchè appunto l'erano coniate su le monete non albergavano nei cuori, onde qui non fummo mai, e di costà cominciamo a sparire".
Difatti, risposi io, la cosa, che adesso mi apparisca più chiara di questa impronta è la coda, che pende di fra le gambe a te.
"La logica, soggiunse la figura, è l'aritmetica delle azioni umane; ognuno presume sapere che l'undici viene dopo il dieci, e pure pochissimi al cimento dimostrano saperlo. Tu procura principiare sempre dal principio, e quando ti affermano, che due e due fanno quattro, prima conta due volte su le dita toccandoti una volta le labbra e l'altra il naso."
- Sarà servita, risposi io.
Carlo Alberto passò senza far motto; solo pareva tentasse voltarsi addietro per vedere, ma il collo di metallo non gli consentì il moto; allora mi parve che sospirasse, ma non lo posso assicurare; venne la volta di Vittorio Emanuele. Signore, che conio! Chi scolpì la effigie di questo re sopra le monete può vantarsi di essere maestro e donno di quanti mangiano a tradimento il pane dello Stato; certo è, che il re non potrebbe dire a questo operaio, quello che disse Carlo V quando raccolse il pennello a Tiziano: "maestro, voi mi avete dice pinto un ritratto da amico; le donne che s'innamorassero di me sopra la vostra effigie, corrono rischio di disamorarsi sul mio originale". Il marengo di Vittorio Emanuele anch'egli, acqua in bocca; solo mentre io lo considerava udii come se una voce mi susurrasse nell'orecchio destro:
Lunga promessa.........
Mi voltai per vedere chi fosse quegli, che mi era venuto dopo le spalle, e non iscorsi persona; ma intanto che piegava il collo per mirare Napoleone III, dal quale mi riprometteva udire mirabilia, ecco la voce bisbigliarmi all'orecchio sinistro da capo:
.......coll'attender corto.
Da capo mi voltai e rivoltai, e persi a un punto la vista dell'ente arcano, che recitò in due parti il verso di Dante, e le parole del marengo rappresentante Napoleone III, il quale colto il destro si era messo in mucchio con gli altri, allegro in vista, come uomo che sia passato dalla porta senza pagare la gabella della carne macellata che ha sotto.
Questo mi dissero i sette marenghi; dopo ciò statuii tenermeli cari come i sette sapienti della Grecia, e poichè pur troppo prevedeva, che avremmo dovuto separarci, volli ordinare le cose in maniera, che questo accadesse più tardi che fosse possibile. In tale intento licenziai la stanza all'albergo, e mi posi in cerca di un ricovero, il quale trovai tosto intorno al Duomo al primo piano cominciando a contare dal tetto; e mi piacque per tre cose: la prima fu un abbaino nella sala, dove affacciandoti montato sopra una sedia tu potevi fare all'amore con le tante piramidi del Duomo; la seconda, ch'era imbiancata di fresco, e così immacolata per virtù del pennello dello imbianchino, quanto la nostra Donna lo fu in grazia del sommo Pontefice Pio IX: la terza una finestra nella cucina, donde in venticinque minuti, facendo forza di braccia si poteva attingere un litro di acqua nel pozzo sottoposto; ebbi letto, ebbi una seggiola con tre piedi, e non mi dolse, rammentandomi che anco la Sibilla quando dava i responsi si metteva a sedere sul tripode; una catinella incrinata, una mezzina senza manico; mancavano i candellieri, ma ciò non fece ostacolo; praticando il mondo aveva visto come le boccie servano a illuminare le genti piene e vuote, vive e morte, e ciò a differenza dei cinque quarti e nove decimi della umanità che viva non fa lume, e morta anche meno: però sebbene io stessi unicamente non potei dissimulare a me medesimo, che pure qualche cosarella mancava...
- Marcello, sono dieci minuti, che io ti ascolto, mentre il pensiero mi ondeggia tra il bevere questa tazza di thè, e lo scaraventartela nella testa.
- Dacchè ella ha avuto la bontà di consultarmi prima, il mio parere sarebbe che se la bevesse...
- E il buco com'entra in tutto questo?
- Come! ci siamo vicini, e non se n'era accorto?
- Sospendo fino al buco; poi, uomo avvisato mezzo salvato.
- Dunque precipito il racconto, e taccio come ruzzolassi le quattordici scale del mio nuovo domicilio; sceso al piano comprai fiammiferi, comprai stovigli, e siccome passando di su una piazza vidi che un mercante vendeva stampe all'aria aperta per venti centesimi il pezzo, mi prese vaghezza di decorarne con qualcheduna, che più mi andasse a genio, la stanza; mentre io vagava coll'occhio tra un vero giardino di apostoli, martiri e confessori, ecco percotermi il volto della immagine della Madonna, uguale, a mo' che gocciola somiglia a gocciola, al ritratto della povera madre mia...
Qui il giovane sostò alquanto con la voce, che la commozione gli strinse la gola, e gli occhi si empirono di lacrime. Orazio, che teneva sempre in mano la tazza, corse furiosamente a cercare il moccichino, e si soffiò a più riprese il naso o finse. Marcello rimessosi in sella continuò...
- Sì signore, tale e quale la madre mia, e terminate le spese, tornai a casa col fattorino, che mi portava la valigia. In dieci minuti e sedici secondi aveva dato sesto ai miei appartamenti; restava a collocarsi la immagine: mi pareva peccato esporla alle ingiurie dell'aria e degl'insetti; rammentava come la chiesa, solenne trovatrice di cerimonie, abbia in costume celare le cose sante allo sguardo continuo dei fedeli, affinchè per troppa dimestichezza non inviliscano, e di un tratto mi occorse modo d'imitarla: nella prima stanza trovai un armadio ricavato dallo spessore del muro chiuso co' suoi sportelli per dinanzi.
Questo è ciò che mi ci voleva. Sarà l'armadio sacro quanto il ciborio, e consacrato intero al culto materno senza metterci altro, e ciò per infinite ragioni: principalmente per quella, che io non ce l'aveva: presi pertanto un chiodo, e un sasso di cui mi era provvisto in luogo di martello, e cominciai a picchiare. La parete divisoria nel fondo dell'armadio avevano tirato su di mattone per taglio, e la punta del chiodo si era ficcata tra una commessura e l'altra dei mattoni, onde la calce cesse altramente, che se fosse stata ricotta, e feci un buco.
Vede, signor zio, se parlava da senno quando le dissi che eravamo prossimi a questo benedetto buco...
- Tira innanzi...
- Cavai il chiodo maravigliando dell'arrendevolezza del muro, e nel cavarlo ne usciva un raggio di luce, sendochè la mia sala per avere l'unica finestra dello abbaino stava piuttosto al buio. La luce mi persuase a guardare che mondo si agitasse di là dal buco; però ci applicai l'occhio, e vidi... potenza del cielo e della terra, che vidi io mai?
- Che cosa? di', interruppe Betta, la quale, comecchè alla lontana, quanto a curiosità si vantava discendere da Eva.
- Un angiolo...
- Non mi fa specie, osservò Orazio: stando di casa tanto vicino al paradiso, per ogni lieve stincatura, che si facessero gli angioli, ti avevano a cascare proprio sul tetto: e aveva l'ale, di', cotesto angiolo?
- Non l'ale, bensì la cuffia.
- Però senz'ale anche le tazze volano, e in questo dire levò la tazza del thè come per accompagnare la dimostrazione coll'esempio, ma Betta pronta gli tenne la mano, dicendo:
- Priore, udite l'altra parte.
Marcello, che non aveva visto cotesto atto o non lo aveva voluto vedere, riprese esaltato:
- Un Angiolo, un Cherubino o un Serafino io l'ho decomposta dalle ossa fino alla levissima caluggine del labbro superiore; ad uno ad uno esaminai i capelli, i vasi linfatici, le palpebre, le tinte, le mezze tinte, e le sfumature; ella stessa ne giudicherà, signore zio, se vorrà giudicarne; solo lo avverto, che a descriverle le bellezze della donna mia mi ci bisogna tempo almeno almeno fino a domani a questa ora, e poi per quanto dicessi, io non aggiungerei alla quinta parte della metà del vero.
- Guardati dal farlo; se l'uomo prima d'innamorarsi non perdesse il giudizio, si tratterrebbe da lodare smaniosamente la sua donna, contento col dire: La mi piace. Lascia all'oste lodare il vino che vende. Chi imbianca la facciata di casa è segno che la vuole appigionare.
- Così è: la mia donna, buona per tutti, deve comparire bella unicamente per me. Però zitti a bellezze: e favelliamo dell'altre cose, che vidi traverso il buco; procediamo dunque con ordine, e che io parli delle stupende virtù dell'ordine non mi pare spediente, dacchè tutte le ranocchie di tutti i pantani del mondo da un pezzo in qua non sanno cantare altra canzone eccettochè questa; ogni scrittore parte il suo lavoro in canti, libri, e capitoli; io lo dividerò in vedute perchè quello che esporrò lo vidi a guisa di mondo nuovo. Dunque, signore e signori, attenti alla prima veduta.
Una cucina nuda, tersa un po' meno di Venere quando uscì dalle acque; alcuni carboni vermigli quasi dalla vergogna di spandere così piccolo fuoco, e un pentolino, che pareva chiedesse scusa di accostarsi presso loro con tanta confidenza; allato alla finestra un telaietto, e una scranna. La cucina aveva due porte; una a giudicarne dalle ferramenta metteva fuori di casa; l'altra nella stanza da dormire; di vero dal buio io vidi la metà di un letto dal capezzale in giù, e su cotesto capezzale, ohimè! la faccia di un giovane disfatto dalla etisia. Era egli stato bello? Chi può giudicarlo dalle tempie cave, dalle guancie infossate, dal naso emunto, dalla orrenda strage che mena questa infame malattia sul corpo umano? Solo adesso mostrava la chioma e la barba, lucidissime, nere, ed ottimamente disposte, come costuma il parrucchiere prima di tagliare i capelli che ha comprato; gli occhi limpidi, aperti e fondi così, che giù giù ci avresti potuto scorgere la morte appiattata a mo' d'iena dentro la fossa dov'ella va a cercare i cadaveri. Su la parete accanto il letto mirai attaccate parecchie tele dipinte, più o meno condotte innanzi col lavoro, nessuna finita; onde sembrava, che a reputarlo pittore di professione si sarebbe colto nel segno. La donna faceva un continuo andare dal camino al letto, dal letto al telaio, per modo che la spola nelle mani alla tessitrice non va sì spesso nè veloce; ed ora porgeva allo infermo un po' di brodo, ora una cucchiaiata di pozione calmante, ora una cosa ora l'altra secondo i bisogni del morbo; lo rincalzava dolcemente, di tratto in tratto gli accomodava i lenzuoli sul letto, o gli asciugava il sudore, e tutto questo con una carità, con tale ineffabile dolcezza che metteva nell'anima un senso
Che intender non lo può chi non lo prova.
- Punto e virgola; mi occorre interromperti per due ragioni; la prima è di farti pagare la gabella pel verso di Dante, che vorresti insinuare di contrabbando nel tuo racconto, e la seconda è quest'altra che tu hai promesso infastidirmi in prosa; però se manchi al patto io mi dichiaro da parte mia sciolto dall'obbligo di ascoltarti, e me ne vado difilato a letto.
- Mea culpa, ma ella lo sa, quando l'uomo si esalta diventa poeta; tanto vero, che la poesia sta di casa appresso a Dio: e non avendone in pronto de' miei, mi valgo de' carmi altrui, alla rovescia dello Zappi, che in fondo del sonetto:
Il gondolier mentre la notte imbruna,
disse:
Invece degli altrui canto i miei carmi.
Però se la mia umile preghiera può trovare grazia presso di lei, io la supplico, mio caro zio, a non mi tagliare le parole a mezzo; veda, ella scombussola tutta la estetica del mio racconto; ella butta un ramino di acqua fredda nella pentola sul punto che sta per ispiccare il bollore; ella dà di gambetto al corridore mentre sta per vincere il palio: questo non va bene; mi lasci andare senza scavalcarmi.
Dove siamo rimasti? Alla carità della donna; va bene; però l'uomo non sembrava rassegnato; e lo compatisco, perchè quanto alla vita non gliene aveva a premere più di un lupino, almanco io me lo figuro; ma avere a lasciare così cara, così soave, così bella donna, oh! doveva essergli affanno da passargli il cuore: per la quale cosa, egli di nulla nulla si arrapinava, accusandola di poco amore; nè ella rispondeva parola; solo alzava gli occhi al soffitto e poi gli richinava al solaio in guisa da strascinare in terra angioli, arcangioli, troni e dominazioni, insomma da rendere il cielo vuoto come una casa spigionata: in cotesto sguardo non entrava querela, e nè anco preghiera; che di lassù la provvedessero di pazienza, come donna sicura di trovarla inesausta nei tesori dell'anima sua: bensì ci si vedeva uno scongiuro d'ineffabile istanza perchè consolassero lui nei suoi dolori, e lo sovvenissero almeno a soffrire, poichè non gli avevano consentito di godere. Per quel giorno n'ebbi a bastanza, e turai il buco con la immagine della Madonna, che somigliava la mia madre defunta.
- E non gittasti via il tuo danaro, perchè andando innanzi di questo passo tu devi essere arrivato presto a comporre il dizionario della lingua degli occhi...
- Attenti alla seconda bellissima veduta. Già ella, zio, bisognerà che si rassegni alla scena fissa, perchè comprende bene, che non le posso mutare a vista una casa di materiale con la facilità con la quale gliela cambierei dipinta. Apro l'armadio, e scopro il sacro buco: la bella donna non è più sola; io vedo seco un'altra femmina attempata a cui la prima fa cenno di parlare sommesso; pure accostandosi alla parete bucata avviene che io le possa udire perfettamente.
- Se me ne pianga il cuore Dio lo sa, diceva la vecchia, di doverle dare così trista notizia, ma così è; il merciaio ha ricusato comprare il colletto e i manichini. Supponendo ch'ei lo facesse per assottigliare il prezzo, io gli ho proposto darglieli per due svanziche di meno, ma egli mi ha risposto: "No, Teresa, io non faccio per questo... voi lo sapete, le signore non vengono a provvedersi in bottega mia, e le povere a questi lumi di luna hanno altro pel capo che comperare colletti; mirate, io ne ho qui due invenduti, pei quali vi ho pagato venti svanziche; però comprenderete di posta che non posso tenere tanto capitale morto. Se potessi esitarli anche senza guadagno, magari! perchè voi non mi avete confessato nulla, ma so bene io chi gli fa, e a cui servono. Quando la croce è posta sopra le spalle di una povera e degna giovane come la signora Isabella, quale uomo potrà ricusarle di servirla da Cireneo? Non posso proprio; ancora io ho famiglia, e i Tedeschi ci mangiano il cuore".
Non seppi che cosa rispondere, mi sono stretta nelle spalle, augurandogli: Dio vi aiuti, Ambrogio! Dallo accertarvi che voi siete amata da tutti nella contrada in fuori io non saprei darvi altra consolazione.
- E Dio aiuterà, Teresa, riprese Isabella; intanto pigliate questi pendenti (e in così dire se gli staccò dagli orecchi), portategli al presto, e poi compratemi la solita carne, il pan buffetto, la gelatina di lichene, la pozione di laudano sciolta nella mucillaggine di gomma arabica... basterà a tanto il danaro, Teresa?
- Spero di sì.
- Teresa, io ho rossore di dovere sempre restare in debito con voi... ma!...
- Oh! sì, scialo anche io ad allegrezze, perchè mi abbiate a tribolare con queste grullerie.
- Buona Teresa! Ora dunque sbrigatevi che da un punto all'altro Roberto potrebbe domandare qualche cosa, e il poverino patire per non averla lì pronta.
Cotesti pendenti non capiteranno al monte di pietà, deliberai tra me, e ricontati i marenghi superstiti nella borsa ci trovai quello con la effigie di Vittorio Emanuele, lo trassi fuori, e mi parve, che per fare una buona azione non poteva scegliere meglio della moneta con la effigie di un galantuomo. Ci si trova tanto di rado! Con questo alla mano mi cacciai giù per le scale, e con tale e siffatto impeto entrai nel portone accanto, che dato di cozzo nella Teresa per poco non la mandai a gambe levate per aria.
- Misericordia! esclamò la povera portinaia; gli asini hanno più creanza di voi.
Io cominciava con maligni auspici! aveva tonato a destra; pure con buono studio mi provai a vincere la rea fortuna.
- Mille scuse; merito quello che dite e peggio, ma parte della colpa ce l'avete voi, signora Teresa.
- Io? rispose la femmina maravigliata dal sentirsi chiamata a nome, e lusingata del titolo di signora, proseguì: Com'entro io nei fatti vostri? Chi siete? Da poi che vi ho dato a balia io vi riveggo adesso.
Poteva rispondere per le rime, e già la risposta aveva preso l'abbrivo su la lingua come il giuocatore sul trappolino per battere il pallone, ma io strinsi il cancello dei denti, e la tenni prigioniera. Quindi con la mia voce più melodiosa, quella stessa, o Betta, che adopero con te quando ti asciugo le tasche, dissi:
- La immensa cupidità che ho di vedervi, signora Teresa, ha partorito la spinta; pensate se avrei voluto farvi ingiuria mentre io vi cerco come la mia santa avvocata.
La povera donna arruffava gli occhi come un gatto spaventato; ond'io reputando utile venire a mezzo ferro, aggiunsi:
- Voi avete a sapere, ch'io sono di professione marruffino; ma poi m'ingegno, entro nelle case delle donne, vendo a respiro; ricompro a contanti, baratto con la signora moglie, in pizzi e trine, gli ultimi cucchiai di argento del signor marito e... insomma m'ingegno. Ora avendo saputo, che voi tenete fabbrica di merletti mi sono fatto lecito di venirvi a proporre qualche affaruccio, il quale potremo allargare a traffici maggiori quante volte ci possiamo trovare la nostra reciproca convenienza.
La portinaia non seppe rispondermi altro:
- Merletti! comprarli! sì signore!
E lasciatomi in asso ricorse su per le scale e tornò giù con un palmo di lingua fuori, intanto che io contemplando una stampa lacera impastata nel pannello del casotto della portinaia rappresentante il ratto di Europa dipinto dal Veronese diceva: O amore, mirabil cosa non mi sarà mai se cavando Giove dall'Olimpo lo conducesti in terra a convertirsi in bue, mentre io...
- Ecco i merletti - e Teresa me gli spiegò davanti gli occhi.
- O zio, quanto è vero che io mi chiamo Marcello, più sottile, più leggiadro lavoro non si vide mai al mondo. Raffaello, (io le regalo gli altri) Raffaello col suo pennello non avrebbe saputo condurre tanto gentili arabeschi com'ella trapunse col suo ago divino, ed in fede di ciò, eccogliene la mostra...
E qui Marcello tratta fuori di tasca una scatola di cartone, l'aperse, ed espose in vista una collezione intera di colletti, e di manichini. Lo zio col pelo irto come un istrice che veda conigli addosso il cane, con un colpo di mano li gittò lontano da sè, ma pronta gli raccolse Betta, ed esaminatoli con argutezza disse:
- In verità sono lavorati eccellentemente.
- Va, te li dono, le Muse sole hanno intelletto per capire le Muse - esclamò quel mascagno di Marcello mentre pensava tra sè: - Mi faccio l'onore del sole di luglio; tanto varrebbe provarmi a cavare il sorcio fra le granfie al gatto, che rivendicare quei ricami dalle mani di Betta; amare, pigliare, verbi principalissimi della lingua che favellava Eva, trasmessi per opera naturale nel sangue delle sue figliuole fino alla consumazione dei secoli, non ostante quello che dice in contrario delle idee innate la logica del padre Soave.
- E pure, vedi Betta, io ebbi il coraggio di criticarli per darmi sembianza di mercante, essendo stato informato da persone che se ne intendono, che la bugia serve come di colla per tenere insieme tutti i pezzi che compongono il vero mercante. Per questo peccato io temo forte che nello inferno non mi abbiano ad arrotare come il Damiens, imperciocchè tu hai da sapere, o Betta, che il padre Segneri nelle sue prediche ci assicura, come s'ei ci fosse stato, e gli avesse co' proprii occhi veduti, giù nello inferno ci si trovano tutti i supplizi praticati dagli uomini nel mondo, e pende incerto tuttavia tra gli uomini e i demonii chi di loro abbia il vanto della invenzione50. Breve; spesi Vittorio Emanuele nello acquisto di due colletti, e due paia di manichini; e stabilii, che ogni settimana per uguale prezzo mi sarebbe stata fornita la medesima quantità di mercanzia, stantechè la fabbrica della signora Teresa non poteva sui momento accettare ordinazioni maggiori.
Tutto questo mi era andato a capello; adesso restava qualche cos'altro da farsi; bisognava procurarmi il marengo la settimana e per questa volta dissi davvero: - voglio - prese le buone mosse incominciai a trottare per la città come un fattorino della posta, di ora in ora interrogandomi:
Che debbo far, che mi consigli Amore?
Amore fece il sordo, bensì rispose un'altra cosa, che io non aveva chiamato, e non cercava, e fu la fame; onde le mie considerazioni terminarono col mettere capo alla Osteria della Corona di Ferro; entrai, mi cibai, e giusto nel punto in che io mi forbiva la bocca con la salvietta, il Buon Consiglio, dal quale nascono i consiglieri, quasi a mostrare la sua dignità, veniva ora spontaneo mentre io per lo innanzi lo aveva chiamato tanto tempo invano, ed egli da pari suo mi ammoniva, come con tutta la mia scienza abbottinata nelle rade scorrerie da me fatte su i poderi delle Muse io non avessi messo insieme tanto da fare la profenda al Pegaseo un giorno solo.
- E sia così, purchè mi frutti pane; e tale favellando mi calcai il cappello in capo ed usciva dimenticandomi cosa, di cui però non si era dimenticato l'oste, intendo dire il conto. Rammento che quando io esclamai ingenuo: - per Bacco! Me n'era scordato - l'oste, più ingenuo di me almeno due volte, rispose: - non fa caso, basta che di due se ne ricordi uno.
- Tornai a scorrere la città, sicchè in breve mi occorse la bottega dello stampatore Tappati: io stava per mettere mano su la stanghetta dell'uscio ed entrare, quando il Buon Consiglio tiratomi per la manica del vestito mi disse: - chiarisciti prima; allora gittai gli occhi sopra le bacheche e lessi: - Dizionario apostolico. - Teologia del cardinale Pietrone. - Opere del Domenicano Lacordaire. - Manuale dei preti. - Atlante dei predicatori, ecc., ecc., ecc., e via discorrendo; opere, che promovessero il senno civile nemmeno una. Come dal sole emana la copia dei raggi che spandesi a illuminare la terra, da cotesta maluriosa officina diffondevansi tenebre di beghineria a rendere più gravi le miserie della patria. Però lì ritto davanti la bottega dello stampatore Tappati pensai:
- Lo stampatore sovente merita quattro volte o sei aborrimenti più del tiranno, imperciocchè mentre questi è padrone del corpo soltanto, quegli vilissimo schiavo si affatica a imbestialire le anime, e lo intento a cui mira il primo, comecchè nè buono nè grande possa essere mai, pure talvolta gli avviene apparire non turpe, mentre turpissimo e meschino fu sempre quello del secondo; che consiste unicamente nello intascare poca moneta, prezzo d'infamia. Gli stampatori, invocati chirurghi ostetrici ai parti letterarii, non vanno, o su cento volte vanno una, e allora per mal talento senza la operazione non se la sanno cavare mai; se salvano il parto, ammazzano il padre.
Come il padre? Interrogai in me stesso offeso del paragone.
Sì signore, risposi, perchè nel paese delle Muse a ingravidare tocca agli uomini, e non alle donne, o almeno queste di libri impregnano di rado.
Gli stampatori arieno a pigliare la torcia a far lume per le scale agli uomini magri sortiti all'onore di avere udienza da Apollo su in cima al Parnaso; ma essi maligni o avari, per avanzarsi la cera, a mezze scale spengono la torcia esponendo gli scrittori a rompersi il collo dove mettano un piede in fallo. Gli stampatori preposti all'ufficio di mostrare ai giovani ingenui i monumenti antichi e moderni, onde ne viene alla città decoro immortale, sapete voi dove me gli menano spesso? Lo volete sapere? In bordello. Gli stampatori, cui si commette il carico di nutrire chi nutrisce ed arricchisce loro, altro non sanno, o non vogliono fare, che menarli diritto allo spedale, e quivi gli lasciano mostrando meno previdenza del contadino (di umanità non si parla) il quale innanzi di mangiarsi il porco almanco lo ingrassa. Schiavi vilissimi un giorno di quale o la coscienza o l'imbroglio o l'errore misero a splendere sul candelliere, tiranni sempre del merito modesto.
Con la medesima coscienza, o piuttosto con la stessa sfrontatezza l'editore ti stamperà l'Aretino e San Tommaso, la Imitazione di Cristo e le Novelle dell'abate Casti, l'avviso dello stato d'assedio bandito dai tedeschi su la Lombardia, una sentenza del consiglio di guerra, un invito sacro, un sonetto per ballerina; in una parola, prima ti stampano opere, che servono come d'introduzione al delitto, e poi per riscontro ti stampano il codice penale che lo punisce. Di libertà trafficano e di tirannide a mo' che i pollaioli fanno delle galline; e luna e l'altra serbano nella medesima stia, per tirare loro il collo, e pelare secondo l'avventore. Se Cristo cacciò via dal tempio i pubblicani a suono di frustate, i quali a fine di conto ci vendevano robe innocenti e necessario al vivere del corpo, in qual modo, e con quali argomenti ne avreste ad essere cacciati voi altri, che con lascivie, beghinerie, e dottrine simili contaminate i sacri studii, e le nobili scuole?
Per le quali considerazioni, e per altre che le somigliano, buttatomi su le spalle il lembo del pastrano per atteggiarmi a profeta Natan, levata la destra, e agitatala per l'aere vibrai contro la bottega del Tappati queste maledizioni:
Ascolti Dio i carichi, che ti mando, e li compia a danno tuo e di coloro che ti rassomigliano, o libraio Tappati. Possa in capo alla settimana entrarti in bottega un solo chierico di campagna per comprarti un fascicolo della Civiltà Cattolica; - possa in capo al mese entrarci una femmina di partito, e richiesto il libro della Meretrice inglese offrirti la metà del prezzo, che costa a te; - possa un commissario di polizia in riposo entrarci in capo a un anno, e dopo domandato le opere del padre Taparelli gesuita, lasciartele sul banco perchè troppo care. - Ti falliscano i corrispondenti, e dopo averli spremuti sotto il torchio della prigione non ti offrano più del venti per cento in quattro rate annuali di cinque per cento l'una. Capiti il conto di ritorno in mano ad Aronne giudeo, che te lo tenga rasenta alla gola come il carnefice il filo del coltello. Rifiutino i bottegai i tuoi libri come quelli che essendo in troppo piccolo sesto, e di carta troppo sottile, non servono a veruna della moltitudine infinita delle involture. Ti corrano tutti i mesi corti quanto il febbraio, perchè il padrone ti stringa frequente a pagargli la pigione del magazzino ingombrato indarno. Escano di sotto terra, scendano da' tetti topi e ratti a migliaia per rodere prima i tuoi libri, poi te, e chi ti rassomiglia. Amen.51