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Francesco Domenico Guerrazzi Racconti e scritti minori IntraText CT - Lettura del testo |
BEATRICE CÈNCI
Di questo romanzo, la cui prima edizione è del 1854, pronunciò un giudizio severo, ma ponderato ed equo, Francesco De Sanctis. La Beatrice Cènci, egli dice, è tutta basata sopra un fatto mostruoso, innaturale, l'amore di un padre verso la propria figliuola: questo è il vizio d'origine del romanzo guerrazziano, poichè, se certi stati anormali possono essere accennati fuggevolmente, in modo da produrre in chi legge un senso d'orrore, alla lunga o generano la nausea o fanno sì che il lettore vi si abitui, come se avesse sottocchio la narrazione degli avvenimenti più naturali. "Una delle più sublimi scene del teatro greco", scrive il De Sanctis, "è il lungo grido d'orrore che manda fuori Edipo con la natura e con gli spettatori, quando si fa manifesto il suo inconscio delitto. Ma che sarebbe stato se Sofocle avesse voluto far soggetto di tragedia le incestuose nozze? Quando si conosce il segreto obietto della fatale passione di Mirra, la donna muore e il sipario cala. Fatemi dunque un romanzo dell'amore di un padre verso la figlia!" E, se si vuole - continua il De Sanctis - che tale sia il soggetto di un libro, se si osa contrastare alla naturale e provvidenziale repugnanza che gli uomini provano, in genere, per simili anormalità, bisogna scandagliare senza riserbo nei più misteriosi recessi di quelle torbide anime, non lasciar nulla d'inesplorato, mentre il Guerrazzi, "benchè audacissimo e vago del mostruoso, non ha osato guardare per entro alle riposte latebre della situazione, seguirla nel suo naturale procedimento; e cammina a sbalzi, omettendo per via tutte le gradazioni, i chiaroscuri, le mezze tinte, senza di cui non vi è l'evidenza e la pienezza della vita". Ciò assodato, molto facilmente il De Sanctis mostra e comprova che non uno dei personaggi del romanzo di F. Domenico è artisticamente creato, meno di tutti, forse, Francesco Cènci, a cui manca quella grandezza della crudeltà per cui vivono immortali Riccardo III, Jago, Macbeth, Egisto, Filippo. Egli non è, come avrebbe potuto essere, un artista del male, un raffinato della perversità, anzi ne' suoi rapporti con la figlia Beatrice per il modo e per il luogo ove tenta indurla alle sue voglie, è assolutamente, per usare la parola del Maestro, "un novizio" materiale, goffo, e plebeo. Potrei, specialmente nelle parti ove nota alcuni dei più caratteristici atteggiamenti dello stile di F. Domenico, seguitare a riassumere il bello studio del De Sanctis, ma sarebbe un allungare di troppo il nostro cammino.
Come opera d'arte, la Beatrice Cènci è, dunque, nel complesso, negativa, ma non bisogna dimenticare che questo romanzo rientra nel numero di quelli che, con un'espressione alfieriana, possono dirsi di battaglia. E la battaglia fu questa volta impegnata con la Curia romana, che nelle losche faccende della Casa Cènci ebbe ingerenza non piccola e cercò di ricavare dalla morte dei figli di Francesco il proprio vantaggio. Sotto quest'aspetto la Beatrice Cènci non fu opera inutile, tanto è vero che, fra tutti i romanzi del Guerrazzi, questo fu uno dei più aspramente combattuti, dei più energicamente confutati, dei più lungamente perseguitati.