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Francesco Domenico Guerrazzi
La vendetta paterna : Lettere inedite. Predica del venerdì santo

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LETTERE INEDITE.

 

 

A Ferdinando Bertelli

 

 

Caro Amico

 

Mi hanno detto il molto, che ha fatto per me. La ringrazio di cuore. Siccome la faccenda tira in lungo, la prego a non intramettere le diligenze; il resultato non lo consegni a nessuno; verrà Maria fra dieci giorni da lei, ed ella si compiacerà consegnarglielo, e dirle se ha esaurita la vena. Siccome sto ordinando da me stesso questa prova testimoniale, così concentro tutti i fogli presso me, Gradisca i miei cordiali saluti e li faccia avere graditi alle sue Sigg. Consorte, e Figlie; e mi confermo

 

Firenze, 5. Mag. 1852.

Suo aff.o Amico

GUERRAZZI.

 

 

 

Bastia 25 Ag. 1853.

 

Cariss.o Amico

 

Dopo varie fortune eccomi a Bastia: certo mi hanno fatto vuotare il calice fino alla feccia. Pazienza! - Ho avuto in aggiunta una infiammazione terribile agl'intestini: ora sto meglio. Vado ad abitare una villa in riva al mare, in mezzo ad un bosco di olivi: eremo vero, ma magnifico per vista, per elasticità di aria, per promessa di salute. Credo, che anche a lei farebbe bene: però senza tanti preamboli, se nel mese di ottobre vuole venire a rifare la salute, venga: la villa è tutta mia; il tragitto da Livorno a Bastia è 6 ore; i vapori eccellenti; ella mi consolerebbe con la sua vista: povero Sig. Ferdinando, è tanto buono per me!... Mille cose alla Signora Teresa, e alle figlie. È stato rassettato il matrimonio della Sig.ra Ersilia? - Rispondendo, consegni le lettere al Corsi, che penserà a inviarmele. Addio a tutti.

 

Aff. Am.

D. GUERRAZZI.

 

 

 

A Ersilia Bertelli, sposa.

 

 

Sposa! Quando lo amore feconderà il tuo seno, rammenta come il carissimo dei miti della nostra religione sia la creatura, che allatta il suo creatore. I maestri di pittura sopra cotesta immagine dipingono una gloria meritamente. Dopo le bellezze celesti gli Angioli non possono deliziarsi in contemplazione più divina di quella della madre, che nudrisce di sua sostanza il proprio figliuolo. La religione degli antichissimi padri immaginò la capra amaltea altrice di Giove, e le


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stille di latte cadute pose nel cielo a formare la via, che noi chiamiamo galassia: la nostra non pose le stille di Maria in parte alcuna del firmamento, ma la umanità le raccolse nel profondo dell'anima, onde Maria venne salutata regina dei cieli, e vi regnerà eterna perchè regina dei cuori.

Donna! Educa primamente il tuo figliuolo alla forza. Tu bada a me, che amo, e sento, e lascia dire le dotte larve, ludibrio di uomo. Può egli ricavarsi suono gagliardo dall'arpa fessa? Col corpo languido potrà l'anima durare nei suoi alti proponimenti? No, il corpo sano in pugno all'anima sana, è come l'asta di Vulcano nella destra di Achille. Il figlio, che ti desidero, o Donna, sia forte, sia bello, sia virtuoso, ma tu domanda dal cielo, che queste grazie si succedano ognuna nei loro tempi come le stagioni della vita.

Donna, in buon tempo pensa, che il tuo figlio virtuoso sarà perseguitato; contro i buoni si accampano nemici tutti i vili, e questi sono i più: e tu fino d'ora rammenta, che l'asilo più sicuro pel figlio negl'infortunii della vita occorre nelle braccia materne sollevate sopra la sua testa. La donna di Ges, che stringendo il suo pargolo al seno fugge in Egitto per sottrarlo alla persecuzione di Erode, offre per la umanità trionfo più glorioso di quello, che menò Giulio Cesare sopra Farnace veduto, e vinto.

Donna, Lutero leggendo la Bibbia dove narra di Dio, che domanda al padre Abramo il sagrifizio d'Isacco, notò in margine: «Ma Dio non avrebbe osato domandarlo a Sara.» Queste le sono fole, ma se il Creatore avesse domandato il sagrifizio del suo sangue alla madre, sai tu che cosa gli avrebbe risposto? «Ente maligno, e crudele, cerca i tuoi trastulli fuori delle viscere delle madri. Ma quando la Patria, la cara Patria, ha detto alla madre: «Ho bisogno del tuo figlio», che cosa ha risposto la madre?

- Lo aveva generato appunto per questo, - tali furono le parole della madre di Brasida, quando le annunziarono il suo figliuolo caduto per la difesa di Sparta.

Donna, e tremando io te lo annunzio: se il figliuol tuo, la carne della tua carne, dovesse un giorno salire il patibolo, bada al delitto non alla pena: pensa, che anche il patibolo è diventato segno di adorazione: rammenta che Maria compresse l'anelito tremendo di madre, e potè consolare lo sguardo moribondo del figlio col suo sguardo: non porre in dimenticanza mai, che uno dei titoli della Madre di Cristo - forse il più grande, certo il più pietoso, - è quello di Madre dei dolori.

Ma Dio disperda questi augurii, e, come il mio cuore desidera, ti mandi figli forti - belli - virtuosi - e felici.

 

Bastia, Belgodere 10 8bre 1853.

 

F. DOM: GUERRAZZI.

 

 

 

A Teresa Bertelli nata Guerrazzi

 

 

Carissima Sig.ra e Parente

 

Io non ebbi più sue nuove, di Ferdinando, delle figlie: ciò mi duole assai, molto più, che la famiglia era in condizione non lieta; se fosse stato altramente, sopporterei con più rassegnazione il loro silenzio. Mi scrivano dunque, mi visitino con le loro lettere: io qui sono solo, e mi sono fatto uno esilio nello esilio: amicizie corse ho poche, italiane nessuna, e veramente se togli pochi non ne giova. Sicchè mi raccomando.

Siccome è venuta presso me la nipote, così incominciano le mode: essa mi chiede di posta vestito, e cappello. Ed io mi rivolgo a lei perchè costà si spendono meglio che a Livorno: le includo mostre di velluto, e nastro: di questo ne prenderei quanto basta per un cappello, e i fiorellini di accompagnatura. Maria in certo fondaco in Vacchereccia ebbe tutto per uno zecchino: però si


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compiaccia acquistarmeli, e, mediante qualche riscontro, mandarli al Dot. Antonio Mangini, Livorno - Palazzo Bartolomei, 2.° piano, v. 4 Scali del Pesce.

In quanto a me, se non eseguisce la commissione non la tormenterò, perchè non ho intenzione portare cappelli di velluto co' fiori, ma per parte della ragazza potrebbe essere diverso.

Mi ragguaglierà anche del minimo prezzo col quale si può avere la seta di cui accludo mostra. Dello importo del velluto la rimborserà il D.e Mangini. In aspettazione di sue lettere e pregandola dei miei saluti a Ferdinando, ed alle figlie, con vero piacere

 

Bastia 10 10bre 1853.

 

Suo aff.o amico e parente

D. GUERRAZZI.

 

 

 

A Ersilia Bertelli

 

 

Carissima Signora Ersilia

 

Oh! questo poi lo sapeva, quando lor signore si ficcano in testa una cosa, e che contiamo noi poveri babbi, e poveri zii? Meno, che nulla. Infatti, e come potremmo sostenere la guerra civile? Noi correremmo rischio, mantenendoci in istato di ostilità, a trovare la nostra pappa diaccia, e buona a impastare gli avvisi della lotteria Poniatowski; tossendo, a sentirci dire: lisca! - a non trovare berretto da notte, le pantofole, la veste da camera; a trovare il letto marmato, lo scaldino pieno di acqua, sul guanciale un ago, nelle scarpe un sassolino... misericordia!

Il padre di famiglia eccolo con la corda al collo ai vostri piedi, si arrende a discrezione, e voi, belle come pietose, usategli carità.

Ma l'uomo pel quale, voi amabilissima, diventate di ora (i maldicenti dicono tutti i giorni come il panem quotidianum del pater noster) in ora demonii incarnati, non vada lieto del suo trionfo: brevi gioie ha da aspettarsi, ecco la vita del marito: a tavola serva sempre, e a lui il più delle volte non rimanga minestra, o gliene rimanga poca, e fondaccio, della carne l'osso, del pesce le lisca, e di tratto in tratto, purchè non passi in consuetudine, la testa, e la coda: paghi il sarto, il mercante, il parrucchiere per fare comparire la moglie ornata, ma egli non sia temerario di darle braccio; al teatro si levi sempre, e ceda posto al primo venuto, e rimanga confinato accanto alla porta, esposto al reuma perpetuo; non si attenti salire in carrozza della sua consorte, ma si dica beato se, in passando, lo impolvera, e lo infanga; queste ed altre le giuste pene dei giovani per i peccati commessi e fatti commettere a danno di noi poveri babbi, e poveri zii.

Discite justitiam moniti.

Fuori di chiasso, sono lieto delle sue contentezze; saluti il buon Ferdinando, a cui auguro vedere cinque, o sei nipotini intorno a pungergli le gambe con le spille; non è vero il detto del frate; meno galline, meno pipite. La creatura umana vive di affetti, senza essi la vita è un festino senza lumi. - Alla signora Teresa dica, che spero vederla venire a prendere i bagni di mare quaggiù. Starebbe magnificamente, con piccola spesa; in paradiso, in somma; molto più che, attaccandomi un barbone, io potrei sostenere le parti di Padre Eterno. I miei nepoti salutano lei, lo sposo, e tutti di casa. Scrivetemi, che le lettere dei cari amici come voi, mi sollevano, e quando le ricevo, sto bene tre giorni.

 

Bastia, Villa di Belgodere, 27 Feb. 1854.

 

Aff.o Amico


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D. GUERRAZZI.

 

 

 

A Teresa Bertelli nata Guerrazzi

 

 

Bastia 23 Marzo 1854

 

Carissima Signora, ed Amica

 

Ebbi a questi giorni la sempre cara sua lettera del 13 corrente, dalla quale sento il matrimonio della Signora Ersilia; ella è felice; basta. O che cosa importa che quel benedetto Ferdinando si triboli a lambiccarsi il cervello se questa prosperità sia per durare o no? O che si è messo a fare l'astrologo? Lasci fare i lunari al Formigli. Godiamo del presente: noi poveri mortali siamo soli padroni del presente, ed anche è bazza. - Non ispendo parole a persuaderla che sto in Bastia; di qui non mi mossi mai, ho intenzione di muovermi; quando a Dio piacerà, mi muoverò per rivedere la dolce Patria, e voi diletti amici; e ciò avverrà tosto che si allontanino le armi straniere: fino a quel punto mi piace mantenermi esule. Nel mese entrante conto visitare l'Isola bella di memorie che piacciono al nostro cuore a cagione del Sampiero e del Paoli. D'altronde io sto benissimo con questi Corsi, dacchè i miei nepoti nasceano da madre Corsa, e gli amori di parentela sieno qua stupendamente tenaci, ed estesi. Nessuno vi ha retto lungamente, io ci sto volentieri, grazie alla mia casa, che pare fabbricata dalle mani delle fate, e alla parentela. Non passa giorno che non vengano a visitarmi dalla vicina città! Creda, Sig.ra Teresa, è uno incanto, e se le ho detto venga a prendere i bagni di mare quaggiù, io gliel'ho detto perchè se ne troverebbe contenta. A Ferdinando dirà che mi scriva quando vuole, ma mi dica tante cose: che cosa dicono, che cosa pensano laggiù? Che cosa fanno non importa, perchè non fanno nulla, e questa è vecchia; ma le ciarle, il bisbiglio, e se si preparano ad accogliere i Cosacchi.

Saluti e carissimi a tutti per parte mia, dei nepoti, e della Maria che ingrossa a vista: ella mi abbia sempre

 

Per suo Aff.o Amico e P.

D. GUERRAZZI.

 

P. S. Mandi le lettere per me al S:e D:e An:o Mangini, Livorno.

 

 

 

Villa Belgodere 23 Ap. 1854.

 

Carissima Amica, e Parente

 

Se a lei, ed ai suoi giungono gradite le mie lettere per la benevolenza, che mi portano, graditissime mi hanno a riuscire le sue per affetto, per gratitudine, e per necessità, però che per gli esuli tutto quanto muove dalla Patria assume una certa fisionomia come di religioso, e di santo. In questi giorni la morte ha diluviato fra i miei parenti ed amici; pure la nuova della partenza del D:o Gius: Guerrazzi ha contribuito non poco a contristarmi: vero è però, che la sua età era matura, e la morte è la conclusione della vita. - Bisognerebbe che la morte di un tanto uomo fosse annunziata nei Giornali con un breve cenno biografico; ma a questa ora ci avrete pensato, ond'io con queste parole porto frasconi a Vallombrosa.


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Non ho veduto nella sua lettera parola riguardante le figlie: perchè questo silenzio? Fu casuale o a disegno? Se casuale, la prego a ripararlo, se a disegno, sarei temerario se le domandassi la ragione? I nepoti, e Maria stanno bene e le si raccomandano.

Fin qui a lei; adesso al Sor Ferdinando.

Credo benissimo a quanto ella mi dice, e la dispenso da giurarlo, ma non ci vedo verso: pur troppo temo il serpente abbia ragione: astuto è costui, e capacissimo a speculare il tempo pei suoi vantaggi. Io intendo benissimo, che volere riportare tutti i bisbigli di Firenze equivarrebbe ad ammazzare a colpi di pugnale tutti i moscerini, che si aggrappano intorno una botte di vino andata a male, ma pure taluni per la loro singolarità meritano essere riportati: me ne scriva dunque di qualcheduno. Il fondo della cosa è, che ormai non si sa più dove andiamo a cascare: ed io mi sogno una seconda santa Alleanza da Pietroburgo a Napoli; e il Papa liquefarsi, e noi respinti nella barbarie per qualche secolo. La confusione entra nelle faccende del mondo: nessuno fa la sua parte, e nello scompiglio contano le baionette, e Austria, Prussia, e Russia ne hanno molte, e appuntate. Francia non crede più a nulla; i popoli sono sfiduciati, discordi, queruli, e ciarlieri, e codardi; tra una bastonata e l'altra purchè possano rosicare un osso, e basta: per ora non vedo, che male, ed ogni rimedio, quando mai potesse apparire, temo sia tardi. Le stringo la mano e le do un bacio di cuore.

 

Suo Aff:o Amico e P.

D. GUERRAZZI.

 

 

 

Ad Ersilia Bertelli

 

 

Bastia 20 Ag. 1854

 

Carissima Sig. Ersilia

 

Appena mi capiterà la occasione di spedirle un foglio, che non tocchi quarantina, avrà quanto ella, e l'amica sua desidera, non nuovo ma accomodato al soggetto; dacchè anche gli Album possono spargere buon seme, e il come lo dirà lo scritto. Non ho anco ricevuto la Beatrice. Io non l'ho potuta correggere, e temo vi sieno errori non pochi. Si emenderanno in altra edizione, se ciò fosse accaduto. Sento, che Pappà la legge, ella pure la leggerà: il vostro parere non chiedo, tanto mi procedete parziali, che parrebbe accattare lodi. No, senta quello, che la gente ne dice in pro, e contra, e si compiaccia trascrivermelo, onde io ne faccia, se merita, mio prò. - Conforto lei, e tutti a scrivermi le cose del paese; voi avete tempo per farlo, ed io m'illudendo sopra lo esilio penso così starmi in casa. Quando ritornerò, e ritornerò mai? Questo Dio solo sa. Intanto compie l'anno della mia partenza. Certo è amaro lo esilio, ma non è dolce starci in casa come state voi, e questo pensiero, invece di sollevare, accresce le noie. Sento però, che i privilegiati vivono contenti, e ai bagni si balla in allegria, mentre in città si muore di colera, e di miseria. Questo non mi maraviglia; dev'essere così, gli schiavi a catena non ponno avere i sensi degli Scipioni. Eppure la parte sana avrebbe da usare il disprezzo, arme non proibita, e che pure fa le più profonde ferite. Dicano quello, che vogliono: la Patria sta in mano delle donne; queste non possono difenderla con le armi, ma creano, ed allevano le braccia, e i cuori bastanti a ciò. Saluti a tutti in casa, e fuori agli amici se me ne rimangono, e se si ricordano di me.

 

F. D. GUERRAZZI.

 

 

 


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Set. 1854

 

Carissima Sig. Ersilia

 

Se prima non adempii la promessa, e' fu per difetto di occasioni di mandarle la lettera. Se l'amica avrà cuore di mettere nel suo Album la pagina scritta, non mi dorrà di avere sprecato il tempo in queste baggianate. A un patto solo è sopportabile l'Album, ed è, che contenga quello, che io dico. E, quando sia così, non solo non fu grave, ma avrò caro contribuirvi. - Mi scriva, mi parli di lei, della mamma, del babbo, della sorella, di tutti, e di tutto. Ha letto la Beatrice? Morta o viva, è suo destino capitare in mano dei carnefici, e degli sbirri, e di Valentino Turco. Ch'effetto le ha fatto? Che ne dicono? Crucifige, plagas. La scotta, e la dicono eretica; ma non è così, frusta, e smaschera cotesti formicoloni del diavolo. O che credevano, che mi volessi ingoiare l'ergastolo come un sorbetto? Hanno finito essi: ora incomincio io. Una volta per uno, ed io non mi rimarrò finchè non gli abbia schiacciati come scorpioni. Addio.

 

Affezionatissimo

D. GUERRAZZI.

 

 

 

A Ferdinando Bertelli

 

Bastia 17 Set. 1854

 

Caro Amico

 

Lasci dire, che alla fine si quieteranno. L'accusa di avverso alla religione è ignoranza, o ribalderia. Pochi, io credo, sentono la religione come me; certo non religione di Preti, tutto altro, bensì la religione di Gesù Cristo Salvatore; tentano confondere il personaggio del Cenci coll'Autore; il Cenci fu iniquo due volte il doppio di quello, che dico io; degna la morte alla infame sua vita; e mi pare, che veruno al mondo poteva esporlo alla esecrazione pubblica come ho fatto io; e Beatrice, ch'è protagonista del libro, e donna Lucrezia, e Bernardino, e Virgilio santissimi tutti perchè non li contano? Ma il libro, e la sua morale, non si devono giudicare dal linguaggio dei personaggi, bensì dalle considerazioni dello Autore. E Cenci non è nuovo a Firenze; vi è un Cenci di Shelley tradotto dal Niccolini, e stampato fra le sue opere dal Lemonnier; leggano e confrontino. So della persecuzione, che incontra; doveva essere. Ebbene, se vogliono battaglia, sono pronto a sostenerla: certo contro quegli abietti, che hanno reso nome di orrore la giustizia, ed atterrato questa colonna santissima su cui appoggiavasi la società, guerra sempre, finchè non sieno smascherati, e costretti a nascondersi per la vergogna. Anzi, trattateli bene questi scellerati; essi vorrebbero mangiare in pace, tranquilli, e per di più onorati, la infamia propria, e il sudore del popolo. Io li ringrazio di provocarmi, li attaccherò al palo, e ve li freccerò come fecero a San Bastiano. Se quelli che si avvisano a dire: fate piano, sapessero quattro anni e un terzo di prigione, che sia, e la salute rovinata, e le convulsioni e l'epilessia, e la rabbia di quella sbarazzinesca impudenza, e il sentirsi venduto dalla plebea viltà di otto o dieci mascalzoni... ma lascio, perchè mi viene il sangue al capo. - Fin qui non mi è capitato occasione di mandare il foglio alla Sig. Ersilia, e le quarantine durano. Qua continuiamo sempre senza cholera, e questo è il meglio. Giorni sereni per me squallidi e non per me, ma per la miseria della Patria, e dei miseri emigrati. Parecchi si ammazzano per disperazione, altri s'ingaggiano nella legione straniera, ch'è una morte più lunga. Povero.... povero... sangue, e Dio ne chiederà conto a cui n'è colpa, e con Dio fraude forza valgono. Saluti caramente la consorte, e le figlie; ella, o le donne non intromettete scrivermi, e come vi ho detto, di


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tutto, e su tutto, perchè anche una lucciola fa lume. Mi continui la sua cara amicizia, e mi creda sempre

 

Aff:o Amico

D. GUERRAZZI.

 

 

 

A Emilia Bertelli

 

Carissima Sig. Emilia

 

Mi è stata sommamente gradita la carissima sua del 20 del passato mese, dalla quale sento le nuove sue, e di tutti di casa. Tanto la salute è buona, e se il Babbo ha ritrovato, povero uomo, un po' di calma, anche questo è benefizio di cui abbiamo a ringraziare Dio. Non so com'ella dica, che non hanno festeggiato il giorno onomastico della Mamma, se la sorella sua la presentò di versi, ed ella di un lavoro all'acquerello? meglio per loro, più giocondamente per la Sig. Teresa, potevano solennizzarlo, che presentandola di tali nobili frutti dello ingegno: quello che tutti possono fare, come un pranzo, poco è da pregiarsi. Festeggino sempre così le solennità domestiche, che le festeggeranno bene.

Se tempesta, qua rovina; miseria crescente, e caro orribile di ogni cosa; il cholera cessò da molto tempo, e, quando apparve, appena si fece sentire, grazie alla eccellenza di questo clima; ma la città è desolata, a cagione delle famiglie, che hanno i loro congiunti alla guerra, e sono moltissime, però che i Corsi amino il mestiere delle armi, reputandolo scala da salirsi presto, e spesso s'ingannano.

Qui s'insinuarono i Gesuiti, e si dimenano quanto il diavolo nella pila dell'acqua benedetta per fare proseliti, ma invano. Giorni sono bandirono gran festa per quaranta martiri di loro; prediche, mortaletti, un quadro sterminato tinto in tre giorni, ed esposto come il gabbamondo dei teatri diurni, messa, fanfara.... raccolsero quattro franchi e dieci soldi: condannati nelle spese! È inutile, per essi è finita; rassomigliano al

 

«Quatriduano Lazaro, che pute.»

 

Spero, che se ne andranno con le trombe nel sacco, perchè, dove non si guadagna, lasciano la presa.

Saluti tutti in casa, anche per parte dei nepoti e di Maria, ed ella mi abbia sempre

 

Bastia 15 Novemb. 1854

 

Per suo aff.o Am.

D. GUERRAZZI.

 

 

 

A Ersilia Bertelli

 

 

Bastia 17 Marzo 1855

 

Carissima Sig. Ersilia,

 


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Cosi è, io le scrissi due volte perchè mi riesce sommamente grato rispondere subito alle sue lettere, che mi arrivano carissime; però non voglia maravigliarsi se le sono andate perdute; la Polizia, come donna, qualche volta è curiosa; e, se può rammendare lo strappo, le consegna, diversamente, le consegna a Vulcano.

Anche qua avemmo sciagure orribili a deplorare; nei giorni nefasti 15 - 16 Febbraio proruppe un uragano spaventevole, migliaja di olivi sradicati, o schiantati per lo mezzo, casamenti naufragati, e una fregata bellissima con 750 uomini perduta così, che non si è salvato neppure un'uomo. È venuto alla spiaggia il cadavere di un Corso, un tale Zuani, e gli hanno trovato in tasca una lettera per sua moglie; passando rasente all'isola sperava trovare qualche pescatore a cui consegnarla, ma l'ha portata egli stesso.

Io sto raccogliendo notizie su la Corsica: ho intenzione di scrivere un racconto intorno al Paoli: il contrasto di questi costumi co' turpissimi, vigliacchissimi e frivolissimi nostri, mi piace; meglio, oh! meglio barbari così, che civili come nella fogna che si chiama Firenze.

Tutti stiamo bene, e tutti salutiamo lei, la sorella, e Babbo, e Mamma; ci dia le sue nuove, e dei suoi, e mi abbia sempre

 

per suo Aff:o Amico

D. GUERRAZZI.

 

 

 

A Ferdinando Bertelli

 

Bastia, 15 Apr. 1855

 

Mio caro Ferdinando

 

 

Avevo sentito le disgrazia del nostro povero paese e la si può immaginare se contribuiscano a contristare uno spirito già contristato - Piove proprio sul bagnato! - , da qualunque parte ci volgiamo, apparisce punto di chiaro. Sento, che hanno richiamato i tedeschi di costà; anche questo è qualche cosa, disse quegli che pisciava in Arno.

Mi ha raccontato un uffiziale francese, venuto di Toscana, di certo duello fra un tedesco insultante, e un toscano, con la peggio del primo. Grande errore fu quello di chiamare i tedeschi in Toscana. Sono odii nazionali, che non si spengono manco con l'acqua santa. Rivoluzione. Reazione. Transazione; ma la terza parte non vogliono imparare, e forse è tardi, e le ingiurie troppo grosse. Hanno creduto farmi danno mortale, e me ne hanno fatto, e Dio lo sa, ma non è il peggiore dei mali starmi sopra uno scoglio, che sembra ben piantato a guardare cui tribola nell'acqua grossa.

Vivo in paese napoleonista per interesse ed anche per genio, ma ogni più incupisce, e del futuro teme assai. Considera non la guerra, ma il modo rovinoso, e funesto. Di prendere Sebastopoli, non è più quistione, e su l'Austria non contano per nulla, quantunque confessino, che romperla coll'Austria sarebbe uno stroppio per loro. Noi italiani considerano per buoni a nulla, come se essi fossero buoni a qualche cosa. Quando ci sono io gliele canto in rima, ma, come a Dio piace, fin qui veruno mi ha risposto.

In casa stanno tutti bene, e vi salutano, in ispecie la buona Maria; io così così, che i nervi e gl'intestini non danno tregua; pure, malato o sano, sono sempre

 

Il suo Aff:o Amico

 

D. GUERRAZZI.

 


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Mille cose alla Sig.ra Teresa e alle figlie.

 

 

 

A Ersilia Bertelli

 

 

Carissima Sig. Ersilia

 

Dalla ultima sua ho sentito con piacere inestimabile le nuove del bene stare suo, e della famiglia tutta: però questa contentezza in parte viene amareggiata da quanto mi assicurano parecchi che hanno corrispondenza con Firenze, voglio dire che il cholera sia comparso costà, e minaccioso al punto di fare venti vittime al giorno. La prego a chiarirmi se questo fatto è vero. Non mancherebbe altro pel mio povero Paese. Mi parrebbe posto a bersaglio dell'ira degli uomini, e di Dio: ma voglio sempre sperare che ciò non sia.

In qualunque caso taluno trova il suo tornaconto; però non maraviglio sul rimpianto degli ospiti nemici; confido sia di pochi, che se all'opposto fosse di molti, ciò mi angustierebbe più del mio esilio.

Non è accaduto a lei, ma accade a tutti fare esperienza a spese proprie: e siccome l'acqua passata non manda molini, così il meglio sta nello attendere ad accomodarsi, con minore disagio, che si può, nelle condizioni presenti; perchè sa ella? Dalle rovine di un palazzo si può ricavare materia da fabbricarci una casetta da abitarci comodamente. E poi la vita è una battaglia, e tenga per matto chi crede non averne a toccare. Io me ne sto mestamente tranquillo: nulla desiderando per me, moltissimo per la Patria: ma qui la speranza mi si sbiadisce ogni di più, quantunque i concetti della emigrazione tengano del febbrile: intendiamoci però, io dico di speranze immediate, perchè rispetto al fine inevitabile delle tendenze umane io non sono dubbio: la via è lunga, anzi non terminerà mai, ma veruno si auguri far camminare la società all'indietro: la natura è ella morta nello inverno? Senza i rigori invernali noi non godremmo Aprile. Si consoli; saluti la Sig. Teresa, il Babbo, e la sorella: mi scriva più nuove che sa. Qui in casa si raccomandano tutti alla benevolenza sua, e dei suoi; ed io facendo lo stesso ho il piacere di confermarmi

 

Bastia 20 Maggio 1855

 

Suo Aff.o Amico

D. GUERRAZZI.

 

 

 

Bastia, 15 giugno 1855.

 

Carissima signora Ersilia

 

Sento con vivo dolore lo stato cagionevole dell'ottimo suo padre; molto più, che argomentando costà la stagione peggiore di qua, temo non sia per nuocergli. Io credo, che una cosa sola potrebbe sanare il povero Ferdinando, e sarebbe mutare aria, prendere le acque di Vicovaro, o altre simili, e poi per qualche tempo starsene a Livorno, dove potrebbe benissimo accudire ai negozi, e forse facilitarli, e ampliarli. Soprattutto mutare affatto sistema di nutrizione; esaminare attento quello che giova, e quello che nuoce; temperare la crudità con qualche rimedio blando, e mano a mano abituarsi al moto. Finchè stiamo nelle mani ai medici poveri noi. E lo so per prova. - Noi le Dio grazia stiamo bene. L'emigrazione tutta, dopo l'attentato del Pianori, è tormentata dalla Polizia, e internano or qua or i più pericolosi, o riputati tali. - Ho percorso tutto il Capo Corso, e


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l'ho trovato bello di aspra bellezza; strade sul fianco di rupi scoscese, nere, e il mare sotto anch'esso nero, ed ampissimo; monti sopra monti, e gli ultimi incoronati di neve perpetua; paesi posti colà dove la rondine dubita porre il nido; miseria e cupidità smisurate, e qualche fortuna fatta in America straricca. Continui a darmi nuove di casa, gradisca, e faccia gradire alla Mamma, Babbo, e sorella i saluti miei, dei nepoti, e di Maria, e mi tenga sempre

 

Aff. Am.

D. GUERRAZZI.

 

 

 

A Teresa Bertelli nata Guerrazzi

 

Carissima Amica

 

Prima di tutto rettifico un fatto: io non ho detto già, che dubitava causa del non iscrivermi la paura di lordarsi i guanti, bensì le dita: e questo è altra cosa; perchè i guanti poco hanno da premerle, ma la mano le preme, e a ragione, perchè ottenni, che mi fosse scoperta come la SS. Nunziata. e la trovai bellissima. Ma io volli scherzare, ed ella è troppo buona per rimproverarmi un riso appassito, nato appena a fior di labbra, e morto subito. Mi scrissero dello amico Corsi, della scossa, dello sdegno pubblico, della infermità: ma veruno, tranne lei, mi avvertì della pronta guarigione. Gli altri soddisfecero alla curiosità, ella sola al cuore: ma ella è donna, e queste tenerezze, non ci è che dire, non sanno conoscere altri che le donne.

Se possa o no verificarsi quello che mi scrive, sta in lei: quello di cui l'assicuro è questo: qui spirare aria pura, qui non sapere cholera che sia, qui poterci fino a tutto settembre fare bagni in mare: una dimora lunga, grave, un soggiorno breve, divino, ed esserci qualche villetta assai conveniente da potervisi ripiegare due famiglie, e non cara. Sicchè se il cholera cresce, il che Dio non voglia, qui avrete asilo, e, meglio che asilo, salute, perchè Ferdinando potrebbe sperimentare le acque di Orezza per la sua infermità miracolose.

Quaggiù niente di nuovo, ma in grandissima aspettazione. Saluti tanti a tutti.

 

Firenze, 27 luglio 1855.

 

Affez. Amico e parente

D. GUERRAZZI.

 

 

 

A Ersilia Bertelli.

 

 

Cariss.a Sig.ra Ersilia

 

I mali dei nervi, lo creda allo esperto, si guariscono meno con le medicine, che con la propria volontà. Animo più riposato, genere di vita mutato interamente, e aria, e aspetti di cose nuove li cacciano via: ella lo sa pur troppo; alle Murate mi visitarono garbatamente tre accidenti nervosi, epilettici; temeva che la munificenza di Leopoldo II mi avesse donato per sempre questo guiderdone reale - dacchè gli antichi lo chiamassero morbo regio - ma ridottomi qui, sedato l'animo, mutati modi di vivere, esponendomi sempre all'aria, immergendomi nel mare, sento a poco a poco scomparire il male. Ella adoperi il medesimo sistema, e si faccia animo; ai giorni nostri si vuole la donna forte, che scuote l'avversità come la polvere dalla testa. È molto tempo, che sapevo


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la morte del povero Chiarini, e delle misere condizioni della famiglia: anch'io mi adopererò fare quanto più posso. Egli era uomo di fede. Con dolore odo non diminuito, ma cresciuto, il morbo costà, e, da due ordinari mancandomi lettere dell'amico Corsi, me ne spavento. Qual sobbisso di guai sono piovuti sul mio povero paese! E non siamo a mezzo. Mal fa chi dipinge il futuro di rosa; il futuro è nero; il mio cuore è pieno di compassione per quei matti, che stanno a sciupar tempo in processi puerili, e non vedono qual beccheria il tempo appresta per loro, ed anche per noi. Un giorno di febbre, accompagnata di delirio, agiterà il mondo: questo non credono, a questo non pensano; se tu lo predichi, ti ridono in viso, si sa; è decretato, nessuno si ricrede dalla sua infamia. - Cotesto paese, veduto da lontano, fa figura di decrepito cascato in melensaggine; - melensaggine bizzosa, cattiva, ma melensaggine da vecchi decrepiti. - Così piacerebbe sempre a cui piace; ma altro è popolo, altro è governo, e la distinzione quest'altra volta sarà detta in guisa che non sarà più dimenticata. Ma noi altro non possiamo che contemplare e compatire tutti, amici come nemici, però che, quando la mano di Dio percuoterà, non vi saranno amici nemici, bensì unicamente sventurati. - Che fa la signora Teresa, che la sorella, che il babbo? Non temano; bravi; la paura è mezza malattia; io traversai due cholera senza pensare a ripararmi, e sì che furono fieri, ma fieri davvero! - State sani, amateci, ed abbiate grati i saluti miei, dei nepoti, e della famiglia.

 

Bastia, 30 ottobre 1855.

 

Aff. Am.

F. D. GUERRAZZI.

 

 

 

A Ferdinando Bertelli.

 

 

Bastia, 29 9mbre 1855.

 

Cariss.o Amico

 

Sempre care mi arrivano le notizie sue, e di casa: vorrei fossero migliori quella della Ersilia, e penso, che la risanerebbe, qualora per parecchio tempo stèsse lontana dalla città su le rive del mare, o su l'alto di una montagna, mutando affatto genere di vita: bisogna pensarci.

Qua il cholera procede con molta severità, ci ha portato via parecchi conoscenti, e le donne in casa stanno di mala voglia; ma ormai partirci è dannoso quanto il rimanere; e bisogna far muso duro alla fortuna; sarà quello che sarà, e poi io mi governo un po' a uso Turco: era destinato!

Tempi mai più visti, piagge sformate, piani straripati, monti franati, ogni cosa per la peggio. Fame, miseria, orrori: e tutto questo a cagione della profezia: l'empire c'est la paix!

Della guerra niente; buttano fuori bolle di pace, ma non c'è da crederci. La Russia vuole rifarsi; certo ella sta su le spine, ma gli Alleati riposano su le rose. La guerra andrà per le lunghe, e si strazieranno, finchè l'Austria e la Prussia non ci entrino di mezzo. La Inghilterra già ci ha guadagnato!

a noi sento meglio. Grande insegnamento sarebbe questo, che tanta mole di danni deriva dall'avere o con frode o con violenza rapito le libertà oneste ai popoli: ma sì, egli è un predicare alle rondini.

I miei saluti alla signora Teresa, e alle figlie per parte mia, di Maria, e di tutti. Mi voglia bene.

 

Aff. Am.

D. GUERRAZZI.


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A Teresa Bertelli nata Guerrazzi

 

Bastia, 30 dicembre 1855.

 

Cariss.a Parente ed Amica

 

 

Sempre grati mi giungono i suoi caratteri, comecchè non mi annunzino liete novelle.

Senta bene, e mi dia retta, unico rimedio di Ersilia. che ritroverà infallibile, è recarsi in campagna remota, e copiosa di paesaggi: darsi moto, accomodare lo stomaco, e il sangue, cibando latticini quanto più si può: insomma ingagliardire il sistema venoso onde vinca il nervoso: in altro non isperi: ed io l'ho provato

Che tempi orribili avemmo, signora Teresa mia, e in parte abbiamo: qui non caro, ma mancanza assoluta di moltissime cose, qui cholera in fiocca; qui diluvio universale: tutto adesso è cessato, non la fame. Quaggiù per ora non si può più reggere, che alle miserie l'Italia ha aggiunto le sue: meglio di 10,000 contadini sono venuti quaggiù: e, orribile a dirsi! da Lucca mandarono orfani, i quali si vendevano pubblicamente da 10 a 12 franchi a capo.

Queste cose eravamo riserbati a vedere in mezzo del secolo decimottavo.

Le auguro anno migliore del bruttissimo che muore; saluti tutti in casa per parte mia, e dei miei, e col desiderio, non con la speranza di rivederla, mi confermo

 

Suo aff.o parente ed amico

D. GUERRAZZI.

 

 

Bastia. 23 giugno 1856.

 

Cariss.a parente ed amica

 

Certamente voi immeritevoli colpisce la fortuna matta e maligna; ma mi riesce di non mediocre consolazione udire come rimetta alquanto dei suoi rigori, e se, come spero e desidero, l'aria, e i bagni di mare, renderanno la salute intera all'ottimo Ferdinando, non la malediremo del tutto. - Per ora la stagione corre contraria: ieri ebbi a vestire di panno: oggi poi fa caldo. Sono stato a viaggiare per l'isola: natura aspra, e gli uomini altresì, ma di cuore, la più parte s'intende.

Per iscrivere sopra un argomento, quante volte ho potuto mi sono recato su i luoghi, e me ne sono trovato bene.

S'ella non ha da darmi nuove, pensi se io, che vivo appartato in questa remota parte di mondo. Di tornare a casa non desidero spero. Con la libertà ne sono uscito, e non vorrei tornarci che con la libertà. Quantunque gli anni incomincino a farsi molti, io ho fiducia in Dio, che la patria nostra tornerà a godere le oneste franchigie, che sono bisogno della odierna civiltà, e cesserà il mal governo dei pessimi, che in ogni tempo di miseria pubblica scappano fuori, come erbacce da un campo non coltivato.

Saluti tanti in casa, ed ella mi abbia sempre

 

Per aff.o suo parente ed amico

D. GUERRAZZI.

 

 


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A Ersilia Bertelli

 

Bastia, 21 agosto 1856.

 

Cariss.a Sig.a Ersilia

 

 

Avrei dovuto rispondere prima alla sua lettera graditissima del 12 corrente, molto più che la materia lo meritava davvero: ma ho dovuto procrastinare, stante che ancora io ho sofferto un disturbo intestinale di cui non sono per ancora rimesso. Sento con infinito dispiacere, che la salute del buon Ferdinando non migliora, e a parere mio non fu savio repugnare al taglio dello ascesso; ma forse a questa ora lo avrà fatto coll'opera dello Zannetti: tanto io, quanto Maria e gli altri di casa, desideriamo avere notizie del Babbo, e le auguriamo migliori. Possa questa speranza non rimanere delusa! In attenzione di suoi riscontri, pregandola di dire tante cose a tutti, io mi confermo

 

Suo aff.o amico

D. GUERRAZZI

 

 

 

A Teresa Bertelli nata Guerrazzi

 

Comigliano, 20 novembre 1856.

 

Cariss.a parente ed amica

 

Ella mi narra disgrazie, io le taccio le mie, e se le mie consolassero le altre non mi starei in silenzio; ma come le crescerei il fascio senza pro, sicchè meglio è fare come faccio. - Il freddo mi travaglia, e non siamo a nulla. Non ho mente a scrivere per ora, ma quanto prima qualche cosa di fatto uscirà in luce. Sto solo in una villa arcigrandissima, e messa su alla grande: ci abitò la ex regina di Francia moglie di Luigi Filippo, ed ora la sua nuora mi sta poco lontana. Curiosa! tutti frantumi gettati alla spiaggia.

Parliamo di lei. Intorno a Ferdinando, pazienza, dacchè il male se ne va; per Ersilia poi, finchè non muterà affatto sistema di vita, non guarirà mai; vuolsi aria montanina, e molto affaticarsi, e nudrirsi, e ingrassare.

Quanto mi ragguaglia, circa a femmine, è brutto; più di tutto mi dolse dell'Alberti, di cui le sembianze tanto erano gentili, ma costumi secondo tempi, come frutti secondo gli alberi. Noi Toscani siamo ludibrio per la nostra codardia, e rilassatezza.

Addio, stia sana, e si ricordi di noi. Salute a tutti.

 

Aff.o parente

D. GUERRAZZI.

 

 

 

A Ferdinando Bertelli

 

Genova, 5 giugno 1857.

 

Caro Ferdinando


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Ho ricevuto la carissima sua del 17 maggio, e da questa mi pare dovere intendere che la signora Ersilia ebbe la bontà di mandarmi due lettere senza ch'ella ne avesse risposta. Che sia così non l'impugno, dacchè l'afferma; quello che le posso affermare è, che io ho risposto sempre esattamente. onde ci dobbiamo dolere che le abbiano ad essere andate smarrite.

Mi rincresce che la sua salute non migliori; ma pure, avvertendomi ella, che per guarire radicalmente abbisogna per due mesi dei bagni di mare, mi è dato argomentare che sia in cammino di guarigione. - Con tutti i voti le desidero, che questa avvenga per lei, per la famiglia, e per gli amici.

Non disperi; dopo uno sforzo successe sempre il periodo della prostrazione: questo importa nulla: a tempi quieti ci siamo noi che non pieghiamo mai. Quanto a salute sto bene. A Torino non vado; attendo a stabilirmi a Genova; dove ella venendo mi figuro, che mi vorrà onorare ospite. A tutti in casa salute, e ricordi amorevoli e grati.

 

Aff.o Am.

GUERRAZZI.

 

 

 

Genova, novembre 1857.

 

Cariss.o Ferdinando

 

Io sentirei con molto dispiacere le nuove del suo stato poco migliorato di salute se la giocondità della sua lettera non mi porgesse argomento, che per lo meno spera di rimanere in breve immune da ogni infermità. - Ho letto il bollettino dei Carnefici: vada franco, Dio ci è, e, quantunque non paghi il sabato, sempre paga. - Mi rincresce non poterle mandare l'Asino, come desidera: e sì che ci avrebbe un po' di diritto, essendo nato quando compiva l'opera di carità di venire a visitare i carcerati; e bisogna che si contenti della buona intenzione, che avrei di mandarglielo. - Procuri inviarmi migliori nuove di lei. Tanti saluti all'avvocato Serpente, e grazie della buona mente per me; gli dica, che gli sarò tanto e poi tanto obbligato se vorrà favorirmi qualche fatto, che si presti a farci sopra un bel racconto: negli spogli che fa, certo gli dovrebbero capitare fra mano casi stupendi; e gli dica ancora, che a scrivermi non rimetterebbe altro, che un po' di tempo. Ella potrebbe prendere la lettera e mandarla al mio amico a Livorno. Saluti a tutti e carissimi in casa.

 

Aff.o suo

D. GUERRAZZI.

 

 

 

A Ersilia Bertelli.

 

Genova, 12 novembre 1857.

 

Mia cara signora, Ersilia,

 

Davvero, che durano troppo le nuove non buone della sua famiglia, le quali quanto mi sieno di gravezza lascio a lei immaginarlo; confido però sentire che questa volta i bagni di mare tornino proficui al padre suo. La sorella bisogna che avverta a migliorare il sangue; per me ho fede nei bagni dolci prolungati, e nelle pozioni di salsapariglia, insieme con un regime rigoroso di vita.


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S'ella non ha nuove, figuri io! Che ormai sto da parte, avendo isperimentato avversi uomini e casi; non maledico persona, amo che altri si affatichi per la patria, ma comprendo essere più che stolto non richiesto mettersi nella calca a farsi pigiare. O quelli, che mi fecero il tiro veramente patrizio, o che fanno eglino? Che pesci pigliano? Educano i bachi da seta; bene; bravi; Dio li consoli.

Saluti di cuore Mamma. Babbo e la sorella e mi abbia sempre

 

Per suo aff.o A.

F. D. GUERRAZZI.

 

 

 

Genova, 13 decembre 1857.

 

Cariss.a signora Ersilia

 

Avvicinandosi il natale, le scrivo per darle mie nuove, e domandare le sue. Sono usi vecchi, ma io non sono giovane, e poi, in certe ricorrenze rammentarsi degli amici e volgere loro un saluto, non so in che noccia alla sapienza moderna. Sicchè ella a mano a mano si rifà: coraggio! ogni maggio rinnova i suoi fiori, e le sue fronde: tutto ben pensato, il peggio è morire.

Anco Ferdinando sta meglio; guarirà; ma gli dica che non abbia tanta smania di levarsi tutto il cattivo da dosso: badi bene prima a quello che ci rimarrà.

Mi ricordo che una volta, andando a Volterra, e trovandomi in compagnia del signor Nervini, andammo a visitare le saline; dov'è uno staderone a bilico, sul quale passano gli asini carichi di sale; e se ne piglia il peso. Il prelodato signore si mise su la bilancia per farsi pesare, intanto che domandava: «Ma pesando l'Asino, e il sale in massa, o come fanno a conoscere il peso del sale?» - Signor mio, risposergli, si fa tara asino, e quello che rimane è sale. «Dopo lui entrai io, e dopo pesatomi, io dissi al custode: «Per me non fate tara asino, perchè non rimarrebbe nulla.» - Il gaglioffo non intese. Questo racconti alla Colomba Andreozzi, se la vede, che la divertirà.

Me ne dimenticai nell'Asino; sarà per la 3a edizione, che la seconda è uscita.

Saluti in casa alla signora Teresa, alla sorella, e a tutti, e, se le riesce, insaponi le scale al casigliano.

 

Aff.o A.

D. GUERRAZZI.

 

 

 

Cariss.a signora Ersilia

 

Le scrivo per avere nuove primamente del signor Ferdinando, dacchè le ultime non mi giunsero come avrei sperato soddisfacenti, e poi di tutta la famiglia che non dubito sana, e come si può in hac lacrymarum valle contenta.

Anche questa stagione perversa. Per ben 40 giorni mi sono chiuso in casa, tormentato da tutti i malanni dello inverno. Adesso vado meglio, e, mitigatasi la stagione, continuerà il bene essere.

Malgrado il tempo reo, la gente insani nelle bestialità carnevalesche; però meno dell'anno passato, e di Torino meno assai; dove la morte nel carnevale menò strage. - Torino si bandisce la seconda città d'Italia, e si rallegra di avere attinto in pochi anni 1785 anime tra buone e cattive. Sicuro eh! quando gli altri Stati italiani ci mandano ad abitare il meglio e il buono, non deve fare


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maraviglia se cresca in popolazione, decoro, sapienza, e civiltà. Ma se domani ognuno può tornare a casa, Torino rimarrà come prima.

Si sollevi, si prevalga del tempo sereno, e dell'aria di campagna. Saluti cordiali a tutti in casa e addio.

 

Genova, 18 marzo 1858.

 

Affezionatiss.o P.

D. GUERRAZZI.

 

 

 

Genova, 7 aprile 1858.

 

Mia cara signora Ersilia

 

Sono sorpreso della sua lettera, perchè non corre gran tratto di tempo, ch'io le scrissi chiedendole sue nuove, e dei parenti, e dandole le mie, e dei famigliari.

Per certo la lettera deve essere andata smarrita. Ora la ringrazio dell'ultima gentilissima sua, perchè, oltre al bene di vedere i suoi caratteri, mi porge due notizie consolanti, la prima della migliorata salute del buon Ferdinando, l'altra delle nozze prossime della signora Emilia. Io gliele auguro di tutto cuore felici, e confido che Ferdinando spalancherà bene gli occhi per accertarsi che le abbiano a riuscire tali. E di lei o perchè non mi scrive niente? Il tempo non le ha recato veruna consolazione?

Io vivo la vita dell'esule, rimpiangendo la patria, e desiderando di starmi lontano finchè durano le presenti condizioni. Quanto a speranze, io non ne ho veruna.

Tante cose per me alla signora Teresa. Quanto al signor Ferdinando, io vado orgoglioso di avere contribuito alla sua eterna salute (a suo tempo); perchè, se egli esercitò tutte le virtù corporali puntualmente, come quella di visitare i carcerati, vado sicuro, che un bel seggiolone imbottito di crino per la estate, e di lana pel verno, lo aspetta in paradiso. A rischio però di essere ripreso d'ingratitudine, io non vorrei contraccambiarlo. Stia sana; saluti in casa tutti per parte mia, e dei miei, e si persuada, che le sue lettere saranno sempre per me argomento di contentezza. Mi abbia sempre

 

Per aff.o suo

D. GUERRAZZI.

 

 

 

Genova, 28 giugno 1858.

 

Mia cara signora Ersilia

 

Come la trattano questi calori? Seguì il matrimonio della sorella? Come va la signora Teresa? E soprattutto come sta Ferdinando? Spero avere di ciò risposta soddisfacente. Ma voi altri che siete ostriche, le quali, attaccate allo scoglio, non si muovono mai? O perchè non venite mai quaggiù? Non fosse altro per vedere la figura, che fa questo grappolo di libertà malmenata dalla crittogama d'Italia e dall'altra di Francia.

A mano a mano mi si fanno più rade le lettere del mio paese; ed a ragione; perchè gli esuli sono mezzo morti, e più che stanno fuori più muoiono. Ora, siccome so che i morti hanno sempre


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torto, mi taccio; e poi che dirmi che io non immagini? - Lamenti sempre indecorosi, ed anche ingiusti.

Però anco qua vedo una svogliatezza, e i segni manifesti di decadenza in tutto; casca il commercio, cascano le case, cascano le pratiche religiose, e ripeto per isvogliatezza. Se così dura, lo sbadiglio diventa re del mondo.

Ciò che adesso si fa sentire di più vivo, sono le cicale.

La riverisco unitamente alla buona Maria, e la preghiamo di fare gradire in casa a tutti i nostri saluti e voti per la loro felicità.

 

Aff.mo amico

D. GUERRAZZI.

 

 

 

Genova, 13 Agosto 1858.

 

Carissima Signora Ersilia

 

Desideriamo sapere quale buon resultato abbiano per questo anno ottenuto dai bagni di mare. Sarebbe veramente tempo che la fortuna lasciasse in pace il corpo; quanto allo spirito se vogliamo possiamo provvedere anche noi. Poichè non c'è speranza vedere alcuno di voi da queste parti, Maria si dispone di venire costà, e intanto mi commette dirle, che dia bando alla malinconia, e che beva del buono: che tutto il suo male nasce dal bevere acqua, e che, se venisse a stare un mese qui meco, in questa mia meravigliosa villa, in mezzo della città, donde la vista, e i visceri rimangono confortati, n'escirebbe calafatata, e spalmata da durare contro tutte le tempeste dell'Oceano. Forse si promette troppo Maria, che l'aria non sana tutte le doglie del cuore; tuttavolta merita il pregio di tentare.

Rispetto al sangue verde, deve essere così. perchè siamo impazienti e bisogna esserlo, ma gli eventi si maturano e, quello che deve avvenire, forza è che avvenga. Ma qui non è luogo di favellare su tanto argomento. Questo però abbia dinanzi gli occhi sempre, che il nostro destino è dentro noi, non fuori di noi, e ognuno ne porta il suo pezzetto in mano. Gli omei cacciano fuori le donne partorienti, non gli uomini operatori, e quindi degni di sorti migliori.

Saluti alla Mamma, al signor Ferdinando, ed alla Emilia, e abbiatevi tutti le consolazioni che meritate, e che il mio cuore vi desidera.

 

Affezionatissimo amico

D. GUERRAZZI.

 

 

 

Genova 2 dicembre 1858

 

Carissima Signora Ersilia

 

E come fa a dire, che io non le scrivo? come può accusarmi, ch'io non rispondo? Scrissi col mezzo dell'Avv. Corsi, e s'egli non portò, o mandò la lettera, quale colpa ne ho io? Sappia ch'io rispondo sempre, chè così mi persuadono il debito, la natura ed il costume.

Io, quanto a salute, non istò di peggio; dico di peggio perchè quei tali colpi nel capo si fanno di tratto in tratto sentire, non come dolore acuto, ma come un peso che pure vale ad impedire ogni occupazione. Dono regio contratto in prigione.


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Sento, che Babbo va migliorando. Signore! o quanto ci vuole a scattivirlo? Stia di buono animo, chè spero co' bagni, a stagione calda, guarirà.

Notizie non le so dare, perchè vivo in campagna, quantunque in città. La nepote non è più meco; pigliò il volo come fanno tutte le colombe, e si è maritata. Io le ho data la dote in quattro bei mila scudi di mio; e la partita è saldata. Benedette figliuole! Veniste al mondo col levarci una costola, ma bisogna confessare che ci vivete logorandocene due. Eppure, senza donne non si può fare, tanto vero, che ho qui in casa una bambina di 5 anni che un mio amico ci lascia stare a sollievo della mia solitudine. Maria sta bene, e saluta lei e tutti i suoi parenti. Le auguro, o piuttosto torno ad augurarle, buono anno, carnevale allegro, oblio del passato, contentezza avvenire, milioni, cavalli, carrozze. e una collana di diamanti grossi come mele appiole.

Lo stesso alla Mamma, meno i diamanti e l'oblio del passato.

Lo stesso alla sorella, eccetto l'oblio.

Lo stesso a Ferdinando, con meno i diamanti e con più la spalla sanata.

Tutto suo

 

Affezionatissimo amico

D. GUERRAZZI.

 

 

 

Comigliano 4 del 1858

 

Carissima Signora

 

Sento dalla cara sua, nuove non buone, e mi duole non potergliene cambiare con buone; ancora io mi sento infermo di spirito e di corpo; ma, risoluto non lasciarmi abbattere, con lo aiuto di Dio supererò anche le presenti traversie. Siccome vivo romito, non so dirle niente del mondo per ora basta vivere. Mi rincresce che il capo doloroso non mi permetta trattenermi di più con la sua cara compagnia. Si distragga, faccia viso tosto alla fortuna, e viverà.

I miei augurii sinceri al Babbo, alla signora Teresa, a lei, e alla sorella, e si ricordino di me.

 

Affezionatissimo amico

D. GUERRAZZI.

 

 

 

Carissima Signora Ersilia16

 

Dopo molte inaspettate vicende, e pericoli non mediocri, arrivo qui in Genova, e vi ricevo sue lettere. Sento che la malattia non vuole lasciare ancora casa sua, ma, via, con un po' di cura, ne verrà a capo. In procinto di partire per Torino, non posso come vorrei scriverle più a lungo. Quando mi risponderà, mandi secondo il solito la lettera al Dott. Mangini. Saluti a tutti, e desideri di meglio.

 

Affezionatissimo amico

GUERRAZZI.

 

 

 

A Ferdinando Bertelli


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Carissimo amico

 

Sento con piacere che la sua salute non va di peggio, e vo' sperare, che questa volta Livorno le gioverà assaissimo. Le donne poi col mare si rimettono come fiori, e pare che sentano come Venere nacque dal mare. La cagione del mio silenzio, avrà veduto, se legge il Diritto: scrivo; stampo i discorsi alla Camera.

E' pare che non abbiano smesso il vezzo delle pantraccole laggiù. Io non sono amico, anzi avversario aperto del ministro Cavour; però non ho mancato dargli ragguagli, e consigli sul mio paese; ahimè! indarno. La marea monta, e per colpa dei vili quanto inetti moderati un'altra stella sorge in Italia, che temo forte non iscombussoli ogni nostro concetto.

Stia sano, mi raccomandi alla sua famiglia intera, e ringraziandola della buona memoria, che conserva di me, mi confermo

 

Suo affezionatissimo amico

D. GUERRAZZI.

 

 

 

A Ersilia Bertelli

 

 

Carissima Signora Ersilia

 

Che ardire, e non ardire? Sono io, che devo ringraziare lei, la sorella, e la Signora Teresa, e il Babbo, dell'amore vero, che mi portate, e della cortese memoria, che vi compiacete conservare di me. Ella sposa: così va fatto; e, se niente niente il consorte la fa arrabbiare, procuri avere il pozzo in casa, e a gambe levate lo scaraventi dentro, e poi se ne prende un altro. Si fa col Papa? O perchè non si potrebbe fare coi mariti? Figliuoli meno che sia possibile, io per me sono di avviso del padre Bendini: meno galline, meno pipite; ed io lo so, e non sono miei. Orsù, fuori scherzo, io con tutto il cuore le auguro mille felicità, e la ringrazio della lieta notizia, che mi . Abbracci tutti i suoi per me. Al Babbo dica, che non fu per complimento, ch'io gli dissi: venga 15 giorni qua da me. Ho stanza, che basta, l'aria purissima, e nuova, a mezza costa d'un colle sul mare, intorno boschi di olivi, clima da primavera, sole di prima mano; in sei ore si viene da Livorno; scegliendo un bel giorno di vento di terra è delizia. Insomma, quando dico: vieni, lo dico col desiderio che l'uomo venga. Addio dunque, e se la mia benedizione può esserle seme di felicità, io gliela mando con la pienezza del cuore. Abbracci tutti, e mi ami sposa come mi amò fanciulla. e questo è tale affetto di cui vado sicuro non ne andrà geloso il suo egregio sposo.

 

Affezionatissimo amico

D. GUERRAZZI.

 

 

 

Carissima Signora

 

La sua ultima lettera, nell'annunziarmi finalmente che tanto ella che i suoi, godono perfetta salute, è riuscita oltremodo accetta a me, e a tutti di casa. Così spero e desidero che continui: al resto poi provvederanno il tempo e la buona fortuna. Quaggiù abbiamo corso burrasca. La legione straniera aveva fatto disegno d'impadronirsi della cittadella, ardere la città, ammazzare e rubare i


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ricchi, o riputati tali, perchè sento, che ci avevano messo nella nota anco me; scoperto il fatto, per denunzia di un complice allo Imperatore, una grossa vaporiera è arrivata a prenderla tutta per trasportarla in Africa. Io non mi adonto, anzi vado lieto, che mi abbiano tolto il titolo di Avvocato, dacchè non l'ebbi in pregio mai, e parmi (superbia o no) stare meglio solo. Qual'è commessuccio del Bargello che non si chiami Avvocati i Carcerieri, Cavalieri i Soprastanti? Dunque, la meglio, e la più pulita, è portare il solo nome proprio scosso e spazzolato da qualunque polvere. Niente mi parla di Firenze, di arti, di musica, nulla: questo è male. Una signora mi ha scritto da Ragusa avvisandomi che i giornali costà dicono che io mi sono venduto al Governo; che in questo pensiero ella spasima; che non avrebbe più fede. Io non le ho risposto nulla. Può risponderle ella, ed ella può dirle se io sia uomo da vendermi; ha nome Paolina Lepès. Saluti a tutti.

 

Affezionatissimo A.

GUERRAZZI.

 

 

 

Carissima Signora Ersilia

 

Mi sono arrivati davvero grati i suoi caratteri, imperciocchè appunto con Maria temeva quello che trovo essere arrivato, cioè che la salute vostra non era buona. Ora la sento migliorata; io ve l'ho detto, e ve lo ripeto, bisogna mutare abitudini di vita, nutrimento e in campagna; in campagna, e latte, erba, e pollo; in meno di sei mesi tornate sani come lasche.

Seppi le insanie scellerate dei Fiorentini. Svergognati! meritano l'ira di Dio, e il disprezzo degli uomini. Se non poteva trattenerli il rispetto all'affanno di tanti esuli italiani in terre remote a stentare la vita con la speranza, che i rimasti a casa pensino a loro, e li compassionino, l'amarezza della perduta libertà, la memoria di tanti traditi morti sul campo, dei trucidati nelle città, delle bastonate tedesche, i lutti recenti del cholera, almeno, anime squarquoie, doveva frenarli il senso della miseria presente, e la minaccia della disperazione futura. O per chi, per chi, per chi, ci siamo sagrificati noi! È una schifezza, che supera ogni credenza. E in Livorno come a Firenze; a Roma e a Napoli eziandio, crogiolano nella servitù. Ci stieno: a me che importa? nulla. Arlecchino mangiava le saponette a colazione. Forse adesso si vergognano molti, per tornare a far peggio domani. Ora i Predicatori. Le cause vinte hanno torto, e a lungo andare non piacciono a Dio, agli uomini, e alle donne meno. Saluti a tutti in casa, la Mamma, il Babbo, e l'Emilia.

 

Affezionatissimo

D. GUERRAZZI.

 

P. S. Mi vorrebbe essere cortese a levare dalla sopraccarta Avvocato? La Corte di Firenze me lo ha levato, e a me non par vero obbedirla. Domenico Guerrazzi basta.

 

 

 

Carissima Signora Ersilia

 

Mi è riuscito oltremodo spiacevole udire le male nuove della salute del Pappà. Per guarire dalle malattie intestinali bisogna mutare aria, non c'è rimedio. Quando il corpo si vizia lentamente sotto una temperie, nessuno speri guarire se non n'esperimenta una diversa. Comprendo quanto è critica la condizione di lei, ma ormai è forza sostenerla con fermezza, dacchè non so cosa giovi innaffiarsi lo viscere di bile. Triste è il caso, ma non degli irrimediabili. O io mi dovrei dare al diavolo, che mi trovo in esilio dalla terra, che amo, senza amici, senza colloqui intimi, di cui neanche in prigione era privo. Nipoti ho bene, ma giovani, e non devono starsi ad annoiarsi meco;


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ogni età ha i suoi piaceri: spesso mi trovo di faccia a Maria, zitti come olio, ella col gatto in collo, io co' cani fra le gambe. Abbiamo giorni procellosi, e tristi. Speriamo bene. Tanti saluti a tutti di casa, ed ella mi abbia sempre

 

Per suo affezionatissimo amico

D. GUERRAZZI.

 

 

 

Carissima Signora

 

Le sue lettere mi giungono oltremodo gradite, molto più che non cessano, mentre le altre illanguidiscono. Così è, i miei amici di Firenze, o distratti da altre cure, o, come credo, piuttosto in virtù della sentenza, che uomo bandito è mezzo morto, a mano a mano si dimenticano di me. Questo è amaro a sopportarsi, ma, la Dio mercè, sortii un cuore capace da contenere questi, e bene altri dolori. Le passioni umane conosco tutte, e so compatirle; i lagni non valgono, e poi palesano debolezza: l'uomo non può essere diverso da quello che è.

Qui non abbiamo cholera, e, se caso mai, o vaghezza o necessità vi persuadesse ad allontanarvi da Firenze, ricordi all'ottimo Padre suo come qua vi siano le acque di Orezza, portentose veramente alle infermità dei visceri. Dal continente vengono a curarsi i malati di stomaco, fegato, intestini, e gran copia di quest'acqua va all'estero. L'avverto, e le confermo, che il passaggio da Livorno in una bella notte si fa in 5 ore, ed in meno.

«Bene! Brava! Mi parli del paese

Parlami della mia,

Della diletta tua patria natia

Il cholera è scoppiato costà? Ma sarà paura? E poi è cessato: speriamo bene, dunque. A Livorno dicono il male più fiero; dicono, ma altri negano. La verità da qualche tempo è andata in campagna; in città si fa vedere più poco: ma il cholera vi sarà benissimo, e ciò pregiudica i divertimenti, i balli, le frivolezze di quel popolo frivolissimo, non è vero? Ogni giorno il cielo si fa più buio, e ormai, perduta la bussola, io mi abbandono nelle braccia di Dio. Non istò bene; tutt'altro: vivo romito e non vedo che il mare rotolare le eterne sue onde sotto casa mia, e più sento, che altrove starei peggio.

Perchè la signora Teresa non mi scrive? ha paura tingersi le dita nell'inchiostro? Se avessi 30 anni meno, ella mi scriverebbe di più; oh! vedete che presuntuoso. Signora sì: quando aveva 20 anni mi pareva essere bello, e, a dirgliela nell'orecchio, pareva anche ad altri; ma di qui a quei tempi ci è che ire.

I nepoti, e Maria in ispecie, salutano lei, e tutti di casa; io mi raccomando alla vostra memoria e mi confermo

 

Suo affezionatissimo amico

D. GUERRAZZI.

 

 

 

Carissima Parente

 

Duolmi lo incomodo del padre suo, e amico carissimo mio, e più mi sarebbe doluto, se al punto stesso Ella non mi mandava notizie del suo miglioramento: spero che progredisca, e in questa fiducia mi conforto. Conto di rivederlo, e rivedere lei unita alla sorella, e alla Mamma, ed esprimervi a voce i sentimenti di affetto profondissimo, che ha suscitato in me il vostro amore unico. Intanto abbiatemi per vostro


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Amico e parente

D. GUERRAZZI.

 

 

P. S. Saluti a tutti. Ieri non risposi perchè il braccio non voleva andare, oggi fa mezzo a suo modo, e mezzo al mio.

 

 

 

A Emilia Bertelli

 

 

Genova 31 Dicembre 1858.

 

Carissima Signora Emilia

 

Io, intitolando questa lettera, non ho messo il suo casato, perchè lei, come l'anno, che cessando di essere 58, non è ancora 59, stando su la scala delle nozze, non è anco entrata nel forno del matrimonio. Però se propriamente lei entrerà nel forno del matrimonio, o il matrimonio entrerà in lei, questo è quello che mi dirà più tardi. Però, mettendo gli scherzi da parte, si abbia da me gli augurii per le felicità che meritano le sue ottime doti, e spero che, come ottima figliuola, riuscirà ottima sposa, e più tardi ottima madre.

Mi duole che quella benedetta spalla di Ferdinando non voglia guarire affatto, ma in questo anno ha da sanare la sua piaga, e con essa saneranno bene altre piaghe; almeno così si spera.

Ecco ciò che mi chiede: avrei voluto fare meglio; ma s'incomincia a invecchiare, e quando passa la stagione delle pesche si fa buon viso anco alle castagne. Maria sta bene e saluta tutti; in questo anno conta venire a Livorno, e può darsi che le incontri ai Bagni. Reverisca la signora Teresa, e la signora Ersilia, e di nuovo augurandole quanto il suo cuore desidera mi confermo

 

Affezionatissimo amico

F. D. GUERRAZZI.

 

 

 

A Ferdinando Bertelli.

 

Genova, 13 agosto 1859.

 

Amico carissimo,

 

Prima di tutto grazie a lei dello inalterato amore, e affetto, e reverenza a cui si mostra benevolo a me. - Pur troppo l'Av: pare siasi attirato (almeno pel momento) l'ira universale addosso: io l'ho ammonito come doveva, ma il suo sangue gli si è infiammato nelle vene, e ora a toccarlo si farebbe peggio. - Io tengo lei, e devo tenerlo come un fratello, ma creda, Ferdinando, che a me non è sicuro decente venire. Posso sbagliare, ma siccome penso molto alle cose, così paio ostinato, ma non sono. È difficile per lettera dir tutto, ma così in succinto basti questo.

Fin dal febbraio passato promossi qua presso il Governo le cose di Toscana. Consigliai chiamassero di costà persona per informazioni: chiamarono Ridolfi, e al tempo stesso chiamarono anco me; nel punto di partire il Corsi mi avvisa venire col Ridolfi. - Aspettai a Genova nel concetto che, passando, mi avrebbero cercato, e così insieme andati a Torino. Vennero; non mi cercarono;


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Corsi mi scrisse di Torino perchè andassi; ma spedì la lettera al suo nipote Caprile qui in Genova, che la tenne 3 giorni senza consegnarmela; mentre mi disponeva andare mi vedo comparire il Corsi: parlammo insieme: predicò concordia; (questi signori l'hanno sempre su le labbra); averla anco raccomandata il signor Cavour.

Per me ogni sacrifizio par facile per lo amore della patria: quanto a offese non se ne parlasse più: circa a politica avrei appoggiato quanto proponeva. Se scrivendo, poterlo fare di qui; se con la presenza in Toscana, ricordasse, che non mi permetteva la disastrosa fortuna tenere due case, una qui, una costà; e il traslocarmi con le mie robe troppo spendioso.

Partiva: dopo un mese scrive il Corsi: non avere potuto incominciare la pratica dell'accordo; poi zitto: dopo altri 40 giorni mi notizia dello avvenuto a Firenze e mi conforta, se amo il paese, a durare in esilio: - Così mi scrissero altri, e così scrisse il Bon - Compagni al cavaliere Carlevaris, mio amico trentenne. Subito dopo l'oltraggio dell'amnistia. Io vidi allora le arti della fazione aristocratica, che arrolò Corsi, Malenchini, ed altri per tentare il terreno, e per gratificarsi il popolo, e governare tiranna; e così fu, e così è.

Il popolo è rimasto attontito, intronato dalle minacce: guai! se ti muovi; guai! se ci tocchi; guai! se non ci lasci fare. - Traditore, parricida, matricida... anatèma! anatèma! anatèma!

Gli atti di governo furono una serie di errori; ma avevano il piviale della Indipendenza addosso, e bisognò lasciarli stare.

Ora io ho rimesso a servire il popolo il mio stato, mezza salute, mezzo ingegno, e più che mezzi gli averi: io non rinfaccio nulla: mi sento disposto a servirlo da capo, ma non mi sento disposto a elemosinare il permesso di finire questi avanzi di vita per lui. - Il popolo non mi ama, il popolo mi ha obliato; lo so, ingannato, e deluso: ma perchè, com'ebbi nemici operosi e implacabili a nuocermi, non gli ebbi del pari a giovarmi?

E poi a che venire? Se per esprimere un voto per la decadenza dei Lorenesi, e per l'annessione al Piemonte? Io l'ho fatto col ritratto di Leopoldo II; con la dichiarazione del 12 agosto nel Diritto, col Ricordo al Popolo toscano stampato in Torino. Tanto basta.

All'altre cose del Governo vostro non potevo aderire: e la mia opposizione si sarebbe attribuita ad astio, e a mal talento.

Di più, chi governa ora? Gente aristocratica; anzi oligarchica; ed io mi sento popolo schietto; forte, leale, e generoso sangue popolano: - essa non seppe e non volle perdonare di avermi atrocemente offeso: dunque intende stare in guerra meco: - uno di loro, Ridolfi, mi ha messo le catene alle mani iniquamente, per una sua poltronesca, e matta paura; l'altro, il Ricasoli, mi ha esposto ad essere fucilato dai Tedeschi per cruda, e fredda vanità di comandare. Ricordi ch'ero l'agnello da essere arrostito per il connubio di Ricasoli e Compagnia col Granduca restaurato. Ricordi il furore col quale hanno avversato la mia elezione. Come intendano libertà lo vedo dallo sgoverno ombroso, e tirannico; quanto a giustizia vedo conservati i carnefici in seggio. - Non mi pare aria di tornare adesso. - Le ho detto e le ripeto, e le ripeterò invariabilmente sempre: se il Popolo mi vuole, mi chiami come conviene a lui, e a me: se non mi vuole, mi lasci.

Certo, veda sorte disforme! Manzoni onorato, levato a cielo, e pensionato dal Re; io avvilito, oppresso, impoverito dal Popolo. Manzoni pel Re non fece mai nulla, io pel Popolo sempre e tutto. Bisogna pigliare tutto con equo animo, e senza querela, chè lo strillare è da bambini.

Le sarò grato se mi darà più frequenti che può notizie intorno agli umori reali non fattizi che si vanno sviluppando nel popolo costà.

E agli amici veri dia comunicazione di questa lettera. Mi conservi la sua benevolenza; saluti alla signora Teresa, e alle figlie anche per parte di Maria.

 

Aff.o

F. D. GUERRAZZI.

 

Genova, 29 agosto 1852.

 


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Cariss.o Ferdinando

 

Ho ricevuto la sua lettera; ho detto sua, ma le dico alla ricisa, che non la credo sua; e poi mi giova sperare, che molte cose le non sieno come le conta, perchè, se fossero, io dovrei scapparmene in America.

Che cosa ha l'Apologia, che mi faccia torto? - Sostenni che, eletto ministro del Principe costituzionale, compii con fede il mio dovere; e questo è vero. Dissi che dopo Novara pensai di farlo chiamare con patti, e garanzie: ed anco questo è vero. In che mi appuntano dunque? E che ha l'Apologia, di cui io mi abbia a vergognare? Amerei saperlo.

Mi parla della difesa del Capponi. - Ma oh! non vede, che questa finta o vera moderazione è quella che tronca le ossa. Quali torti mi trova egli? Non egli mi propose ministro al Granduca? Non egli membro del Governo Provvisorio? - Forse non eseguii il mandato? Gli stessi carnefici miei non lo attestano? Dunque quali torti ho io? E perchè egli consentì che mi tramassero l'orribile tradimento? Egli si scusò allegando la cecità sua; ma il cuore è cieco?

Ella vuole non parli del 12 aprile; non ne parliamo; ma io che ho sofferto (ella lo sa) la più che quadrienne carcere, e i colpi di epilessia, e le poche sostanze rovinate, e con fredda crudeltà il trovarmi esposto alla fucilazione tedesca, e la squisita prigionia con tramogge, ribalte, ecc. ecc., bisogna che lo rammenti; e tanto più lo rammenti perchè credo non aggravarmi la coscienza reputando il Ricasoli, e il Ridolfi capacissimi di farmi assassinare.

Il popolo ha dimenticato: pazienza! Gli auguro ogni bene, e non gli rinfaccio niente, e niente domando da lui. Chi ha avuto, ha avuto, e credo ci possa stare.

E poi venire a chiudermi in una villa! stare bonino; seguitare la politica del Governo, come hanno fatto i miei amici, ed implorare la elemosina di potere logorare in prò dei padroni quel po' di vita, di averi, d'intelletto che mi rimangono?

Chi le ha detto che i miei amici seguano la politica del Governo? La oligarchia, che regge costà, ebbe la destrezza di mettersi il piviale delle idee, che fin qui sono la passione del popolo, e con esse dura. Così sembra fautore della Unità, e dell'Annessione al Piemonte, mentre professò sempre massime autonomiste, e zelatrici della dinastia. Tanto vero questo, che il Ricasoli nel febbraio proponeva andare in palazzo a proporre a Leopoldo II la renunzia in prò di Ferdinando IV. E' mi paiono ladri, che avendo rubato la pisside, pretendono passare per sacerdoti. La non può tirare innanzi un pezzo; arriverà il bargello, e dirà loro: la pisside nel ciborio, e voi altri birbe in galera. - Se togli questi punti nuovi per loro, vecchi per noi: in che vuol ella, sia benedetto, che ci troviamo d'accordo? Quello che hanno fatto fecero tardi con la corda al collo. Essi amano la libertà quanto io e lei Pio IX.

Rispetto a A. e T. mi occorre correggere una sua assertiva assai avventata. A. non mi scrive più, io gli scrivo; sono uomo da movermi da ciarle senza fondamento; e sperava, che la mi dovesse conoscere. Quanto a T. egli non mi consiglia, mi riferisce: lo aiuto, e fa quello che nella sua professione gli ordino.

Ripeto, ho scritto un po' vivo perchè ho creduto di non scrivere a lei, e perchè nel suo foglio trovo giudizi, ed opinioni che non mi si affanno; ed ora basta. Se potremo rivederci a casa, bene, se no, basta che ci rivediamo in paradiso.

Intanto mi scriva un po' lei, o mi faccia scrivere dalla Ersilia; e con un abbraccio di cuore, pregandola dei miei saluti in casa, mi confermo

 

Suo aff.o am.

F. D. G.

 

P. S. Credo bene avvisarla di una cosa perchè c'intendiamo meglio. Io non cerco, cercherò mai deputazioni. Richiesto a Livorno di prova: per mettere il mio nome sul ruolo degli elettori, rifiutai; commisi al signor Mangini, e agli amici, astenersi da qualunque pratica per me. Anche pochi giorni fa il signor Romanelli, nel presagio di una renunzia alla deputazione di Arezzo,


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me la offeriva, ed io la renunziai. Non ho bisogno di deputazioni, di partiti; ho chiesto un po' di amore, e di essere restituito in patria senza trovare sulla soglia la infame sentenza, e la più infame amnistia. - Se alla giustizia dei miei concittadini pare troppo, io durerò in esilio. Forse un giorno mi loderanno di non essermi lasciato avvilire, ed esalteranno quanto ora deprimono.

 

 

 

A Ersilia Bertelli17

 

Cariss.a signora Ersilia

 

Rispondendo a lei rispondo all'amico Ferdinando. Io non mi guasto per così poco con le persone, che amo, e che mi hanno fatto del bene. - È costume dei signori, che ora obbedite, perseguitare a morte chi non partecipa la loro opinione; non mio: quando non ci possiamo intendere su materie politiche, non se ne discorre più, e rimangono inalterati gli affetti, gli uffici, e i termini di buona amicizia. D'altronde, se mi commossi un poco fu davvero per le nuove che Ferdinando mi fece la gentilezza mandarmi; anzi sarei veramente obbligato se me le rinnovasse; bensì m'increbbe l'approvazione, che in certo qual modo pareva che il Babbo dèsse a coteste grullerie; egli che vide quale strazio di me si facesse, e sa se lo meritai, e conosce quanto furono e sono crudeli, e superbi, i miei carnefici, come poteva consigliarmi a tornare, farmi piccino, piaggiare il Governo ecc.? - Questo, lo confesso, mi spinse una fiumana di sangue al capo. Lo stesso dicasi dello addebito stolto dell'Apologia. Io dissi questo, ed è vero: dopo Novara pensai, badi bene, pensai ad armare il paese, e poi alla tornata dell'Assemblea orare in questo senso: soli contro Austria non possiamo reggere, bensì fare difesa disperata. Io vi conforto a mandare a dire a Leopoldo che spontaneo uscì, e spontaneo torni, se vuole, a patto che non vengano Tedeschi, e si mantenga lo Statuto; se così farete, l'Inghilterra promette la mediazione, e la garanzia, (io aveva riportata questa promessa); io mi condanno allo esilio, contento di portar meco la vostra affezione; se invece vorrete battervi, e me confermate nell'ufficio, farò il debito.

Ecco quello che divisava fare. - Sostenere che gli Aristocratici hanno fatto ma non detto prima, è scempiezza, perchè il fatto basta e ne avanza; ma non è vero: lo dissero ancora e fu pei loro proclami, e assicurazioni che il popolo si rivoltò. Essi dicevano: col resistere, e coll'imporre garanzie, il Granduca vi chiama i Tedeschi a casa, e vi assicuriamo libertà, immunità da occupazione straniera ecc. ecc. Questa è storia; i documenti avanzano a centinaia, ed a negarli ci vuole fronte più che di bronzo.

E del Capponi ancora mi urta quell'aria di moderazione. - Chi consigliò il Granduca a pigliarmi ministro? Lui. Chi orò solo perchè mi deferissero il Governo provvisorio? Lui. Feci il debito? Tutti con giuramento risposero: sì. Dunque dove va a pescar torti? Torti sono i suoi, quando tradì l'antico amico, quando lo lasciò in mano dei suoi carnefici, quando lo espose ad esser fucilato dai Tedeschi. E, quando stava in prigione, mandò a scusarsi allegando la sua cecità; ma le cattive azioni muovono dal cuore, e il cuore non accieca. - Ferdinando queste cose sa, ha viste, ne fu parte; però doveva così rispondere e difendere l'amico perseguitato, e il parente?

Sul rimanente della sua lettera non risponderò. Solo le dico, che alle mie mani avreste avuto meno lumicini e più schioppi.

Le cose sono tutt'altro, che tranquille, e sicure. La libertà, cosa cara, caramente si acquista, e se pensano averla senza sagrifici, e atti virili, e risoluti, dubito assai se riusciranno. Ad ogni modo questo non ha da essere pensiero mio: ci provveda a cui tocca.

Tanti saluti a tutti in casa; e di nuovo accerti Ferdinando ch'io l'ho per buono e caro amico, e lo prego e lo conforto a mandarmi le nuove di quello che vede, ed intende, chè io di certo me ne gioverò nella via, che rimane a fare. Addio; anche Maria saluta.


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Affezionatissimo amico

F. D. GUERRAZZI.

 

 

 

A Ferdinando Bertelli

 

Genova 26 Ottobre 1859.

 

Caro Amico

 

Rispondo tardi perchè stetti parecchi giorni a Torino. E' pare che Pandora versi il vaso dei mali sopra la sua famiglia: non può credere quanto questo ci affligge; ma a questa ora speriamo risanata la Signora Teresa, e gli altri mali attutiti. In questa speranza passo ad altro.

Conferii parecchie ore con Vittorio Emanuele; e co' ministri più volte. Il Carignano non può venire; Napoleone lo vieta; chè vuole restituito il Granduca con territorio accresciuto: pure non lo metterà per forza, riproporrà il cimento del suffragio universale perchè lo avvenuto (egli dice) è ristretto, e spremuto da una fazione. Dunque tutto sta adesso nel disporre il paese a sostenere lo assalto del nuovo voto. Non si crede l'attuale Governo capace a ciò; è un po' logoro, corbellerie ne ha commesse, e asperità non poche, vecchie e nuove. Però si vedrà di convocare l'Assemblea, ed eleggere reggente il Gen. Fanti, buona e valente persona, prediletta al Re; no Ricasoli, perchè le sue rigidezze voglionsi temperare, perchè capo imporrebbe i suoi concetti, e così non si farebbe guadagno, e perchè Napoleone lo detesta; onde non si vorrebbe urtare con lui. Il Gen. Fanti comporrebbe il nuovo Ministero, conservando del vecchio quanto è popolare ed ha valore vero, l'altro licenzierebbesi onestamente. Il Governo così ricomposto avrebbe a proporsi questo fine precipuo: tenere il Paese ben disposto perchè, interpellato da capo, dicesse:

1 Non voglio Lorena e servitù

2 Voglio Savoia e libertà.

Il Governo Sardo fa pratiche per questo: costà la pubblica opinione avrebbe a secondare con tutte le forze; e presto, perchè, com'ella bene avverte: in mal tempo arriva l'affare delle Dogane che, ledendo molti, li alienerà di certo, e queste cose vanno fatte a tempo e a luogo, e dopo molte avvertenze: e in tempo peggiore gli arresti (segue una parola inintelligibile), perchè scompigliano, lasciano zizzanie, e sono tanti voti contrari a Vittorio Emanuele che non ne ha una colpa al mondo. Se rimarrete neghittosi, vi troverete per la seconda volta Austria in casa. Addio. Mi scriva presto per darmi nuove della salute sua, e dei suoi.

 

Affezionatissimo

F. D. GUERRAZZI.

 

 

 

Genova 14 Novembre 1859.

 

Caro Ferdinando

 

Ho il cuore piccino come una nocciuola. Altro che feste! Potrebbe darsi, ma io non vedo che di due cose l'una, o restaurazione, o guerra. E badi, guerra col tedesco, guerra di rabbia, guerra di sterminio, e combattuta senza aiuto francese. Così bisogna mettere l'alternativa: e se il popolo vuole, si levi, e si apparecchi; se non vuole, torni alla stalla. Io ho motivo di credere, che il Re è lavorato di straforo non dai nemici, no, che questi sono aperti e leali, ma dagli amici, che già a


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quest'ora a Parigi armeggiano a cascare ritti in ogni evento. E di più non posso dire. Io non tornerò, perchè chi ha cominciato bisogna che finisca, e poi io non muto mai; anco, che mi disponessi a tornare a questi lumi di luna, io non muoverò passo se non chiamato: e se non mi vogliono, ci vuole pazienza. Perchè poi sia così ostinato, sappia, se io non gliel'ho detto, che il Governo presente, coll'organo del suo Capo, scrisse lettera con la quale si diceva, che, se amavo la Patria, stessi lontano per amore di Concordia!!! Dunque obbedisco.

 

Affezionatissimo Amico

GUERRAZZI.

 

P. S. Dicesi in questo momento che dopo contrasto sia risoluto l'invio del Carignano.

 

 

 

Genova, 14 Dicembre 1859.

 

Carissimo Amico

 

È parecchio tempo che manco di sue nuove, e, certo, perchè ho mancato di riscontrare l'ultima sua; ma ciò non l'avrebbe a trattenere, perchè talora sono stanco di scrivere, e non ho, come lei, persona discreta a cui possa dettare; dunque mi dia sue nuove, e di tutti di casa.

Che cosa è questo negozio? Comincerebbero per avventura ad accorgersi i fiorentini, che cotesto civilissimo governo si rassomiglia molto a quello, che adoperano in talune parti dell'America, co' negri lavoratori ai mulini da zucchero? Vedono alfine che dai modi vecchi ai nuovi la differenza che corre è di un L a un R? Resuscita il duca Valentino costà? Mi pigliano i rossori considerando in qual modo un arrogante aristocratico presuma avvilire la patria nostra.

Mi occorre pregarla di un sommo favore, il quale è di volersi compiacere a fare consegnare a Giuseppe Montanelli in proprie mani la qui inchiusa lettera, dacchè da Livorno e da Firenze vengo assicurato che il liberalissimo vostro Governo viola il segreto delle lettere, ed io non amo punto ch'ei sappia i fatti miei.

Qui la stampa suona a vituperio contro al Bey di Firenze; e credo che il Ministero stesso non lo veda con dispiacere.

Mi saluti la Signora Teresa, il genero, e le figlie; anco per parte di Maria, e mi abbia sempre

 

per suo affezionatissimo amico

F. D. GUERRAZZI.

 

 

 

Genova 4 Gennaio 1860.

 

Carissimo Amico

 

In primis buono anno a lei, alla famiglia, al genero, e a tutti; il passato poteva andare meglio, ma siccome poteva andare peggio, così contentiamoci.

Quello che ci è, è questo, che, non solo in Firenze, ma in altri punti d'Italia credevano ballare a suon di violino, e bisognerà ballare a suono di cannoni. L'abietta e vile tirannide che opprime la Patria nostra è venuta in uggia quaggiù, e la bombardano a palle rosse. Chi porterà via questi rospi pieni di veleno e di goffaggine è nato. La Nazione armata, con a capo il Garibaldi, simbolo, ed espressione del popolo italiano. Via aristocratici, e tirannucci da sedici alla crazia, e voi scotete coteste vergognose some. La pazienza ha pure un confine. E sopporterete in nome di


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mentita libertà quello che non soffriste colla tirannide? Giù privilegi, giù tribunali eccezionali, giù ciarlatani. Libertà ed armi. Ecco le nuovità. Come le trova? Addio: saluti a tutti, e mi mandi nuove più che può e più spesso che può. Bisogna cavare fuori la spada, ed io lo faccio proprio tirato pei capelli, ma, tirata che sia, butto il fodero al diavolo. Stia sano.

 

Affezionatissimo Amico

GUERRAZZI.

 

 

Al cav. Cesare Stiavelli

 

Cecina 4 Marzo 1871.

 

Carissimo Signore

 

Mi trovo favorito di un suo lavoro, di che la ringrazio. L'ho letto con l'attenzione, che meritava, e mi parve ben fatto; considerandolo come saggio di cosa maggiore, se a continuare nella impresa di illustrare monumenti le basta il conforto di una mia parola, io volentieri gliene do mille. Quantunque io non ci trovassi molto a riprendere intorno alla lingua, tuttavia mi corre l'obbligo avvertirla, che parecchie locuzioni da lei adoperate non vanno immuni da vizio, e talune parole voglionsi addirittura condannare, come a mo' di esempio: «dettagliatamente». L'obbligo di scrivere netto corre a tutti, ma più a lei che a pag. 10 mi esce fuori con queste parole d'oro: «La lingua che è il primo tesoro d'una nazione, e tanto la illustra, quanto più è bella, dovrebbesi con religioso studio adoperare in ogni maniera di scritti

Ma so bene io donde la colpa: dai giornali, la più parte veleno di morale, di dignità, di libertà, di tutto.

Gradisca queste parole come di padre, e mi abbia con stima per

 

Affezionatissimo suo

F. D. GUERRAZZI.

 

 

 

Cecina, 20 Maggio 1873.

 

Mio caro Signore

 

Ho ricevuto da Lei una illustrazione intorno al quadro di s. Luigi Gonzaga, dipinto dal fu Angiolo Visconti annegato nel Tevere. Piango il miserrimo fato del povero giovane.

Io non entro mai in chiesa, e se ci dovessi entrare, non vi considererei la immagine di Luigi Gonzaga, persona dalla quale di pieno cuore ripugno. Giovane stupidito dalla venefica influenza dei Gesuiti, fino al punto di temere una carezza della madre, anzi la sua medesima faccia come una tentazione del demonio. Può darsi, io già nol contrasto, che il quadro, come lei dice, possa meritare lode dal lato plastico, o vogliamo dire, tecnico; è impossibile che appaghi per la parte psicologica, o estetico - morale. io mi sdegno col pittore circa la indegnità del soggetto, bensì col committente matto e beghino. La religione cristiana possiede i suoi eroi, che meritano davvero essere celebrati co' carmi, co' marmi e coi pennelli; a mo' di esempio san Telemaco, che, precipitandosi nel circo, si pose tramezzo ai gladiatori combattenti, e a prezzo del suo sangue fece cessare coteste atroci carneficine. E quando ai cristiani altro non sovvenga, facciano dipingere Cristo in croce, la Madre da un lato, e san Giovanni dall'altro, simboli, o verità di anime divine che affermano col martirio la santità dei propri principii; di affetto materno, che vince ogni dolore, per porgere conforto al Figlio


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straziato: di amico cui basta di accompagnare il suo amico al patibolo, e alla presenza dei persecutori affermare il suo affetto al condannato.

Questi gli argomenti nei quali l'artista può ispirarsi davvero, imperciocchè potente Musa in ogni maniera di arte esplicatrice dello spirito umano sia la commozione che nasce dal vedere la virtù che abbraccia la sventura per giovare alla nostra stirpe infelice.

Dunque non si dipingano Luigi Gonzaga, Stanislao Kotska, altri santi della fabbrica dei Gesuiti.

Gradisca i miei distinti saluti co' quali mi dichiaro con stima

 

Aff° suo

F. D. GUERRAZZI.


 

 




16 Questa lettera, e le sette che seguono, mancano nell'originale della data.



17 Nell'originale la lettera manca della data; ma sopra di essa vi è il bollo dell'ufficio postale di Firenze, in data del 14 settembre 1859.






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