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Carlo Goldoni
L'adulatore

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SCENA OTTAVA

 

Arlecchino vestito con sotto il suo abito, poi con una livrea in un braccio, una giubba civile nell’altro braccio, dinanzi un grembiale da cucina, una parrucca arruffata, una frusta in mano, stivali in piedi; e detti.

 

ARL. Cossa comandela?

SANC. Oh buffone! Non cercava di te. Che razza di vestitura è quella che tu hai?

ARL. Una vestidura a proposito del tempo che corre. Questo l’è l’abito da camerier; questa l’è la livrea da staffier; questa l’è la perucca da mistro de casa; questo l’è el grembial da cogo; questa l’è la scuria da carrozzier; e questi i è i stivali da cavalcante.

SANC. Perché tutta questa roba intorno di te?

ARL. Perché el carissimo sior segretario ha licenzià tutta sta zente; no ghe sarà altri servitori che mi, e mi me parecchio a far ogni cossa.

SANC. Che ne dite? È grazioso costui?

ASP. Sì, è grazioso, ma il tempo passa e il mio creditore non dorme.

SANC. A proposito. Senti, Arlecchino...

ARL. Aspettè, sior padron, che me manca el meio. (vuol partire)

SANC. Senti, vien qui.

ARL. Vegno subito. (parte)

SANC. Voleva mandar a domandare il segretario, per il vostro interesse.

ASP. È vero che avete licenziata la vostra servitù?

SANC. Sì, don Sigismondo la vuol mutare.

 

 

 




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