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Carlo Goldoni
L'amante di sé medesimo

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SCENA SETTIMA

 

Don Mauro, poi il signor De' Martini

 

MAU.

Si vede la campagna... fruttifera per tutto.

Io solo son un albero, sì signor, senza frutto.

Se la marchesa Ippolita... volesse favorire,

Vorrei far qualche cosa... innanzi di morire.

MART.

Signor, vi riverisco. (parla sollecito ed altero)

MAU.

Padron. (colla solita flemma, alzando la mano al cappello)

MART.

Son qui venuto

Per dirvi qualche cosa di un fatto che ho saputo.

MAU.

Son qui... dove che po...

MART.

Certo signor Contino,

Che avete in casa vostra, egli è un bell'umorino.

Tenta le donne oneste con arte temeraria,

Tentò con imbasciate madama commissaria.

Ella è una savia femmina, che merita rispetto.

MAU.

signor...

MART.

Non riceve nessuno nel suo tetto.

E il dico, e lo sostengo, e sono un uom d'onore,

E mi farò conoscere chi sono.

MAU.

signore.

MART.

E dalla commissaria, se manderà il lacchè,

Cospetto! il signor Conte l'avrà da far con me.

Basta. M'avete inteso. Non sono un cavaliere,

Ma son chi sono alfine, e ho il modo, ed ho il potere.

Mi fu Castel Rotondo in affitto concesso,

E sono più padrone del feudatario istesso.

Poiché se vuol danari, dipendere ha da me;

E quando così parlo, parlo col mio perché.

Capite?

MAU.

signore...

MART.

E posso a voglia mia

Ciascun, quando mi piace, dal feudo mandar via.

MAU.

Non credo, sì signore...

MART.

Perché, perché bel bello

Può darsi che mi riesca comprare anche il Castello.

E non sarebbe mica un caso estraordinario,

Che un agente si alzasse, cadendo il feudatario.

Parlo con voi, che siete buon galantuomo, amico;

E fate capitale di quel che ora vi dico.

Vi vedo volentieri, per bene vi avvertisco.

Faccio poche parole. Signor, vi riverisco. (parte)

MAU.

Questi è un uom, sì signore, che per me è fatto apposta.

Mi parla, e non ho briga di dargli la risposta.

Vuole ch'io dica al Conte?... Oibò, non me ne intrico.

Io sono, sì signore... della quiete amico.





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