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Carlo Goldoni
L'amante di sé medesimo

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SCENA SESTA

 

Don Mauro e detti.

 

ALB.

Velo qua, l'è capace de andar drio delle ore,

E ogni quattro parole el dirà: Sì, signore.

MAU.

Oh campagna, campagna... che tu sia benedetta...

Ogni giorno si vede qualche novella erbetta...

Qua spunta un fior... là un frutto... qua, sì signor, l'ortica...

Oh campagna, campagna... che il ciel ti benedica.

ALB.

Sior don Mauro, patron.

MAU.

Oh schiavo... amico mio.

Nipote... vi saluto.

BIA.

Serva sua, signor zio.

MAU.

Pensava... meditava... sì signor, fra di me,

Che... non vi è della villa... più bel piacer non vi è.

Mi figuro i villani, che levan di buon'ora.

Oh, sarà il bel piacere... levarsi coll'aurora.

ALB.

No l'al gh'ha mai sto gusto?

MAU.

Io no, perché mi piace...

Star a goder in letto, sì signor, la mia pace.

ALB.

Ma per star con più comodo, ghe mancaria una sposa.

MAU.

Dieci anni, sì signore, pensato ho a questa cosa.

BIA.

E per me, signor zio, ci penserete poi?

MAU.

Eh... altri dieci anni ci penserò per voi.

ALB.

Sarà da qua dies'anni un pochetin tardetto.

BIA.

Per me, signor, so pure che avete dell'affetto.

MAU.

Qua spunta la violetta, là spunta il gelsomino.

BIA.

(Andiamo a ritirarci in fondo del giardino). (piano al signor Alberto)

ALB.

Con so bona licenza. Andemo...

MAU.

Sì signore.

BIA.

Io muoio, se non posso sfogar il mio dolore.

Andiam, signor Alberto, andiam per carità. (parte)

ALB.

(Oh ste putte, ste putte, le me fa un gran peccà). (parte)

 

 

 




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