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Carlo Goldoni
L'amante di sé medesimo

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SCENA SECONDA

 

Il Servitore e detti.

 

 

SER.

Signore, in questo punto è giunto il feudatario.

MAU.

Il marchese Fernando? Che farne io non saprei.

SER.

E ho inteso dir, che venga ad alloggiar da lei.

MAU.

Da me?

SER.

Perché il palazzo, dicono, è rovinato.

MAU.

Oh signor feudatario, gli son bene obbligato. (con caricatura)

IPP.

Signor, vi fa un onore. Non convien disprezzarlo.

MAU.

Quest'onor, sì signore, poteva risparmiarlo.

Sto qui con libertà; son uno che mi piace

Gli amici confidenti godermeli con pace.

E poi, cara Marchesa, ho altro in capo, affé.

Sono un poco confuso, e sapete perché.

IPP.

State allegro, don Mauro, che non si può sapere,

Fino che siamo vivi, quel che ci può accadere.

MAU.

Ah furbetta, furbetta! Va dal mastro di casa;

Digli che faccia lui... che accomodi la casa.

Che la tavola... basta... avvisato non fui.

Digli che, sì signore... digli che faccia lui...

Eh... di' alla governante... che mettermi vorrei...

Che tiri fuori un abito... digli che faccia lei.

SER.

E circa alla credenza vuol qualcosa di più?

MAU.

Credenza? sì signore... direi... basta, fa tu.

SER.

(Parte)

IPP.

Fa tu? Deve il padrone vedere i fatti suoi.

Se fossi vostra moglie…

MAU.

E ben, fareste voi.

IPP.

(Oh che marito amabile!)

MAU.

Ehi, mi par di sentire.

IPP.

Arrivano le sedie, andatevi a vestire.

MAU.

Andrò... basta, vorrei... Sì signor, risolvete.

Via, penar non mi fate... Già so che m'intendete. (parte)

 

 

 




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