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Carlo Goldoni L'amante di sé medesimo IntraText CT - Lettura del testo |
SCENA SETTIMA
La Marchesa Ippolita e detti.
IPP. |
L'amor, per quel ch'io vedo, li fa dormir nel foco; La carità m'insegna, che li risvegli un poco. (da sé, in distanza) |
CON. |
(Non so che dir; non trovo ragion per iscusarmi). (da sé) |
IPP. |
Vi son serva, signori; è permesso avanzarmi? |
BIA. |
Il luogo è tanto pubblico, che può venir chi vuole. |
IPP. |
Ma perché, quando io vengo, sospender le parole? Avete soggezione di me? Mi fate torto. Vi farò da piloto per affrettarvi al porto. Che non farei, amica, per non vedervi in duolo? E per il signor Conte, ch'è tanto buon figliuolo? |
CON. |
Eh! la marchesa Ippolita sempre è bizzarra almeno. |
BIA. |
Già non si può nascondere, quel che si chiude in seno. Ognun sa che ci amiamo; e la Marchesa anch'essa Tinta non sarà meno da questa pece istessa. |
IPP. |
Come? credete voi, che ami il Contino anch'io? |
BIA. |
Oh, non è ciò che intendo di dir col labbro mio. Non vi è altri nel mondo? Ma chi scusar si suole Fa veder che si sente toccar dove gli duole. |
IPP. |
Se davver mi dolesse, pianger farei pur tanto! |
BIA. |
Eh! chi sa che per voi qualcun non abbia pianto? |
CON. |
Signore mie... |
IPP. |
Codesto sarebbe troppo onore Per me, che non ho merito. |
BIA. |
Un bell'onor! |
CON. |
Signore. Possibil che non possano darsi due donne unite; Senza che si promova motivo d'una lite? |
IPP. |
Caro Conte garbato! |
BIA. |
Io sono in casa mia. Non vo a insultar nessuno. |
IPP. |
Signora, anderò via. Se qua sono venuta, quasi a dispetto mio Mi fe' quel seccatore venir di vostro zio. A me, grazie alla sorte, da villeggiar non manca, Senza un tale rimprovero soffrir da donna Bianca. E se mi cal d'amanti, ce n'è penuria al mondo? Se perduto ho un marito, non troverò il secondo? È il Conte un amorino? È un principe d'altezza? È l'idolo de' cori, l'idea della bellezza? È tal che non lo stimo, e glielo dico in faccia. Tenetelo, godetelo; per me, buon pro vi faccia. |
BIA. |
Rispondervi non lice a una fanciulla onesta. |
IPP. |
Oh oh, se non avete altra ragion che questa! |
CON. |
Se vi siete sfogata, posso sperare adesso, Che mi sarà, madama, rispondervi concesso. Son un che non mi stima la signora Marchesa. Quello che dir s'intenda, non l'ho per anche intesa. |
IPP. |
Non occor che mi spieghi. |
CON. |
Son un che non mi stima. Quando così si parla ci si riflette in prima. Saprà che la mia casa non cede in nobiltà A quelle che sostengono l'onor della città. Non son prence d'altezza, ma il feudo ch'io possedo Ha tale indipendenza, che a un principe non cedo. Non sono un amorino, né l'idolo de' cuori, Ma non penai gran cosa a mendicar favori. E per mia gloria somma, so che di me s'è accesa, Fra tante e tante dame, la signora Marchesa. |
IPP. |
Io? Mentite. |
CON. |
Una donna, sia semplice, sia ardita, A un uom impunemente può dare una mentita. Rispondervi saprei; ma taccio, e non m'impegno. Con femmine mi scaldo per altro che per sdegno. |
IPP. |
Se fossi a testa a testa, io vi risponderei. Deggio tacer per ora. Scaldatevi con lei. (adirata accennando donna Bianca; e parte) |