Nel celebrarsi le nozze di SS. EE. il N. H. Ser Michiel Grimani
et la N. D. pisana Giustinian Lolin
Gennaro 1736
CANZONE
L’impeto
che mi scuote, or non è mio;
Sento
che troppo egli è di me maggiore.
D’un
nodo eccelso allorché fama uscio,
Che la
Gloria congiunse, e strinse Amore,
Stupido
ammirator cogli altri anch’io,
Sentiimi
empier di somma gioia il core:
Che
benefici i grandi han de’ soggetti
Il
fascino maggior sui grati affetti.
Tale in
quel giorno io mi trovai la mente
Dal più
lieto stupore ingombra e piena,
Che sol
nell’altra aurora, e finalmente
Dal
pigro sonno ebbe quiete appena.
Cambiarsi
vidi al guardo mio repente,
Come
dell’Adria in la più illustre scena,
E
succeder gli oggetti al guardo intento
Di
sempre nuovo insolito portento.
Sognai,
ma vidi; e non so come, entrato
Trovaimi
in vago ampio cortile. Intorno
Da
superbo edificio è circondato,
Che
mostra ben d’esser d’eroi soggiorno.
Qual
insigne gigante al manco lato
Scolpito
v’apparia, di lauro adorno,
Quel
Cesare primier, dotto e guerriero,
Che di
Roma e del mondo ebbe l’impero.
V’ha
dirimpetto altro colosso ancora,
Del
Cesare secondo il capitano :
Dall’antico
scalpel vie più s’onora
Agrippa,
il condottier d’Ottaviano.
Par di
vederlo oppor dall’alta prora
Contro
Antonio, poi Sesto, e mente, e mano.
Con
tali idee sin dalle prime soglie
Di
grandezza vetusta il tetto accoglie.
Quali
poi l’alte stanze! in rammentarmi
Effigiata
in piè la Dea più bella;
Fra gli
altri un v’ha, ch’è lo stupor de’ marmi,
Che
d’oracolo un tempo avea favella;
Ma
tant’opre tacendo, il dover parmi
Dalla
tribuna il rammentar di quella
Dopo
mille e mill’anni intatta ancora;
Dal
veglio distruttor tanto s’onora!
Sospeso
d’alto èvvi di Giove il ratto,
Ben
divina di Fidia opra famosa;
L’aquila
il bel fanciul, che d’Ida ha tratto,
Stringendo
ignudo, appar tutta amorosa;
E come
il porti a volo in sì bell’atto,
Senza
ferirlo mai l’ugna ritrosa;
Parea
quindi partirsi,
e restar scritto
Che al
Giove Adriaco in don facea tragitto.
Io
m’inoltrai, come se fossi alato
Con lo
spirto leggier da me diviso;
Parve
in loco celeste, e circondato
Fra
Dive e Numi il mio bel Nume assiso:
Le
sfere ha intorno, onde s’aggira il Fato;
E al
piè l’Oblio, ch’era il Pitone anciso;
Ed
echeggiar s’udia: Questa è la reggia,
Che
all’immortalità d’Eroi festeggia.
Dal
trono allora il portator del die,
Che
della cetra il primo onor sostiene,
Or,
disse, a voi care Pierie mie,
Copia
sì bella il celebrar conviene:
E meco grate unir vostre armonie,
Che
dello sposo son l’illustri scene;
Dove i
premi maggiori, e i maggiori vanti,
V’ebbero
i carmi, e danze, e suoni, e canti.
Oh
d’alte due sorgenti eletti fiumi,
Or che
unite n’andran vostre acque chiare,
Quale
per vie sgombre da tronchi e durai,
V’accoglierà
più generoso il mare!
Che
bell’impegno fia degli astri, e Numi,
All’acque
vostre eternità serbare!
Io
stesso stenderò l’alto sorgente,
Che meco splenda ancor nell’Oriente,
Nell’Oriente,
al pio Buglione a canto,
Primo
piantò la riverita insegna
Quel
Grimani che addito, e n’ebbe il vanto,
Ch’ella
nel bianco-scudo ancor si segna.
Mirate
a quanti nel purpureo manto
L’Adria
le cure sue più grandi impegna,
D’Antonio
le conquiste, ed accusato,
Qual
trionfa innocente, e coronato.
Di
tanti duci e porporati eroi
Celebrar
si potria l’illustre gloria,
Di cui
serbarsi già conviene a voi
I nomi
eterni e l’immortal memoria.
Non si
pena in cercar de’ merti suoi,
Ché
n’abbonda così la piena istoria
De’
pregi lor, che bel cantar felice,
Se dice
assai chi ‘l molto più non dice.
Ma se
vedeste poi lo sposo, in esso
Del mio
fulgor vi scorgereste il raggio;
E un
non so che di maestoso impresso,
Che fa
dal volto mio nel suo passaggio;
L’aria
grande, e gentil; sempre lo stesso;
Umano,
dolce, e generoso, e saggio;
Perch’ognun
resti avvinto a’ pregi sui,
Basta
vederlo, e favellar con lui.
Mirate
poi quell’altra inclita schiera;
Quindi
uscì della sposa il bel germoglio.
Fama è,
che dove ancor Bisanto impera,
Zustiniano,
quel, tenesse il soglio;
Che
avversa a’ figli suoi sorte guerriera
Sofferir
di lasciarlo il rio cordoglio;
Che ne’ Veneti lidi a quel rimoti
V’ebbero
esiglio, e molti poi nipoti.
Al bel
desio di ripigliar l’impero
Col
sommo Duce, eccoli tutti accinti.
Entra
ognun nella mischia ardito e fiero;
Ma
allora non bastò che fosser vinti;
Il Fato
s’opponea, che più severo
Tutti
li rese in quell’impegno estinti.
Fu del
Duce e dell’Adria il maggior duolo,
Che del
gran germe non restasse un solo.
Venezia
ancor vanta i suoi Fabi in questi,
Che
perir tutti in roman campo un giorno.
Restava
un sol ne’ chiostri in sacre vesti
Del
sangue illustre, e de’ tre voti adorno.
Ottien
che il buon Pastore il cenno presti.
Quello,
poich’ebbe figli, al pio soggiorno?
Si
rese. Di sua prole al gran disegno
V’ebbero
l’Adria, il Ciel, cotanto impegno.
Quanti
negli ostri il patrio onor ne conta,
Quanti
genti nemiche han vinte e dome!
Lorenzo
il Divo; e della Parca in onta
L’ampie
famiglie propagate; e come
Col
mitrato Lolino alfin congionta,
Questa
n’ereditò fortune e nome.
L’ultimo
d’una stirpe, e ch’altra appella
Col
nome suo, par che s’eterni in quella.
Ma
della sposa o genitor felice,
A cui
prole sì bella il Ciel concesse,
Ne’
figli suoi risorgerai Fenice,
Ché fiano
in lor tue chiare doti impresse.
Te
saggio suo l’Adria sì saggia dice:
Che i
gran consigli suoi tua mente espresse.
Te
stringo al seno, e tale anch’io ti dico :
Di me,
de’ saggi, e delle muse amico.
Dunque
del pari unite alme sì belle
L’onor
di tanti il Cielo in voi diffonda;
Splendano
fauste ognor l’amiche stelle,
L’età
si stenda, e ‘l lungo amor risponda.
Escan
da voi ben degne alme novelle,
Che
succedano poi qual onda all’onda.
Sì
disse, e il sogno mio col sonno sparve;
Sorsi,
e vergai le fatidiche larve.
SONETTO
Spezza
l’arco, Cupido, e la faretra
Appendi
pur della gran Madre al tempio;
Facesti
un colpo, il di cui raro essempio
Scritto
verrà da mille destre in pietra.
E
sappia ognun, che tua pietade impetra,
Che
Amor non è sempre fanciullo ed empio;
Che
ferisce tal volta, e non fa scempio;
Ma
ch’alma in van dal suo poter s’arretra.
Indi
all’Adria Regina, e al glorioso
Popolo
suo recando eterna speme,
Or più
che mai t’adoreran qual Nume.
Indi formando il
bel Nodo amoroso
Fra Pisana e Michele
unisti assieme
Sangue,
mente, beltà, grazia, e costume.
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