STORIA IN OTTAVE
DI TONINO E CORALLINA
Ton. Mio pare, che in Venezia è un
bon mercante,
A
Fiorenza me manda a negoziar:
Vedo de
Corallina el bel sembiante,
E me
sento alla prima innamorar.
Benché
ordenaria, e priva de contante,
M’ha
savesto el so spirito obbligar.
Mio
pare negoziar m’ha comandà,
E mi,
per obbedir, m’ho maridà.
Cor. In Bergamo
son nata, e da piccina
Sono
stata in Firenze trasportata,
Ove
imparai la lingua fiorentina,
Senza
la gorga
che dal volgo è
usata.
Mia
zia, che mi condusse, è contadina,
E
all’orticel mi aveva destinata.
Erbe e fior coltivai, ma sopra tutto
Pensai
raccor del matrimonio il frutto.
Ton. Torno
a Venezia colla mia novizza,
El pare
se ne accorze, e el me descazza,
E tanto
fogo contra mi l’impizza,
Che
farme véder me vergogno in piazza.
Tutto
in un tempo me vien su la stizza;
Chiappo
su e vegno via co sta gramazza.
Finché
ho abuo bezzi, semo andai pulito,
Ma
adesso me tormenta l’appetito.
Cor. E finché vive del mio
sposo il padre,
A
Venezia tornar noi non vogliamo.
Fortuna,
che per anco io non son madre,
Onde in
poca famiglia ancora siamo.
Pericolo
non v’è, che genti ladre
Ci
rubino i bauli che portiamo;
Mentre
noi non abbiam, come sapete,
Altro
baul che quello che vedete.
Ton. Semo
do poverazzi sfortunai,
E
s’avemo cazzà in la fantasia,
Per
esser sempre poveri spiantai,
De
voler coltivar la poesia.
Ma,
grazie al cielo, semo capitai
Dove
regna la vera cortesia.
Spero poder sfogar la doppia brama
De
saziar la mia fame e la mia fama
Cor. Signor,
l’istoria nostra avete intesa.
Movetevi
di grazia a compassione;
Noi
persone non siam di molta spesa,
E alla
tavola avremo discrezione.
Due
giorni son che abbiam la gola tesa,
Senza
mai mandar giù neanche un boccone.
È tanto
tempo che non ho mangiato:
Non
posso più parlar, mi manca il fiato.
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