CONTRO LA SUPERBIA
Capitolo
del Signor Carlo Goldoni Polisseno Fegejo P. A.
dedicato
al N. H. Reiner Priuli Padre amantissimo della Sposa.
Vuò far
di tutto per trovar un tale,
Che dar
mi possa e che mi dia il precetto
Di
scomunica in pena episcopale,
Se
una canzona fo, se fo un sonetto
Per
sacre spose, o per spose profane,
E
vuò al collo portar il mio brevetto;
E alle
genti vicine, e alle lontane,
Vuò
poter dire, senza dir bugia:
Lo
farei, se potessi, con due mane.
Non
perché onore e gloria non mi sia,
In dì
di festa, in dì solenne e santo,
Suonar
a doppio colla Musa mia;
Ma son
tant’anni, che forzato, i’ canto
Di
nozze sacre, o nozze secolari,
Che
vuoto ho il sacco, e l’ho posto in un canto.
Vadano
le donzelle ai sacri altari,
Vadan
le spose al nuziale letto,
Abbian
carmi de’ vati egregi e chiari.
Largo è
il campo, egli è ver, vasto il soggetto,
Ma di
lor non saprei dir cosa buona,
Se non
torno a ridir quel che ho già detto.
E ognun
che sale al monte d’Elicona,
Nuovi
fioretti a procacciar di lode,
Lo
stesso sempre in nuove foggie intuona.
Da
cetra, o lira, o da zampogna s’ode
Esaltar
sempre le virtudi istesse;
Per la
stessa ragion ciascuna è prode.
Se la
mia Musa rinvenir sapesse
Di
monaca lodar nuovo argomento,
Questa
fiata vorrei che lo facesse;
Poiché
da tal mi vien comandamento,
Ch’obbligo
e affetto di servir mi sprona,
E
avrei, se nol facessi, pentimento.
Apollo
santo, il tuo favor mi dona;
Riponi
tu nel sacco mio sdruscito
Qualche
cosuccia, non ridetta e buona.
Scuoter
lo voglio, e riveder col dito.
Chi sa
per entro non vi sia rimasto
Tema,
di cui non abbiami servito?
E’ mi
pare trovarvi in fondo, al tasto,
Certa
farina, all’ultima costura,
Da
formar coll’inchiostro un nuovo impasto.
Veggiam
che cosa sia. Materia oscura,
Che
qual fosforo manda un falso lume:
Simbolo
di superbia è tal mistura.
Stemprisi
in acqua, e formisi bitume
In cui
la penna, destramente intinta,
De’
superbi s’avventi al rio costume.
E la
donzella, d’umil manto cinta,
Abbia
da noi, per questo solo, i carmi,
Perché
superbia santamente ha vinta.
Di me
stesso maggior sento già farmi:
Vizio
odiato più di morte ancora,
Contro
te sento malamente aizzarmi.
Uomini
e donne, uditemi in buon’ora,
Uditemi,
superbi pettoruti,
Cui
fasto alletta ed albagia divora.
Donde
vo’ siete in pretension venuti
Di
soverchiar colla superbia il mondo,
Con
scarso merto e con incerti aiuti?
Esaminate
di voi stessi il fondo,
Gente
di mal costume e di mal cuore,
Gente
all’orbe terreno inutil pondo.
Ricco,
povero sia, sia re o pastore,
D’una
terra medesma l’uomo è fatto.
Tutti
mandano alfin lo stesso odore.
Né le
ricchezze daran lor riscatto
Dal fin
comune; e quando vien la morte,
Grandi,
ricchi, plebei, chi ha fatto, ha fatto.
Chi più
di lei dei doni della sorte
Abusando,
potrebbe alzar la testa?
D’Angela
parlo, generosa e forte.
Ricca,
nobile nata, in aurea vesti,
Potrebbe
anch’essa, come tante fanno,
Con
nastri, trine e gemme ornar la cresta.
A
nobile fanciulla bene stanno
Vaghi
ornamenti, se modesti sono,
Ma
donne il fasto moderar non sanno.
E
non contente di ostentare il dono
Della fortuna, co’ superbi arredi,
Mostrano
di
natura il bello e ‘l buono.
Sprezza
Angiola le pompe, e sotto a’ piedi
Tiensi
l’oro e l’argento, e in umil lana
Le
molli membra imprigionar la vedi.
Mirala,
e ti confondi, o donna vana,
In lei
ti specchia, femmina vulgare,
Specchiati
in gioventù, vecchia beffana.
Madri,
in costei venitevi a specchiare:
Qui sta
l’onor delle fanciulle oneste,
Non nel
sapersi agli amanti mostrare;
Non nel
condurle i giorni delle feste
In
abito superbo per le chiese.
Oh
madri! oh figlie! oh ambiziose teste!
Padri,
sposi, fratelli, a vostre spese
Mantiensi
il fasto delle donne altere,
Fasto
che la rovina è del Paese.
Femmina
far si crede il suo mestiere,
Se
immitarvi procura; all’uom s’aspetta
Coll’esemplo
insegnarle il suo dovere.
Ma in
voi pur regna quella maladetta
Superbia
che distrugge il buon costume,
E la
donna di voi fa la civetta.
Di
ragion perde ciascheduno il lume:
Nobil
vuol comparir chi è nato vile;
Chi è
nato grande, sembiare un Nume.
Felice
mondo, se ciascun lo stile
Del
genitore d’Angela seguisse,
Saggio,
prudente, moderato, umile!
Figlia
tenne le luci al padre fisse;
Vide
l’esemplo di virtute in lui,
E
l’umiltade al proprio cuor prefisse.
Temea
le insidie del costume altrui,
E ‘l
buon germano le additò il sentiero
Di
sicurezza coi consigli sui.
Chiusa
per sempre in santo monistero,
Ecco
fuor di periglio la donzella,
Dai
lacci scevra del dimonio fero.
Ma
oimè, che audace nella sacra cella
Penetrar tenta la Superbia indegna,
E a
nuovi sforzi l’Umiltade appella.
Col
sacro manto di pietà s’ingegna
Svegliar
leggiere pretendenze in cuore,
Che la
velata sostener s’impegna.
La
dignità, la carica, l’onore,
Nomi
per entro a’ sacri chiostri usati,
Fonti
son di discordie e di livore.
Vergine,
che del mondo ha superati
I
perigli, gl’inganni e le follie,
Nuovi
le resta superare armati.
Facile
è la vittoria all’alme pie:
Per lor
combatte il crocifisso, i santi,
Gli
angioli delle sette Gerarchie.
Donne
mondane, delle pompe amanti,
Chi voi
difenderà da Satanasso?
Come
uscirete da inganni cotanti?
Vecchiezza
incontro vienevi a gran passo,
Vecchiezza,
vostro orribile flagello,
Che
tenervi dovrebbe il capo basso.
E dir
dovreste: Questo viso bello,
Ch’oggi
mi rende colma d’albagia,
Fra
pochi lustri non sarà più quello.
Ma pur
si vede un’invecchiata arpia
Che ad
onta dell’età superba è ancora.
Donde
ciò viene? oh Vergine Maria!
Superbia
il falso in guisa tal colora,
Che lo
specchio non basta al disinganno:
Dell’occaso
il pallor si crede aurora.
Superbia
indegna, delle genti inganno,
Più
ch’i’ parlo di te, più parlerei,
Né
direi tutto, se parlassi un anno.
Ma
stucchevoli troppo i versi miei
Alla
Vergine pia temo a ragione,
Onde te
lascio, e mi rivolgo a lei.
Angela,
che dell’altre in paragone
Sei
qual pianeta fra minute stelle,
Ma resa
umile per religione,
Dio
benedica le virtuti belle
Ch’esser
ti fanno sol di te signora,
Che
t’han locato fra le dive ancelle.
Le
genti mira, che stansi di fuora
Del
santo luogo, d’albagia ripiene,
E lieta
canta, della Croce all’ora:
Umiltade,
Umiltà, mi stai pur bene.
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