Epistola in versi
martelliani
A S. E. MARIA VITTORIA OTTOBONI SERBELLONI
O
tutelar mio Nume, che col tuo labbro onori
I lieti, i fortunati miei Comici
lavori,
E
nell’Insubria, dove colgo dell’opra i frutti,
Nell’onorar miei carmi prima tu sei
fra tutti,
Soffri
che a te consegni questi nuziali canti,
Onde l’umil Raccolta del nome tuo si
vanti,
E questo
almen non manchi inclito, eccelso pregio,
All’opera tessuta pel tuo nipote
egregio.
So
ch’egli pur si vanta più grande e più felice
Per tale inclita suora dell’alma
genitrice,
E so
che l’Adria tutta, con più sereno ciglio,
Al sangue tuo divota prende l’eroe per
figlio.
L’inclita
Sposa istessa, del nome tuo invaghita,
Te fra’ novei suoi fregi, Te pria di
tutti addita;
E a
quei che dal bel seno verran teneri
figli
Propor di Te l’esempio prepara, ed i
consigli.
Deh la
secondi il Fato, deh renda i figli suoi
Saggi, vezzosi e belli, quai sono i
figli tuoi,
Onde
coll’imitarti, che a sé cauta propone,
Vegga la Sposa il frutto di saggia
educazione.
Scarso
per Te sarebbe l’onor che Italia rende
Ai studi tuoi sublimi, onde il tuo
cuor si accende,
Se pari
all’intelletto, che ai studi ti consiglia,
Egual non ti accendesse amor di tua
Famiglia.
Sono le
miglior cure, è ver, del tuo bel sesso,
Madre vegliar accorta de’ cari figli
appresso;
E
nobiltà di sangue in donne illustri e prime
Dai pesi di natura è ver che non
esime.
Ma chi
ha il saper congiunto pei due diversi obietti,
Convien che più dell’altre s’ammiri e
si rispetti,
Onde Tu
donna illustre sei pe ’l
saper profondo,
E per la tua saggezza sei l’esemplar
del mondo.
Nata
del Tebro in riva vai della gloria amica,
Hai le virtudi in seno della tua
Patria antica;
Falsa virtù aborrendo sol di quell’alme
acerbe
Onde solean del Lazio femmine andar
superbe.
E
l’umiltà il tuo pregio; sei di saper fornita,
Ma tua
virtù è più bella all’umiltade unita.
No, Tu
non sei di quelle stucchevoli saccenti,
Che
abusano con fasto di
frasi ed argomenti;
Ma
della tua dottrina tal uso in Te si vede,
Ch’esige
di rispetto amplissima mercede.
Una
virtù soltanto so che per uso ostenti,
Di cui
forza è talora che alcun non si contenti:
La
verità costante, l’animo tuo sincero,
A
dispiacer costretto sol per amor del vero.
Deh, se
per dire il vero, odioso anch’io so farmi,
Permettimi
che in questo a Te possa uguagliarmi:
Che di
virtù infelice, tanto spregiata e tanto,
Senza
temer rampogne, posso ostentare il vanto.
Questa
ne’ Carmi miei, questa per uso ho in vista;
Adulazione
aborro miserevole e trista,
Bastami
d’esser grato al picciol mondo e buono,
A Te
piacer mi basta, quando sincero io sono.
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