EPISTOLA ALLA GENTILISSIMA SPOSA LA
SIGNORA
TERESA LE BLOND,
FIGLIUOLA DI MONS. LE BLOND,
CONSOLE DI FRANCIA
IN VENEZIA
L’almo figliuol di Venere, che ha
mille cuor feriti,
Ridente oltre l’usato vid’io su questi
liti.
L’arco pendeagli a tergo pomposamente
adorno,
Ed uno strale curato giva mostrando
intorno.
Questo, diceva, è il dardo che ha
punto il più bel cuore;
Prostratevi, o mortali, e rispettate
Amore.
Chiesto da me qual fosse di lui la
nobil preda,
Lascia per poco, ei dissemi, ch’io mi
riposi e sieda;
Presi da lungi il volo; fin dalla
Senna altera
Venni qua dove al mare la tua
bell’Adria impera;
Venni a colmar di gioia gente al mio
ben rivolta;
Tu a giubilar ti appresta, e i miei
trionfi ascolta.
Quella rammenta egregia, vaga, gentil
donzella,
Ch’ebbe in Vinegia il vanto di
vezzosetta e bella,
Affabile con tutti, saggia, prudente,
amena,
Brillante, vivacissima, d’ogni virtù
ripiena;
Quella che d’Adria in seno ebbe il
natal felice,
Figlia d’illustre padre, d’amabil
genitrice,
Ma che, l’origin tratta dal bel
francese regno,
Tornò alla patria antica, di tenerezza
in segno.
Ah sì, tu ben ravvisi, segue il
superbo arciero,
Colei di cui dipingoti nobil ritratto
e vero;
Scorgi nelle mie voci, scorgi Teresa
espressa,
E me tu vedi in giubilo, e me vantar
per essa;
Mira il possente dardo ch’ha il di lei
sen piagato,
Vedi la man che il nodo ha d’Imeneo
formato.
Sposo ch’è di lei degno, scelsi fra
mille e mille;
Arde per me contenta d’amabili
faville.
Tu che l’apprezzi e stimi, lodami e
fammi onore;
Prostratevi, o mortali, e rispettate
Amore.
Ah, rispos’io, qual lode, qual posso
farti omaggio,
Amor, se a me tu rechi, e alla mia
patria oltraggio?
Da noi la sorte, è vero, la trasse in
lontananza,
Ma riacquistarla un giorno s’avea
dolce speranza;
Or se per te. crudele, è a Franco
sposo unita,
Speme di possederla per sempre abbiam
smarrita.
Perano i dardi tuoi, empio fatal
nemico,
Venere ti punisca... Povero Amor! che
dico?
Deh, al mio garrir perdona, ch’ogni
ragione eccede,
Che s’abbandona al duolo e l’error suo
non vede.
Viva la sposa all’ombra dei sacri
argentei gigli:
Sian delle sue virtudi imitatori i
figli.
Siano col caro sposo gli affetti suoi
concordi,
Basta che l’amor nostro gradisca, e
non sel scordi.
Amor, le tue vittorie ammiro, approvo
e lodo;
Soffro il mio danno in pace, e del suo
bene io godo.
Saggia
gentil donzella, vostro bel cuore umano
Questi miei voti accolga, e del minor germano.
Perdon, perdon, se il perdervi recaci
duolo e pianto;
L’uomo non ha sì facile di superarsi
il vanto.
Viva chi dolcemente vi ha penetrato il
core.
Prostratevi, o mortali, e rispettate
Amore.
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