IN OCCASIONE CHE L’ILLUSTRISSIMA D.A
M.A CANDIDA ROSA GRANDI
PROFESSA
SOLENNEMENTE L’INSTITUTO DI S. BENEDETTO
NEL NOBILISSIMO
MONISTERO DI SAN GIOVANNI LATERANO
OTTAVE
Te
Deum laudamus si è cantato allora
Che questa Sposa di Dio benedetto
Si chiuse in chiostro e si vestì da
suora,
Lasciando il mondo ed ogni suo
diletto.
Ma la funzion non è finita ancora,
E manca il meglio; e, a quel che mi
vien detto,
Chi dentro l’anno si pente e s’incapa,
A Roma va senza vedere il Papa.
Manca
la Profession, mancano i voti
Alla fanciulla che si mise in tonaca;
Sendo un proverbio dei più antichi e
noti:
L’abito non fa il monaco, o la monaca.
Deve prima sentir dai sacerdoti
Gli obblighi quali sian di chi si
monaca;
Poi santamente pronunziar quel sì,
Che dee durar sino all’estremo dì.
Non è
cosa da dirsi alla impazzata
Un sì che ha da durar fino alla
morte;
L’ha detto ancor la donna maritata,
Ma torna in libertà, morto il
consorte.
La monaca al contrario, allor ch’è
entrata,
Viva non esce più da quelle porte.
Il suo mondo è il suo chiostro, onde
conviene,
Prima di farlo, che ci pensi bene.
Ma ci
ha pensato questa giovanetta,
Non sol quest’anno, ma degli anni
assai,
E il santo giorno impaziente aspetta,
E si lamenta che non giunge mai.
Non vede l’ora (che sia benedetta!)
Di poter dire: Alfine io mi legai
Col mio Signore, e sua sarò in eterno,
E tu, demonio, vattene all’inferno.
Che non
fe’, che non disse Satanasso
Per tirar nella rete la fanciulla?
Ma scornato ritorna il babbuasso,
Ché le lusinghe sue non fecer nulla.
Che importa a lei dell’allegria, del
chiasso,
Onde gongola il mondo e si trastulla?
Più d’ogni bene e d’ogni piacer
nostro,
Ama il piacer che le promette il
chiostro.
Che bel
diletto nella santa cella
Levarsi la mattina innanzi al sole,
Salutare il suo Dio, Sposa ed Ancella,
Con sante preci ed umili parole;
E quando il Coro a salmeggiare
appella,
Cantar quell’Ora che cantar si
suole,
Udir la messa con divozione,
Poscia andar diviato a colazione!
Bevere
in compagnia la cioccolata,
Or nella propria cella, or dell’amica,
Poi l’obbedienza che l’è destinata
Far prontamente, e non temer fatica.
Chi della sagrestia va incaricata,
Chi nell’infermeria l’obbligo implica:
Chi alla porta, chi al pan, chi alle aziende,
Chi a comandar, chi a provvedere attende.
Fatta da ciascheduna la incombenza
Del monistero, e fatto il suo lavoro,
Torna a chiamar la santa obbedienza
Le suore unite a salmeggiare in coro.
Chi intuona, chi risponde; in confidenza
Chi dice piano, e chi ha il metal sonoro:
Chi fa l’orazion dopo l’uffizio,
Chi torna al suo dovere, al suo
esercizio.
Poco
più, poco meno, a mezzo giorno
Il campanello al refettorio invita.
Benedice la tavola ogni giorno
Quella che a tutte le altre è
preferita.
Van le converse con i piatti intorno,
Han l’incombenza fra di lor partita;
Impon silenzio chi governa e regge,
E la sua settimana ognuna legge.
Terminata
la mensa, a Dio si rendono
Grazie dei benefizi. A piacer loro,
Se vonno riposar, riposo prendono.
Chi va nell’orto, chi si cela in coro,
Chi al Parlatorio ove i parenti
attendono,
Chi torna per diletto al suo lavoro,
Chi nella cella sua vuol star quieta,
Finché si suoni o Vespero o Compieta.
Passa
il giorno felice, e vien la sera;
Si va per tempo a refiziarsi il petto.
Poi tutte unite in umiltà sincera,
Prendonsi le compagne alcun diletto.
Indi fatta al Signor la sua preghiera,
Va ciascheduna a coricarsi in letto,
Dolci sogni facendo, e benedetti.
Oh soavi piaceri! oh bei diletti!
Dite,
voi donne che godete il mondo,
O vedove, o zitelle, o maritate,
Vi andate mai coll’animo giocondo,
Quando nel letto a coricarvi andate?
Voi tacete, meschine, ed io rispondo
Che siete per rossor mortificate,
Piene di turbolenze e di pensieri,
D’affetti, passioni e desideri.
Ecco
perché la nostra candidata
Ha scelto il Cielo, e abbandonò la
terra;
La terra vile, che nemica ingrata
Promette pace, e non sa dar che
guerra.
Ecco perché la giovine bennata
La santa Croce avidamente afferra,
Perché, vestita delle sante lane,
Mostra il disprezzo delle pompe umane.
Ancor
essa potea sperar fortuna
(Se fortuna si dà fra noi viventi):
Giovine nata in agiata cuna
Al fausto balenar d’astri lucenti,
Vaga, vispa, gentil, che in sé raguna
Cose che fan strabiliar le genti,
L’umiltà, l’onestà e l’obbedienza,
Talché i tre voti non le fan
spiacenza.
Quali
son questi voti? Povertà
Volontaria, ed obbedienza intera,
E castità perfetta. A chi li fa
Più col cuor che col labbro, meno
austera
Par l’osservanza, e il suo dover lo
sa,
E lo eseguisce con allegra cera;
Non come tante che in umile scorza
Hanno il cuor duro strascinate a
forza.
A
malincuore non va mica all’ara
L’agnella pura al sacrifizio eletta.
Ve’ come da se stessa si prepara,
E impaziente il sacerdote aspetta!
Dal buon Isacco il suo fardello impara
Recar sul dorso alla Calvaria vetta.
Eccola che all’altar va da se stessa,
Ecco il ministro che la scure
appressa.
In aria
è il colpo, né sperar possiamo
Ch’angiolo scenda a trattenere il
braccio,
Come successe al Patriarca Abramo
Allor che disse: Il divin cenno io
faccio.
Or nuova legge e nuovi riti abbiamo;
Dio non vuol sangue, vuole il cuore
avaccio:
Sull’altare di Dio vittima è il cuore,
Il ferro è il voto, ed ministro è
Amore.
Scenda
l’Amor Divino a Lei d’intorno,
Strugga gli affetti, che con Lei son
nati;
Ed infiammi il suo cuor, qual furo un giorno
Nel Cenacol gli Apostoli infiammati.
Ecco il tempio di Dio di luce adorno,
Ecco l’ara, i ministri e gli apparati,
Ecco la vergin pronta. Ah, quanti
siamo,
Veni Creator Spiritus cantiamo.
Scendi,
Spirto Creator; de’ tuoi la mente,
Visita, ed empi di tua grazia il
cuore,
Spirito Santo, Paracleto ardente,
(Ché Avvocato vuol dir Confortatore),
Fonte vivo di grazie, ampia sorgente
Di carità, dono di santo amore,
A noi che siamo in marziale agone,
Forza vital, spiritual unzione.
Spirito
settiforme, onde Sapienza
Da te viene, Consiglio ed Intelletto,
Timor di Dio, Pietà, Fortezza e
Scienza,
I sette doni che fan l’uom perfetto:
Della destra di Dio, di sua potenza,
Dito immortale alle grand’opre eletto,
Spirto che ci assicura e ci consola
Coll’eterna immancabile parola.
Deh i
sensi nostri del tuo nume accendi,
Nei cuori infondi l’amor tuo celeste.
La smarrita virtude al corpo rendi,
Da mille oppresso infermità funeste;
Scaccia da noi gli empi nemici
orrendi,
Donaci calma fra le rie tempeste;
Se noi precede scortator sì fido,
Fra sirti e scogli arriveremo al lido.
Fa che
il chiaro tuo lume, il tuo consiglio,
La mente innalzi a ravvisar dappresso
Qual sia il Padre divino e il divin
Figlio,
Qual Tu sii in tre Persone un Nume
stesso!
Fa che con salda fé, con umil ciglio,
Ciò sia nel cuor di chi ti adora
impresso.
Gloria al Padre, ed al Figlio, e a Te
si dia
Gloria perpetuamente, e così sia.
|