LA COSTA DI ADAMO
Stanze in occasione delle felicissime nozze fra Sua
Eccellenza il Signor
Giacomo Zambelli e la Nobil Donna Contessa Caterina
Giovannelli.
Vorrei
dir cosa,
che probabilmente
Detta ancora non siasi in prosa o in
rima.
Ma è difficile molto, e par niente
Si possa dir, che non sia detto in prima.
In materia di nozze specialmente
Si è pescato finor da fondo a cima
Tanto e tanto nel mar dell’invenzione,
Ch’ella è per noi una disperazione.
Mertano
queste nozze singolari
Che de’ poeti uniscasi il drappello,
E dagl’ingegni peregrini e chiari
Di Parnasso si sfiori il buono e il
bello.
Io de’ primi non posso andar del pari,
Pure m’ingegnerò col mio cervello
Rendere almen colla poetic’arte
Qualche antico pensier novello in
parte.
Dal
chiaro sangue dell’illustri sposi
Prender non voglio il facile
argomento.
Già dai vati facondi e valorosi
Per questa parte commendar li sento.
Taccio il nome degli avi gloriosi,
Ché tant’alto non giugne il mio
talento,
Né mi curo parlar della ricchezza,
Ch’è il minor ben che da virtù si
apprezza.
Offremi
largo campo e somma
lode
La beltà, la virtù della consorte,
E dello sposo generoso e prode
L’animo grande, generoso e forte.
Ma questo è quel che tutto giorno
s’ode
Suonar d’intorno all’apollinee porte,
E sentendosi ognor ridir lo stesso,
Quel che un giorno piacea, dispiace
adesso.
Se in
occasion di monache e di spose
Una Raccolta capita alle mani,
Cercan tosto le genti curiose
S’entro vi sian componimenti strani.
Scritto avran penne d’uomini famose,
Di poeti sublimi e veterani;
Se qualche novità non balza in scena,
Il sonetto miglior si legge appena.
E
quanto costa un buon sonetto, e quanto
Facilmente si critica e si sprezza!
Di far buoni sonetti io non mi vanto;
E la mia Musa ad altro stile avvezza.
Scrive alla buona, e pur di tanto in
tanto
Da gente di buon senno si accarezza,
Non per lo stil bassissimo ed ingrato,
Ma per qualche pensiere inaspettato.
Voi,
generosa, nobile Placidia,
Voi dello sposo illustre genitrice,
Per sì belle virtù degna d’invidia,
In questo nostro secolo infelice;
Voi nemica dell’ozio e dell’accidia,
(Se cotanto favor sperar mi lice)
Degnatevi coprir col vostro manto
Della Costa d’Adamo il nuovo
canto.
So qual
amor, so qual diletto avete
Per le cose sublimi e peregrine;
Ma ancor io so che compatir solete
Della mia Musa le opere meschine.
Mia protettrice da gran tempo siete;
Per onor mio l’ho risaputo al fine,
E con l’umil rispetto a voi dovuto
Questo canto nuzial v’offro in
tributo.
Deh
l’accolga sereno il vostro ciglio
Pel merto no dell’inesperto autore,
Ma per quello del vostro inclito
figlio,
Di cui canto il novel pudico ardore.
Voi, che deste la mano ed il consiglio
In cotal opra con materno amore,
In grazia del piacevole soggetto
Tollerate cortese ogni difetto.
So che
una lunga prefazion noiosa
Pizzica un pocolin di seccatura,
E pur devo prepor quest’altra cosa,
Prima d’entrar nella materia oscura:
La Musa mia d’interpretar non osa
Le carte della biblica scrittura,
E non ardisco trapassar la meta
Che al filosofo lice, ed al poeta.
Quando
il Signor Iddio nell’ampio suolo
Creato ha l’uomo, e l’animò col fiato,
A lui, che male gli parea star solo,
Una donna in compagna ha destinato.
Fecelo addormentar, poi senza duolo
Una costa cavandogli da un lato,
Formò quella bellissima fattura,
Che degli uomini al cuor bella ancor
dura.
Ambi
fur poi dal Creatore istesso
Due spirti in una carne dichiarati;
D’una stessa natura in vario sesso,
In un tempo divisi e coniugati;
E fur da Dio con un comando espresso
L’umana specie a propagar chiamati,
E
nel comando, che da lor s’intese,
Tutto il genere umano Iddio comprese.
Quel che ho detto fin qui, non v’è cristiano
Che non lo sappia, e che non dica: è vero.
Ora a dire verrò di mano in mano
Dove intenda condurvi il mio pensiero.
Se, per Eva formare, Iddio sovrano
Trasse una costa al genitor primiero,
Uomini tutti, esaminate il fianco,
Una costa ciascuno abbiam di manco.
E della
costa di cui l’uomo è privo,
(Stante al cenno primier, che tutti
abbraccia)
Giudico sia formato un corpo vivo
Pari ad Eva nel sesso, e nella faccia.
E se un sogno non è quello ch’io
scrivo,
Di che forse talun mi sgrida e taccia,
Nel vasto mondo al numero maschile
Andrà sempre del pari il femminile.
Né occorre dir che falso è il
mio pensiero,
Che più donne vi
sieno fra di noi.
Pria d’asserir ch’io non m’apponga al
vero,
Convien sentir le levatrici, e poi
Calcolar si dovrebbe il mondo intero,
Nei quattro lati dei confini suoi.
Tutto il genere uman, com’io diceva,
Ha l’origine sua da Adamo ed Eva.
Per
esempio la costa d’un Francese
Ritrovar si potrebbe in Inghilterra,
E se moglie diventa di un Inglese,
Vivranno sempre fra di loro in guerra.
Felice l’uom che per destin cortese
La propria costa in qualche parte
afferra!
Sento a dir da talun: Gesù e Maria,
Dov’è andata, Signor, la costa mia?
Chi può
saperlo, ve lo dica. Adamo
Ebbe figli dell’uno e l’altro sesso;
Si
diviser le genti in più d’un ramo
Della
terra il governo a lor commesso.
Buoni e
tristi vi furo, e noi sappiamo
D’Abel
la morte e di Cain l’eccesso,
Onde
fino d’allor confuse e miste
Fur le
coste animate, e buone e triste.
Ma
convien dir che in numero maggiore
Fossero
i parti di quel seme immondo,
Onde
acceso di sdegno Iddio Signore
Mandò
il diluvio a sterminare il mondo.
Vide
solo Noè, che aveva il cuore
Dalle
colpe comuni illeso e mondo.
Egli e
i tre figli suoi nell’arca entrati,
Salvi
fur colle spose accompagnati.
Sperar
doveasi che nell’arca eletta
Scelte
in tutta la terra otto persone
D’una
sola famiglia benedetta,
Fosser
tutte innocenti e tutte buone;
Ma
convien dir che qualche costa infetta
Fossevi
in quella pia generazione,
Poiché Japhet
e Sem fur benedetti,
E i
figliuoli di Cham fur maledetti.
Rinnovato
da questi il mondo allora,
Furo i
buoni coi rei confusi e misti,
E per
disgrazia si conserva ancora
Il seme
rio de’ Cananei più tristi.
E se
talun che la consorte adora,
Della
moglie si dolga e si contristi,
Convien
dir ch’ei da Sem sia derivato,
E da Cham
della donna il cuore ingrato.
Questo,
signori miei, questo è l’arcano
Che
amor verace e simpatia si chiama.
Quel
che la costa sua non cerca invano,
Con lei
sta in pace, e si consola, ed ama.
A Dio
si raccomandi ogni cristiano
Che di
nozze felici ha onesta brama.
Il
Creator, cui niuna cosa è nuova,
Sa la
costa d’ognun dove si trova.
Io, per
esempio, son più volte entrato
Di
maritarmi nel fatale impegno.
In più
parti la costa ho ricercato,
E ho
voltato d’Amor sossopra il regno.
A
Genova dal Cielo alfin guidato,
La mia
costa conobbi a più d’un segno.
Son
degli anni che meco ella dimora:
Contento
il feci, e son contento ancora.
Facil
per altro è l’ingannarsi in questo,
Ch’è
soggetto ad errar lo spirto umano.
Con
amore scorretto e disonesto
La sua
costa trovar si spera invano.
Non
vorrei che servisse di pretesto
Al
costume moderno oltramontano
Dir: la
costa ch’io cerco, ho ritrovata.
Ché più
vostra non è, s’è altrui legata.
Se
siete in libertà, Dio vi concede
Fra le
donzelle di cercar la sposa;
Cercate
chi vi serbi amore e fede,
Non la
vaga, la vispa e la vezzosa.
Se
l’uomo saggio nella donna vede
L’inclinazione
alla virtù ritrosa,
Se
contrari pensier ravvolge in testa,
Dica:
La costa mia non sarà questa.
Quel
Consiglier che il nostro ben procura,
Si
vis nubere,
dice, nube pari.
Se non
si può nell’esterior figura,
Di
sangue almeno, e di virtù sien pari.
Aver si
dee principalmente cura,
Non
sieno i sposi di costumi vari;
Ma entrambi d’un egual temperamento,
Abbian pari le voglie ed il talento.
Se
saran tutti due di genio buono,
Quella pace godran che a tutti preme.
Se collerici entrambi e alteri sono,
Impareranno a compatirsi insieme.
Ma se l’uom cerca della quiete il
dono,
E se la donna orgogliosa freme,
Finché dura la vita e il matrimonio,
Saranno in lite, e vi sarà il Demonio.
Non
dico già che moderar non vaglia
L’uomo e la donna il suo temperamento;
Ma quantunque virtude in lor
prevaglia,
Dovran le voglie uniformar con stento.
L’amor proprio sovente il cuore
abbaglia,
La passione resiste al buon talento,
Ed invano sopporta e invan contrasta,
Chi la sposa non ha della sua pasta.
Sia
benedetto e ringraziato il Cielo,
Questi due sposi dalla sorte uniti,
Pari nel santo amor, pari nel zelo,
E pari ancor nei meriti infiniti,
Chiaro fan trasparir, come da un velo,
Che dal sangue miglior son ambi
usciti:
Jacopo
ha l’alma alla virtù disposta,
E la sua Caterina è la sua costa.
Amano
tutti due l’onesto e il vero;
Han della vanità nemico il cuore:
Serbano entrambi un animo sincero,
Solo inclinato all’opere d’onore.
Vidersi appena, il faretrato arciero
Ambi accender li feo d’eguale ardore,
E scuotendo Imeneo la chiara face,
Gli occhi parlano agli occhi, e il
labbro tace.
Né solo
in essi egualità si trova
Di costumi, di genio, e di pensieri;
L’eccelse nozze maggiormente approva
L’eguaglianza del sangue e degli
averi.
Adria esulta felice, e in sé rinnova
L’alta speranza de’ suoi vasti imperi,
Aspettando da loro in pace e in guerra
Figli in mar poderosi, e saggi in
terra.
Quante
figlie usciran belle e vezzose
Della madre gentil dal sen fecondo,
Saran tutte d’eroi coste famose
D’eroi sol nate ad arricchire il
mondo.
E Dio, che tutto l’avvenir dispose
Col suo voler, col suo saper profondo,
Sposa destina al figlio suo primiero
Una costa degnissima d’impero.
Ite,
sposi felici, or che declina
In ver l’cccaso l’odierna luce.
Ecco l’ora, signor, che s’avvicina:
Al tuo fianco la costa Amor conduce.
Figlia, no, non tremar; Dio ti destina
Ad opra tal, di cui natura è il duce.
Ite, sposi felici, ed osservate
Il precetto divin: Moltiplicate.
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