LETTERE IN VERSI
MARTELLIANI
per la sacra Vestizione della N. D. Chiara
Morosini.
Donna Maria Eleonora Morosini Monaca professa
nel Monistero del Corpus Domini
in Venezia alla dilettissima di lei sorella
la nobildonna Chiara Morosini
in educazione nel Monistero di San
Prosdocimo in Padova.
Sorella dilettissima, tanto è il
piacer ch’io sento,
Che trattener non posso nell’anima il
contento,
Onde per mio conforto desidero
sfogarmi
Con voi, con questa lettera, venendo a
consolarmi.
La nostra amorosissima, tenera
genitrice,
Dar nuova non potevami più lieta e più
felice:
Dissemi che voi pure, al fin, la
vocazione
Spiegaste di abbracciare la santa
Religione.
Sia sempre benedetto quel Dio che a sé
vi chiama,
Quel Dio che per sua Sposa accogliere
vi brama.
Siano del Sacro Nodo accelerati i
giorni,
Né il mondo ingannatore vi turbi o vi
frastorni.
Io pur, per mia fortuna, son del
Signore ancella;
Gode la sorte istessa l’altra germana
anch’ella.
Dal dì che Amor Divino d’ambe
infiammato ha il petto,
L’abbiamo ogni momento lodato e
benedetto;
Ed or che il cuor ci pugne lo stesso amor possente,
Lodarlo e benedirlo potremo unitamente.
Passar non isperate, germana, a un sì
gran bene,
Senza che il cuor vi assalgano dubbi,
sospetti e pene;
La colpa originale noi miseri infelici
Espone ai fieri insulti di tre crudei
nemici,
Ed essi congiurati contro ogni eroica
impresa
Ci destano nell’alma gl’insulti e la
contesa.
Guerra soffrì il mio cuore alla
bell’opra accinto,
Ma colla grazia in petto ho combattuto
e vinto;
E quella grazia istessa, che mi fu
lancia e scudo,
Conforteravvi il seno, d’altro potere
ignudo.
Giova a guerrier, novello nell’armi e
nel periglio,
Udir del veterano la norma ed il
consiglio;
Giova al nocchier che al mare nei
primo dì s’affida,
Di pratico piloto provida man che il
guida;
Ed al timido infermo, da nuovi mali
oppresso,
Puote giovar il labbro di chi soffrìo lo
stesso.
A voi, che fra’ nemici siete ancora
inesperta,
Che in borrascoso mare ite dubbiosa, incerta,
A voi, tenera inferma, dal comun danno
oppressa,
Scorta, consiglio, aiuto posso recarvi
io stessa.
Ah suora mia diletta, ne’ miei giorni
primieri,
Qual fiero ondeggiamento provai ne’
miei pensieri!
Che non fe’, che non disse il mondo ingannatore,
Per intralciarmi il piede, e
avvelenarmi il core?
Tutte dinanzi agli occhi schierate ad
una ad una
Mi offerse le lusinghe di prospera
fortuna.
Mira (diceami il tristo), mira l’onor,
la gloria
Degli avi tuoi sublimi, degnissimi
d’istoria.
Ecco i forti guerrieri che hanno la
Patria augusta
Resa col lor valore di mille palme
onusta.
Ecco l’illustre ceppo de’ Mauroceni,
adorno
Quattro volte finora del Manto ed
aureo Corno;
Mira le sacre Porpore, onde sul Tebro
ornati
Andaro i signorili tuoi celebri
antenati,
E le Tiare sacre che tante volte e
tante
Premiar dei tuoi maggiori l’anime
giuste e sante.
La Patria fortunata, la Patria tua
diletta,
Da te figli e nipoti pari ai grand’avi
aspetta.
Tu della donna eccelsa, ch’ebbe
sull’Istro il serto,
Prole de’ Mauroceni, puoi pareggiar il
merto;
E della madre illustre, che ti
produsse al mondo,
Il cuor colle tue nozze puoi rendere
giocondo.
Gli agi della Famiglia non obliare
ingrata,
Pensa alla nobil culla dove all’onor
sei nata;
Perché, di te nemica, cambiar con
voglie strane
Ricchezza in povertate, gli ori e le
sete in lane?
Mira dell’Adria augusta, mira i bei
giovanetti
Rider a te d’intorno, arder d’onesti
affetti.
Stendi la man ritrosa, se vuoi
contenti e pace...
Quivi troncai le voci del seduttore
audace.
Perfido (in cuor risposi) simulator
tiranno,
Questo gran ben che mi offri è un
forsennato inganno.
Degli avi miei gloriosi sarà contento
il zelo,
Se la virtute onoro, se mi consacro al
Cielo;
E là, dove risiedono quell’anime
beate,
Della nipote approvano le massime
onorate.
I genitori anch’essi, che a me donar
la vita,
Giubileran veggendomi a sacro Sposo
unita;
E chi davver mi apprezza, e chi al mio
bene aspira,
Adorerà gli affetti che il mio Signor
m’inspira.
Chi mi desia nel secolo, pieno di rei
consigli,
La pace mia non brama, procura i miei
peripli.
Vaglion più queste lane, che usano i
sacri chiostri,
Dell’oro e delle gemme, più delle sete
e gli ostri;
E povertade eletta, che la virtude
insegna,
Val più d’ogni ricchezza, più d’ogni
pompa indegna.
Oh quante volte, oh quante a questo
cuor di smalto
Tornò il mondo protervo a replicar
l’assalto!
Ma il sudar nei conflitti per ottener
vittoria
Rendere suol le palme ricchissime di
gloria.
Parmi veder voi pure, suora diletta e
cara,
In mezzo a quegli assalti che il mondo
a voi prepara,
E coll’esempio istesso a discoprir
v’insegno
Le trame ingannatrici del seduttore
indegno.
Bramate voi la pace? ecco di pace il
lido.
Siete d’amore accesa? ecco d’amore il
nido.
Non dell’amor profano, ingannator
mendace,
Ma di quel santo Amcre, fonte d’un ben
verace.
Germana, io non intendo, per rendervi
sicura,
Trarvi co’ miei consigli qua dentro in
queste mura.
Voi tra vergini saggie sinor foste
educata;
Là pur viver potete contenta e
fortunata.
Ma poiché al sacro chiostro la sorte
vi destina,
Senza spiacere agli altri, vi bramerei
vicina.
Per tutto Iddio si loda, si serve in
ogni loco,
Arde d’Amor Divino in ogni tempio il foco;
Ma il bel piacer io bramo, ma il bel
desio mi preme,
Che fra di noi si cantino inni di
Gloria insieme.
La genitrice amabile, cui pari amor
consiglia,
Umile a Dio consente donar la terza
figlia,
Ma goderebbe anch’ella mirarvi a noi
dappresso
Per il piacer di darvi qualche materno
amplesso.
È ver che tre sorelle in un medesmo
chiostro
Ricevere votanti repugna all’uso nostro,
Ma a superar gli ostacoli si unisce il
cuor pietoso
Di monache gentili, di un padre
generoso.
Dunque, sorella amabile, se Iddio così
dispone,
A compiere venite la vostra vocazione.
Venite al Corpus Domini, dove
l’amor v’invita
Di una sorella tenera che all’altra
suora è unita;
Sarà di tre germane più fervido
l’affetto,
Sendo il numero trino un numero
perfetto.
Deh, più non ci lasciate di tal
ventura incerte;
Ansiose vi aspettiamo, e colle braccia
aperte.
Se avete qualche dubbio, scrivete a
noi sincera:
Vi spianerem la strada più facile e
più vera.
Vi abbraccia la germana come vi
abbraccio anch’io.
Chiara mia dilettissima, vi benedica
Iddio.
La nobil donna Chiara Morosini in educazione
nel Monistero di S. Prosdocimo in Padova alla dilettissima di lei sorella Donna
Maria Eleonora Morosini monaca nel Corpus Domini di Venezia.
Carissima sorella, lessi con piacer
tanto
Il vostro amabil foglio, ch’io non
trattenni il pianto,
Dio per misericordia disceso è ad
invitarmi,
E voi col buon consiglio venite ad
animarmi,
Servendosi di voi la Grazia benedetta
Per rendere più presto quest’opera
perfetta.
Pur troppo i rei nemici tentan la mia
rovina,
Sorella dilettissima, voi foste
un’indovina.
Il mondo ingannatore con i consigli
suoi
Usa quell’arti meco ch’egli adoprò con voi;
E a vincere gli assalti di questa
belva ardita
Il vostro buon consiglio le regole
m’addita.
Vegliando, al mio dovere m’appresto e
m’uniformo,
Ma il perfido talora m’inquieta allor
ch’io dormo.
Ora mi si presenta quel vecchio
venerando,
Con aria sostenuta di ardire e di
comando,
Ora con dolce aspetto, giocondo e
lusinghiero,
I spiriti mi accende, mendace
consigliero.
L’altra notte m’apparve dolce,
discreto, umano,
Col regal manto in dosso, con un
bastone in mano.
Figlia, non mi conosci? dissemi in
grave tuono:
Francesco Mauroceno il tuo grand’avo
io sono,
Quello che le vittorie conta co’
giorni suoi,
Il terror de’ nemici, l’esempio degli
eroi,
Quello che, duce in Candia, dal popolo
e il Senato
Onorifici segni ebbe d’animo grato.
Quello che in Greca terra, per
riparare all’onte
Dell’orribile sete, fé scaturire un
fonte.
Colà nuovi trionfi la Patria mia
diletta
Da te, dal sangue mio, dalla tua prole
aspetta;
Destati, e t’apparecchia a porgere la
mano
A sposo, onde i miei voti sparsi non
sieno in vano.
Destomi allor confusa fra il voglio e
fra il non voglio;
A leggere ritorno, sorella, il vostro
foglio,
E questo chiaramente mi scopre e mi
rinfaccia
Che sotto una lusinga si asconde una
minaccia.
Voi mi avvertiste in tempo, che de’
grandi avi il zelo
Sarà di me contento se mi consacro al Cielo.
Non mancano le spose, non mancan l’eroine,
D’eroi fecondatrici nel Veneto
confine;
A nozze più sublimi il mio Signor mi
chiama,
La castitade ho in pregio, altro il
mio cuor non brama;
E quel che in falso aspetto a
consigliar mi apparve,
Non è che il tristo mondo producitor
di larve.
Oimè, se vi potessi narrar qual duro
affanno
Al cuor mi riprodusse del perfido un
inganno!
Questo fu il più violento, il più
crudel partito
Che immaginar potesse il mio nemico
ardito.
Mi apparve nella cella, ove dormia
felice,
Col volto della nostra prudente
genitrice,
E sonnacchiosa ancora sullo spuntar
del dì
Io mi sentia nell’anima a ragionar
così:
Figlia, diletta figlia, tu pure al
chiostro inclini?
Tu colle due germane me abbandonar
destini?
Tanti sudori e pene, cara, mi sei
costata,
Ed all’amor mio tenero tu corrispondi
ingrata?
Quante speranze e quante per te nutria
nel cuore!
Quante novelle prove darti volea d’amore!
Già mi parea vederti di dolce sposo allato,
Già mi parea di stringere figlio dal tuo sen nato,
E rivolgeva in mente l’amabile diletto
Che reca ad una madre di figlia il
pargoletto.
Mancati forse, o figlia, nel padre tuo
amoroso
L’animo ed il potere di eleggerti uno
sposo?
Temi che fra i patrizi, figlia diletta
e cara,
Il sangue tuo non facciati desiderare
a gara?
Le luci tue leggiadre, l’amabile tuo
cuore...
Oimè, seguir non posso, si desta il
mio rossore,
Ed il rossor medesimo, quantunque
addormentata,
Con insolita forza allor mi ha
risvegliata.
Cerco la cara madre, vorrei pur
abbracciarla,
Ma al desir mio contraria vorrei non
ritrovarla.
Parmi nei dolci affetti di ritrovar lo
scoglio,
Lascio inquieta le piume e leggo il
vostro foglio.
Ah sì, gli accenti vostri mi resero
felice
Udendo i miei desiri gradir la
genitrice,
E dissi fra me stessa: Oh sogno
menzognero,
Tu meditasti in vano di mascherarmi il
vero!
So che la madre mia, ch’è di virtude
amante,
Ai decreti del Cielo ha l’animo
costante,
Che colla pace istessa, onde due
figlie ha offerto,
Nel consacrar la terza avrà lo stesso
merto,
E soffrirà la perdita cuor religioso e
pio
Di questa figlia ancora per
consacrarla a Dio.
Giusto di lei per altro è il tenero
desire,
Giusto è il consiglio vostro, è ver,
non so che dire;
Se Dio mi vuol sua sposa, se Dio mi
chiama al chiostro,
Vuol la ragion del sangue sia un solo
il luogo nostro:
Sarei nell’appagarvi, sarei contenta
appieno,
Ma oimè, che mi contrastano vari
pensieri in seno.
È ver che due germane bramano viver meco,
Ma un’altra ancor più tenera m’invita
a restar seco.
Lise
mia dilettissima, quarta sorella nostra,
D’avermi a lei vicina sollecita si
mostra.
Come poss’io staccarmi da lei, sorella
amata?
Come partir dal chiostro in cui vissi
educata?
In questo almo recinto di nobili
donzelle
Albergan le virtudi più candide e più belle.
Quivi l’amor divino l’anime sol
diletta,
Regna fra queste mura la carità
perfetta.
Dalle vergini saggie il bell’esempio
appresi,
Delle lor fiamme in vista questo mio
cuore accesi,
E seguitando il loro dolce costume e
pio,
Santificai le voglie, e ho riposato in
Dio.
Il mio desir novello colla ragion
combatte,
Partir non so risolvermi da chi ho
succhiato il latte.
Fissare io non ardisco la mia
risoluzione;
Andrò dove mi porta la santa
vocazione.
Ma in questo punto istesso che vi
rispondo al foglio,
Intenerirmi io sento per voi più che
non soglio.
Oimè, mi manca il lume; tremar veggo
la mano,
Al cuor con dolci note mi parla il mio
sovrano;
Di scrivere sospendo, la di lui voce
ascolto;
Terminerò la lettera, rasserenata in
volto.
Eccomi di bel nuovo; la penna ho in
man ripresa,
Del mio Signor, germana, la volontade
ho intesa.
Vanne, mi disse, o figlia, il
sacrifizio santo
A compiere in Vinegia alle sorelle
accanto.
La Provvidenza eterna che a consolarti
inclina,
Co’ suoi segreti arcani là il viver
tuo destina.
Supera ogni altro affetto che al tuo
desire è scoglio,
Va pur; nel Corpus Domini te,
mia diletta, io voglio.
Al cenno onnipossente del sposo mio
divino
L’alma, la mente, il cuore umilemente
inchino,
E dietro alla superna soavissima voce
Vengo con voi, germane, ad abbracciar
la Croce.
Queste vergini illustri, che a Dio son
rassegnate,
Saran di mia partenza per lui men
sconsolate,
E la tenera suora, ch’or lascio in
abbandono,
Sarà contenta anch’essa, quanto felice
io sono.
Deh la mia genitrice, nel di cui seno
io vivo,
All’antenoree mura solleciti l’arrivo;
Seco mi tragga tosto all’Adria
fortunata;
Nel chiostro mi conduca a vivere
beata.
Pregatela, germana, per quanto adora
il nume,
Ch’esimere mi voglia dal solito
costume;
Se brama di piacermi, con animo
giocondo
A rinserrar conducami senza vedere il
mondo,
E alle paterne soglie trattengami sì
poco,
Che l’anima non senta intiepidire il foco.
Date un tenero abbraccio alla minor
germana,
Uno alla cara madre, saggia, prudente,
umana.
Alle vergini illustri del vostro
monistero
Grazie per me rendete con animo
sincero.
Presto ci rivedremo, se piace a Iddio
Signore.
Vi salvi e benedica il sacrosanto
amore.
La nobil donna Chiara Morosini, dopo la sua
vestizione nel monistero del Corpus Domini
in Venezia, alla dilettissima di lei sorella
la nobil donna Lise Morosini,
in educazione in San Prosdocinio in Padova.
Cara sorella amabile, fra queste
elette soglie
Eccomi lieta alfine, cinta di sacre
spoglie.
Partir se mi vedeste da voi con rio
tormento,
A parte ora desidero voi pur del mio
contento.
Finor cerva assetata, desiderando il
fonte,
L’acque vedea lontane al mio desir non
pronte,
Ed il timor di perdere la pace mia
serena
Mi confondea lo spirito e mi teneva in
pena;
Vidi di volo il mondo, cui sì gran
stuolo adora,
E mi crescea la brama di abbandonarlo
ognora.
Feste, giochi, teatri, conversazioni
amene
Son ombre, son fantasmi, misto col
male è il bene;
E una semplice stilla del santo amor
giocondo
Val più di tutti i beni che ci
offerisce il mondo.
Il mio maggior diletto, che al secolo
ho provato,
Fu della cara madre viver contenta
allato.
Ella che la virtude ama, coltiva e
onora,
Vivere santamente sa nel gran mondo
ancora,
E seco in dolce albergo sarei vissuta
anch’io,
Se consacrata al tempio non mi volesse
Iddio.
Col zio saggio ed umano, col dolce
genitore,
Co’ miei quattro fratelli, ch’han
virtuoso il cuore,
Potea nel patrio tetto vita menar
felice,
Ma al chiostro Iddio mi chiama, e a me
restar non lice.
Eccomi in queste mura ove il Signor
m’invita,
A sacre spose a canto, a due sorelle
unita;
E tanto è il mio contento, tanto è il
piacer ch’io provo.
Ch’ogni momento il giubilo entro al
cuor mio rinnovo.
Che bel piacer, germana, è il poter
dir: Qua dentro
Vi è dell’amor divino, vi è della pace
il centro,
E perderlo non posso fin che ad un ben
maggiore
Morte non mi conduca, vicina al mio
Signore!
Tosto che in queste soglie venni fra
sacre ancelle,
Baciai teneramente le amabili sorelle.
Il giubilo comune di rivederci accanto
Fe’ a noi per tenerezza scender dagli
occhi il pianto;
Ed essere di noi sogliono i bei
trastulli
Il cantico sovente cantar dei tre
fanciulli.
«Il Signor benedite, opere di sua
mano,
Lodate ed esaltate nei secoli il
sovrano.
Angeli del Signore, cieli che a Dio
servite,
Voi acque, e voi virtudi, il Signor
benedite.
La luna, il sol, le stelle, la pioggia
e la rugiada,
I spirti dell’eterea bellissima
contrada,
Il caldo, il freddo, il foco, le nevi e le pruine,
La notte, la luce, le tenebre e le
brine,
I folgori, le nubi, opre d’Iddio
superno,
La terra il benedica, l’esalti in
sempiterno.
Benedicanlo i manti, i colli, i fonti,
i frutti,
I mari, i fiumi, i pesci lo benedican
tutti,
E gli animai volatili e i quadrupedi
stessi
Odansi il Creatore a benedire
anch’essi.
Dai figliuoli degli uomini Iddio sia
benedetto,
L’esalti d’Isdraele il popolo diletto.
I santi sacerdoti, i servi del
Signore,
E l’anime de’ giusti, e gli umili di
cuore.
Anania, Azaria, Misael giovanetti
Lodino e benedicano Dio, che lor arde
i petti.
Benediciamo il Padre e il Figlio e il
Spirto Santo
Nei secoli dei secoli noi pur col
nostro canto.
Dal Ciel, dal firmamento, Signor, tu
sei lodato,
Sei sempre benedetto, e ognor
glorificato. »
In mezzo alla fornace, in fra i
carboni accesi,
Cantavan tre fanciulli da quelle
fiamme illesi;
Noi pur tra fiamme ardenti di carità
fraterna,
Pieno di speme il cuore, moviam la
voce alterna.
E i miseri mortali che noi credon
crucciose,
Non veggon che le spine per noi
diventan rose.
Lise
mia dilettissima, tenera giovanetta,
Chi sa qual sia la sorte che v’ha il
Signore eletta?
Ogni stato è felice ad un bel core
onesto,
Ma non sperate averlo più amabile di
questo.
Destarvi io non intendo brame simili
in cuore:
La vocazion seguite che ispiravi il
Signore.
Ma il tenero amor mio, che al vostro
bene aspira,
Lieta qual io mi trovo, lieta voi pur
sospira.
Alle compagne vostre, suora, se il
Ciel v’aiuti,
Priegovi di rispetto recare i miei
tributi.
Dite che mi concedano, se le lasciai,
perdono,
Che per cagion sì giusta quasi dolente
io sono:
Ma se da lor lontana mi vuole il destin mio,
Ci rivedremo un giorno, ci riuniremo
in Dio.
Dopo tredici lune, che accelerare io
bramo,
Sarò più strettamente congiunta a quel
ch’io amo;
Il giorno dei tre voti con impazienza
aspetto:
Li differisce il labbro, ma li ho
formati in petto.
E vano è il dubitare ch’io veggami
pentita;
Non lascierò il mio sposo fino che
duri in vita,
Sposo soave tanto, che tanto amor
m’inspira,
Che ogni rispetto umano, che mel
ritarda, ho in ira.
Carissima germana, trovarne un ne
potrete
Che vi ami, che vi onori, amabile qual
siete;
Lo troverete al mondo, saggio,
gentile, onesto,
Ma non daravvi all’anima quel ben che
mi dà questo.
Son facili nel mondo gli spasimi e i
deliri:
Noi vergini lo sposo amiam senza
sospiri.
Soggetto è a cangiamento il cuor del
viril sesso,
Il cuor del caro sposo per noi sempre
è lo stesso.
Del vostro cuor disponga Iddio, come a
Lui piace;
Vi auguro in ogni stato vera concordia
e pace.
Col solito amor vostro gradite il
foglio mio.
Lise
mia dilettissima, vi benedica Iddio.
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