I RITI E LE CEREMONIE NELLA VESTIZIONE
DELL’ABITO MONACALE
Stanze in occasione che la nobil donna Marina Falier
veste
l’abito di Sant’Agostino nel venerando monastero di Santa
Marta.
Donne,
al tempio correte, ove si adora
(Colla dovuta adorazione ai Santi)
Di Maddalena e Lazzaro la suora,
Di cui stan scritti nel Vangelo i
vanti,
Da Gesù Cristo commendata, allora
Che lo servì, della sua morte innanti.
Donne, correte con lodato esempio
Di santa Marta a venerare il tempio.
Non
già, come solete andar la notte
Dei
vent’otto di luglio in quel contorno,
Dall’uso
antico a veleggiar condotte
In bei
navigli a quelle spiagge intorno;
Ma
dalla vera divozion ridotte,
Donne,
tutte vi bramo in sì bel giorno
Alla
chiesa, alla grata, al monistero
Ad
ammirare un sacrifizio intero.
Prima
di penetrar le sacre mura,
Chi
è la vittima?
udite: Una
fanciulla,
Una
vergine saggia, a cui natura
Prodiga
fu di grazie in nobil culla;
Che
di sua stirpe lo splendor non cura,
Che
ricchezza e beltà reputa un nulla,
Di
prosapia Falier prole bennata,
Marina al sacro fonte nominata.
Nota è
al mondo l’illustre ampia famiglia,
Ch’è
del Veneto ciel splendida stella,
Dall’aureo corno e porpora vermiglia
Fatta mai sempre poderosa e bella;
E il genitor, di cui Marina
figlia,
Le glorie del casato or rinnovella,
Saggio, egregio Signor, di fregi ornato,
Della Patria delizia e del Senato.
All’antica
prosapia accresce i pregi
La nobile, prudente genitrice,
Di sante figlie e di figliuoli egregi
(Grazia e dono del Ciel) madre felice,
Onde vedrem moltiplicati i fregi
Dell’augusta del mar moderatrice,
Guidando i parti della Gloria al
tempio
Col buon consiglio e col materno
esempio.
O
benedetto il santo Matrimonio,
Che fa dei sposi l’anime contente,
In cui non entra il lubrico Demonio
Sotto spoglie d’amico o di servente.
Deh mirate in codesti un testimonio
Sì poco in uso alla moderna gente,
Che dall’amor di due consorti onesti
Nascon figli in virtù simili a questi.
A qual
ragion crediamo noi si ascriva
Che altre figlie son triste, altre son
buone?
Da due principii la cagion deriva:
Dalla macchina e dalla educazione.
Dei genitori l’armonia giuliva,
La sanità, la buona complessione,
Fa che perfettamente organizzati
Nascano i parti, e alla bontà
inclinati.
Ma non
basta il miglior temperamento
Senza una saggia educazione accorta.
Hanno i figli sovente un bel talento,
E il mal esempio a traviar li porta.
Ecco il perché novantanove in cento
Andar si veggon per la via bistorta;
O perché male nascono costrutti,
O perché in gioventù non sono
istrutti.
La
giovinetta, che a mirar v’invito,
Donne gentili, può servir d’esempio
Ai padri e ai figli, e rendere
avvilito
Ciascun che segue il mal costume ed
empio.
Se col labbro sincero il ver vi addito,
Venite meco a confrontare al tempio.
Entrate pur nelle sacrate porte
Al sacrifizio della vergin forte.
In quel
recinto, ch’è da noi diviso
Nel tempio ancor da monacal clausura,
Fra le spose di Dio, modesta in viso,
Stassi l’agnella mansueta e pura.
Avanza il passo al consueto avviso
All’altare di Dio franca e sicura,
Le venerande monache fra loro
II salmo quarant’un cantando in coro.
Quel
che principia nel divin Salterio,
Quemadmodum desiderat: spiegando
D’un’anima viatrice il desiderio
Simile al cervo, allor che va cercando
Alla sete dell’acque il refrigerio,
Sol di trovarlo nel suo Dio sperando:
Leggete il salmo, e se il latin vi è
strano,
Nel Salmista leggetelo toscano.
Cantando
van le religiose, e intanto
Veste i sacri apparati il confessore;
Il camice, l’ammitto, il cingol santo,
La stola, il pivial; poi per di fuore
Intuona Terza, e gli risponde
al canto
Il contralto, il sopran, basso, e
tenore,
L’organo, i violini, e le viole,
Che confondono i sensi e le parole.
L’Ora
finita, il confessor si porta
Col clero unito, e colla croce
innante,
Del monistero alla serrata porta.
Dei sacerdoti seguitiam le piante.
La verginella, dalle suore scorta,
Arriverà fra qualche breve istante.
Eccola. In bianche spoglie ha i membri
involti,
E sull’umile dorso i crin disciolti.
La
veggo uscir di bel rossore accesa
Colle quattro converse a lei
d’intorno,
Dalle congiunte e dalle amiche attesa,
Che spalliera le fanno in quel contorno.
Donne, venite a seguitarla in chiesa
Fino all’altar con sagra pompa adorno;
Ma se in chiesa tacer non vi fidate,
State di fuori, o in parlatorio
andate.
Pria di
venire a profanare il tempio,
Vi consiglio sedere ad una grata.
Colle dame non parlo; un mal esempio
È incapace di dar dama bennata.
Colle donnette il mio dovere adempio
Correggendo la garrula brigata;
E spero in Dio, che la ragion sia
intesa,
Che non si fa conversazione in chiesa.
Venite meco, o femmine divote,
Ad ammirar della fonzione il rito.
Ecco le religiose in chiare note
Il salmo Quam dilecta han già finito.
Si presenta all’altare il sacerdote,
E dalla sposa umilemente udito
Dice questa orazion: Sia da Dio
stesso
Custodito il tuo ingresso, e il tuo
regresso.
Ora, il Coro risponde, e in
sempiterno.
Ripiglia il confessor: Dio sia con
Voi.
E collo spirto tuo; dal lato esterno
Risponde il clero con i canti suoi.
Seguita il sacerdote: Iddio
superno,
Salva e proteggi cogli aiuti tuoi
Quest’ancella al divin culto inerente,
E ti serva col corpo e colla mente.
Mirate
in orazion la verginella
Genuflessa in disparte al sacro
altare;
Il ministro vicino alla predella
Ecco in pianeta il pivial cangiare.
L’organo si prepara e la cappella;
Principia la gran Messa a celebrare;
I musici cantar udite, o donne,
Sessanta volte Kirieleissonne.
Fatto è a gloria di Dio quell’apparato,
Quel magnifico palco armonioso.
Solo a gloria di Dio fu convocato
Il numero de’ suoni strepitoso.
Il suono e il canto in Paradiso è usato:
Deesi il nome di Dio santo e glorioso
In cymbalis lodar bene sonantibus,
Ma dai musici no male cantantibus.
Dunque a gloria di Dio nel tempio si usa,
Le sacre preci modular col canto.
Ma l’uom scorretto, che di tutto abusa,
Mentre si canta, si diverte intanto
Passeggiando, sedendo alla rinfusa,
Colla schiena voltata all’altar santo;
Al divin sacrifizio non abbada,
Come fosse in teatro o sulla strada.
Abbaderà
se quel cantante intuoni.
Se un bel concerto suonerà il Nazzari
Se il maestro di musica Bertoni
Abbia composti dei versetti rari.
Quantunque intorno il campanello
suoni,
Non si volta nemmeno ai sacri altari;
E mentre il sacerdote alza le mani,
Parlerà degli Austriaci e de’
Persiani.
Ah!
donne, donne, che da me guidate
Veniste al tempio per consiglio mio,
Quel che solete fate, oggi non fate;
Volgete il guardo al sacrifizio pio.
Via; dinanzi all’altare inginocchiate,
Siate modeste per amor di Dio,
Che se vi sono degli oltramontani,
Non dicano che siam poco cristiani.
A quel
ch’io vedo, predico al deserto,
E la mia voce non è molto intesa;
Anzi taluno, che vuol far l’esperto,
Stolto mi dice per sì vana impresa.
Donne, il Gloria sentiste, ed
il concerto:
Vi consiglio ad uscir fuori di chiesa;
Si avvicina la Messa all’Offertorio,
E le dame sen vanno al parlatorio.
Voi,
del seguito mio donne curiose,
Dietro alla nobil comitiva andate.
Le nostre dame affabili, vezzose,
Mirate là modestamente ornate.
Le amiche, le parenti religiose
Seco loro le invitano alle grate,
Offrendo lor per refiziare i petti
Cioccolata, caffè, dolci e sorbetti.
Io
torno in chiesa, e chi di voi si sente
Tutto mirar della funzione il rito,
Seguiti i passi miei divotamente,
Imponendo silenzio al labbro ardito.
Ecco l’ora opportuna; ecco si sente
Che ha il confessor di celebrar
finito,
E la vergin divota è preparata
Per esser col suo Dio comunicata.
La
pisside il ministro ha nelle mani,
Va a recare alla sposa il pan celeste.
Che rumore è mai questo? Oh Dio! Cristiani,
Come pensano mal le vostre teste?
Se qua vi fosser dei monarchi umani,
Dite, per carità, che non fareste?
E non vi move a tenerezza un Dio?
Oh santa Fede! o tristo mondo e rio!
Ecco la
mano il sacerdote appressa
Alle tenere labbra verginelle;
Ecco la sposa, che s’accosta anch’essa
Al Rettor della terra e delle stelle:
La maggior grazia che abbia Dio
concessa
Alle care dilette anime belle.
Tremano in Ciel le gerarchie beate
A sì grande mister; voi non tremate?
Misericordia,
o Redentor
del mondo,
Per me, per tutto il popol tuo
diletto...
Torna all’altare il confessor
giocondo,
Che ha confortato della sposa il
petto.
De’ sacri arredi alleggerito il pondo
Colla cotta ponendosi in farsetto,
Alla vergin s’appressa, e la funzione
Principia della santa Vestizione.
Il
ministro di Dio prende la croce,
E alle man della sposa la consegna.
Ecco ch’egli pronunzia ad alta voce
Quelle parole che il Vangelo insegna:
Chi vuol meco venir, pronto e veloce
Neghi se stesso, e segua la mia
insegna;
Le quai parole registrate sono
Nel Vangel di san Luca al capo nono.
Bacia
la verginella il legno santo:
Risponde accesa di costante zelo:
Deh non fia ch’io mi glorii d’altro
vanto
Fuor della croce del Signor del Cielo,
Per cui me al mondo crocifigger vanto,
Ed a me il mondo crocifisso io svelo.
Come scritto lasciò nel sacro testo
Ai Galati san Paolo al capo sesto.
Ora il
sacro ministro a lei presenta
L’argenteo serto, e cotai voci
intuona:
Al tuo capo il Signor la grazia
aumenta,
E ti protegge l’inclita corona.
Entro al suo cuor la vergine contenta,
Abbassa il capo, ed il bel crin
corona;
Indi pronuncia colle labbra sue
Il versetto del salmo trentadue.
Il
Signor farà pingue il capo mio
Nell’olio; che vuol dir nel senso vero:
La Grazia sua mi accrescerà il mio
Dio,
Mi farà santa, come bramo e
spero.
Poi segue: Abiterò felice anch’io
Eternamente nel celeste impero.
Replica il coro in armoniose note
Quel che dice la sposa e il sacerdote.
Ripiglia
il confessor: Se vincerai,
Dio nel suo tempio ti farà colonna,
Donde fuori mai più non uscirai.
Al che risponde l’innocente donna:
Lieta mi fan queste parole assai,
Nella casa di Dio sarò madonna.
Sta nel Lætatus sum quel
ch’ella disse:
Parlò il ministro coll’Apocalisse.
Ciò
detto, la donzella alzasi in piede
Presso al ministro colla croce in
mano;
Seguitata dal clero, ecco si vede
Ver la porta del chiostro andar pian
piano.
Le suore anch’esse nell’interna sede
Van secondo il costume Agostiniano
Ad incontrarla. Donne mie, venite;
Quel che si fa, quel che si dice,
udite.
Mirate
che la vergine bramosa
L’uscio tre volte colla man percuote.
Apresi alquanto, ed alla sacra sposa
L’abbadessa domanda in chiare note:
Figlia, l’ingresso tuo di cui se’
ansiosa,
Che pacifico sia, sperar si puote?
Pacifico, risponde, è il venir mio,
Venuta i’ sono a consacrarmi a Dio.
Ecco,
la porta che tenean socchiusa
Interamente si riapre allora,
L’abbadessa dicendo: Vada esclusa
Marina
secolar dal chiostro fuora:
Maria
Elena venga, e sia rinchiusa
La sacra sposa, che il suo Cristo adora.
Consolata è la vergine felice;
E il ministro così la benedice:
Ti
benedica il Padre, ed il Figliuolo,
E lo Spirito Santo, come andaro
Benedetti da Dio nel patrio suolo
Abramo, Isacco, e il buon Jacob del paro.
Iddio ti esalti e ti sollevi al polo,
Piena di grazia e di un amor preclaro;
Esaudisca i tuoi voti, o vergin pia,
Dio nei secoli eterni; e così sia.
Di bel
nuovo le porte ecco serrate:
In ordinanza mettonsi le suore,
Benedetta, cantando in voci grate,
Quella che viene in nome del Signore.
Miratele là dentro, per le grate:
Colla croce del nostro Redentore,
Colla sposa novella unitamente
Vanno alla chiesa processionalmente.
Dassi
un breve respiro alla donzella
Perché all’uopo maggior resister
possa:
Credo che vada a reficiarsi anch’ella,
E i preti ancor, che son di carne e
d’ossa.
Ecco s’apre dipoi la fenestrella,
Ecco la sposa che a venir si è mossa.
Di dentro l’accompagnano le suore,
E di fuori l’aspetta il confessore.
Le
preci udite religiose e pie,
Le preci sante che vi saran note,
Simili a quelle delle litanie
Che le persone recitan devote;
E credere non voglio, donne mie,
Che tali orazion vi sieno ignote,
Ché santa Chiesa col suo canto istesso
Suol chiamare devoto il vostro sesso.
Donne,
volgete al finestrino il piede,
Ove la sposa genuflessa attende.
Che brami, o Figlia? il confessor le chiede.
Col salmo ventisei risposta rende:
Questo chiesi al Signor: nella sua
sede,
Che oltre il confin dei secoli si estende,
Viver desio; la Chiesa santa io bramo,
E il decoro di Dio procuro ed amo.
Con san
Paolo ai Corinti a lei domanda:
Hai ciò ben stabilito entro il tuo
petto?
Non hai necessità che ti comanda?
Sei tu disciolta da ogni uman
rispetto?
La vergine risponde alla domanda:
Così ben giudicai col mio intelletto.
Vittima volontaria a Dio mi dono.
Mi sacrifico a Lui, ch’è santo e buono.
Nella
casa di Dio mi elessi abietta
Viver più tosto, che fra quei
splendori
Onde la stolta gioventù s’alletta
Nell’albergo fatal dei peccatori.
Quivi godrò la pace mia diletta,
Acceso il cor de’ più innocenti
ardori.
Donne, se aveste mai le orecchie
corte,
Pregatela che dica un po’ più forte.
Replica
il pio ministro: Se abitare
Dunque la casa del Signor destini,
Tutto devi quaggiuso abbandonare;
Esci col padre Abram da’ tuoi confini.
La paterna magion ti dei scordare,
Staccati dai congiunti e dai vicini,
Se la terra desii di promissione
Dove annida la santa Religione.
Ella
risponde: Chi mi presta l’ale
Della colomba per salire al Cielo?
Aspetterò nel chiostro monacale
Che Dio mi salvi col suo santo zelo.
Seguita quel che dice il rituale,
Tratto dai salmi e tratto dal Vangelo,
E da più voci con Letizia santa
Veni, Creator Spiritus, si canta.
Finito
il canto, e detta un’orazione.
Portan le vesti al sacerdote innanti:
Egli vi dà la sua benedizione
Con parole divine e segni tanti.
Poscia il candido velo si dispone
A benedire, e fra gli arredi santi
Vien la cintura, angelica, felice,
E il ministro di Dio la benedice.
Le
sacre vesti e la novizia eletta
Tre volte onora d’arabi profumi;
Tre volte asperge d’acqua benedetta,
Soliti della Chiesa e pii costumi.
Spogliandosi dipoi la giovinetta,
E in lei fissando l’abbadessa i lumi,
Dice: Ti spogli Iddio l’esser di
pria;
E rispondono in coro: e così sia.
Indi
vestita delle sacre spoglie,
La verginella pronunciare udite:
Gode l’anima mia: le ardenti voglie
Finalmente da Dio sono esaudite.
Le caste lane in queste umili soglie
Son di giustizia e santità fornite.
Alfin la madre, che le suore ha in
cura,
Pone al tenero fianco la cintura;
E così
dice: Sopra i lombi tuoi
Stringi
il cingolo santo, o mia diletta;
Ti serbi la virtù dei nodi suoi
In temperanza e castità perfetta.
L’affibbia intorno, e termina dipoi
Col segno della croce benedetta.
La novizia risponde: Il mio Signore
Mi cinga i lombi, e mi circondi il
cuore.
Adorna
è già del monacale arnese,
Cambiato ha il cuor come cambiato ha
il nome.
Manca all’opera sol, ch’ella
intraprese,
Che troncate le sian le bionde chiome.
Venite, o donne, al sacrifizio intese,
Accostatevi pur. Mirate come
Gl’incolti crini risoluta afferra,
Perché sieno recisi e sparsi in terra.
La
saggia che alle vergini precede,
È la prima a troncar le chiome aurate;
Poscia l’esempio seguitar si vede
Dalle sorelle all’opera invitate.
Franca rimira la Donzella al piede
L’insana pompa della verde etate;
La calpesta dicendo: Itene, o indegne
Pompe, di servitù misere insegne.
Donne,
qua vi volea,
voi che ponete
Nella chioma gentil sì lunga cura;
Che pazienti e mansuete siete
A sofferir la misera tortura;
Che l’aspetto ai capei cambiar solete
Contro la Providenza di natura,
Usandoli ora lunghi, ed ora corti,
Ora in treccia, or distesi, ed or
bistorti.
L’atto
mirate generoso e pio
Della vergine saggia, il crin reciso
Dalla donzella e consacrato a Dio,
L’amor proprio nel sen vinto e
conquiso.
Ma vo’ dire a voi, donne, un pensier
mio,
Ch’or mi viene nel capo
all’improvviso;
Perché diansi i capegli in sacrifizio,
Come fosser le chiome un malefizio.
Quel
che fece l’Autor della natura,
Esser non potrà mai cosa cattiva;
Perché dunque una figlia onesta e pura
Deesi lodar, se de’ capei si priva?
Questo provien dalla soverchia cura
Onde la donna al non plus ultra
arriva.
Tanto e tanto i capei fur coltivati,
Che Dio per umiltà li vuol troncati.
Da un
bello spirto replicarmi ascolto :
Se una buona ragione fosse questa,
Perché le donne si lisciano il volto,
Si avrebbe a tante da tagliar la
testa?
Va fuor di chiesa ad ischerzare, o
stolto;
Questa non è proposizione onesta.
Piuttosto in ginocchion prega il
Signore
Che lor voglia cambiar la testa e il
cuore.
Tanto
che fatte abbian queste parole,
Disse quell’orazione il confessore
Che tagliati i capegli dir si suole,
Dando lode di tutto a Dio Signore.
L’abbadessa col velo or coprir vuole
Della vergine il capo, e farle onore;
E un versetto in latino a dir si
sente,
Ch’io traduco in volgar sommariamente.
Cinga
il tuo crine la modestia santa,
La sobrietà, la continenza; il velo
Della virtude che il tuo core ammanta,
Accresca in te di penitenza il zelo.
Redenta già l’anima tua si vanta
Dal sangue sparso dal Signor del
Cielo;
E nella carne che curar non degni,
Di mortificazion riporti i segni.
Risponderà
la vergine velata:
O Signor, mia fortezza e mia salute,
Nel dì della battaglia superata
Difendesti il mio capo in tua virtute.
Deh non lasciar quest’alma abbandonata
Dei peccatori nelle mani astute;
E a tai detti conforme, offre al
Signore
Una lunga orazione il confessore.
Poi la
novizia nuovamente asperge
E le monache tutte e i circostanti
Coll’acqua santa, che dall’alma
asterge
I peccati veniali. Oh sovra a quanti
Quell’acqua benedetta invan disperge!
Pochi sono i contriti, e i rei son
tanti.
Via mettetevi, donne, in ginocchione:
Dà il confessor la benedizïone.
Indi
passa all’altare, e genuflesso
L’inno Te Deum divotamente
intuona.
Udite, come da più voci espresso
L’Inno fra i canti armonico risuona.
Divozione v’inspiri il canto istesso,
Ché il Te Deum non è mica una
canzona.
Poi state attente, o femmine divote,
All’ultima orazion del sacerdote.
Finita
è la funzion; la finestrella
Ecco serrata della chiesa interna.
Bacia la sacra sposa ogni sorella,
L’abbraccian tutte in carità fraterna.
Si consolano seco, e lieta anch’ella
In varii sensi l’allegrezza alterna;
Ed il salmo si canta in stil giocondo
Centesimo trentesimo secondo.
Il salmo
Ecce quam bonum, che compita
Rende l’opera grata a Dio Signore.
Ecco nel volto ha l’allegria scolpita
Sua Eccellenza Giovanni, il genitore
Della sposa novella, e la compita
Sua genitrice giubbilante ha il cuore:
Ché di tai genitori ignobil vanto
Sarebbe in questo dì la doglia e il
pianto.
In
parlatorio a prendere licenza
Da lor venite, se vi pare e piace;
Indi fatta alla sposa riverenza,
Andarvene potete in santa pace,
Pregando Dio che colla sua clemenza
Renda il bel nodo stabile e tenace;
Che nell’anno avvenir, se vivi siamo,
La di lei Profession veder possiamo.
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