ALL’ILLUSTRISS. SIGNOR AVVOCATO GIUSEPPE
ALCAINI
Capitolo in occasione che terminò gloriosamente il suo
Reggimento in Bergamo
Sua Eccellenza il Signor Bastian Venier in oggi
procurator di S. Marco per merito.
Povero me! che professione è questa?
Signor
Giuseppe mio, son disperato,
Non so
dove mi sia, non ho più testa.
So che gli uomini tutti, in ogni
stato,
Trovan
che dir contro la
lor fortuna,
E che
ciascun per travagliare è nato.
Ma io per verità scelsi quell’una,
Fra
tante strade al galant’uomo aperte,
Che
poco grano e molta paglia aduna.
Chi viene in casa mia mira coperte
Le
tavole, i scaffali, e fin le sedie
D’ordinazioni
che mi sono offerte.
Chi vuol Drami da me, chi vuol
Commedie,
Chi un
Capitolo chiede, e chi un Sonetto,
Per far
che il mondo a spese mie s’attedie.
Non si fa un matrimonio benedetto,
Non si
veste una santa religiosa,
Ch’io
non mi vegga a verseggiar costretto.
Quando fissa ho la mente in una cosa,
Vien
l’altra, ed ho a lasciar quella per questa,
E
ciascuna di loro è premurosa.
Vien l’Impresario a farmi la richiesta
Di un
drama musical; prendo l’impegno,
E il
mio cervello a immaginar si appresta.
Ecco, un Comico arriva, e mostra
sdegno,
Perch’io
posponga la commedia al drama:
Io la
commedia terminar m’impegno.
Pongomi a verseggiar: manda una dama
A dirmi
che fa monaca la figlia,
Che
qualcosa del mio da lei si brama.
Il dovere mi sprona e mi consiglia.
Presto,
presto, si canti, e si dia lode
Alla
vergine saggia, e alla famiglia.
Prendo in mano la penna, e venir s’ode
Uno a
dirmi: Non sai che si marita
Una
vaga donzella a un giovin prode?
L’illustre casa a verseggiar t’invita:
Lascia,
lascia ogni studio in abbandono;
Se tu
lo neghi, il cavalier s’irrita.
Da mille cose imbarazzato sono,
Di buon
core per tutti io m’affatico,
Ma poi
col presto non s’accorda il buono.
L’altrier, immerso nel fatale intrico
Di
contentare un mastro di cappella,
Nel
concluder l’arietta ecco un amico
In nome vostro a verseggiar m’appella.
Il
comando mi onora, io lo confesso,
Ma la
fretta mi cruccia e mi flagella.
Chiedo che qualche dì mi sia concesso:
Signor
no, mi risponde l’Antonini,
Quel
ch’hai da far, lo devi fare adesso.
Tutto devi lasciar. Vuol l’Alcaini
Cantar
le glorie del Venier sublime,
Saggio
rettor di Bergamo ai confini.
E di farlo desia colle tue rime,
E
t’invita a salir del bel
Parnaso,
Per
il veneto eroe, le sacre cime.
Mi sento allor da un bel furore invaso;
Getto
il drama
in un canto, e mi preparo
Versi cantar proporzionati al caso.
Formar desìo dell’argomento al paro
Carmi
sonori, ed imitar
vorrei
Il Chiabrera, il Petrarca, il Bembo e il Caro.
Ma se mai del Burchiello i versi miei
Volessero
seguir la foggia strana,
Contro
la musa mia bestemmierei.
Ho veduto stampata una Tartana
Piena
di versi rancidi sciapiti,
Versi
da spaventare una befana.
Versi dal saggio imitator conditi
Col
sale acuto della maldicenza,
Pieni
di falsi sentimenti arditi.
Ma conceder si può questa licenza
A
chi in collera va colla fortuna,
Che
per lui non ha molta compiacenza.
Chi dice mal senza ragione alcuna,
Chi
non prova gli
assunti e
gli argomenti,
Fa
come il cane che abbaia alla luna.
Vo cercando le rime e i sentimenti
Dalle
oneste persone, e gli scrittori
Cerco
imitar che piacciono alle genti.
Veggio il saggio Venier fra’ suoi splendori
Le
bilance d’Astrea tenere in mano,
Sprezzare
il fasto, e meritar gli onori.
Venero il sangue illustre veterano,
Che fin
dai primi secoli gloriosi
Accrebbe
il vanto al nome veneziano.
Venero i Dogi e i Senator famosi,
E i
guerrier forti, e gli orator preclari,
E della
Patria i difensor gelosi.
E Sebastiano i fortunati e chiari
Avi
sublimi secondare i’ veggio
Con
talenti felici e singolari.
Or più che mai di Bergamo nel seggio
Splendono
vagamente a lui d’intorno
Quelle
virtudi che gli fan corteggio.
E tornando dell’Adria. al bel
soggiorno,
Fra i
padri eccelsi lo vedran le genti
Di
nuovi merti e nuovi fregi adorno.
Odo le voci querule e dolenti
De’
Bergamaschi alla partenza amara,
Spiegar
la doglia in rispettosi accenti,
Chiamar la sorte dei suoi doni avara,
Tesser
di lui la memoranda istoria,
Da cui
clemenza a regolarsi impara.
Odo i cigni eternar la sua memoria,
Veggo
affollarsi il popolo divoto,
Ed egli
umile starsi in tanta gloria.
Il suo talento, il suo saper mi è
noto,
L’alma
sua generosa, e il bel costume
Di
prevenir de’ bisognosi il voto.
Alzo le penne all’apollineo nume,
Scuoto
la polve che m’aggrava, e il fango,
E
all’uopo chiedo alla mia mente il lume.
Vorrei salir de’ primi vati al rango;
Ma la
mia musa al basso stile avvezza,
Non
regge al volo, e qual io fui, rimango.
Ogni stile può aver la sua bellezza:
Piace
talun nell’imitare il Berni,
Che,
seguendo il Petrarca, si disprezza.
Ma io ne’ miei componimenti alterni
Or
parlando del volgo, or degli eroi,
Non ho
stil che mi regga e mi governi.
Scrivo comica scena, e sbalzo poi
In
ottave, in canzoni, in madrigali;
Ma
come, santo Dio, ditelo voi.
Tanti vari argomenti ed ineguali
Mi
confondon la mente e l’intelletto,
Ch’uomini
non si danno universali.
Da voi, signor, rimproverarmi aspetto
Che
basse rime alla grand’opra impiego,
Ed io
stesso conosco il mio difetto.
Dispensatemi in grazia, io ve ne
priego,
Altri
scegliete al nobile disegno,
Atto i’
non sono a sì sublime impiego,
Fremo di rabbia, ed ho me stesso a
sdegno,
Strapazzato
veggendo il mio lavoro
In un
mestier di sì scabroso impegno.
Eppure allor ch’io passeggiava il Foro
Colla
vesta talare e il parruccone,
Mi
sembravan le muse il mio ristoro.
Son per natura un pocolin poltrone;
Piacemi
dormir tardi, e mi poneva
La
campana di terza in soggezione.
Gran faccende a Palazzo io non faceva,
Tanti
avvocati mi mettean paura,
Ed il
merito vostro io non aveva.
In voi l’arte si unisce alla natura,
Ed
accorda ciascun che siete al mondo
Nato
per la felice avvocatura:
Cauto in propor, nell’arringar
facondo,
Forte,
facile, chiaro e convincente,
Grave,
occorrendo, e all’occasion giocondo.
Benedica il Signor la vostra mente,
Vi
mantenga la voce alta e sonora:
Ché chi
voce non ha, non può far niente.
Ma se il vostro saper tanto si onora,
Se stil
purgato e bei pensieri avete,
Al
presente desio supplite ancora.
Dell’illustre Venier che in cuor tenete,
Voi
potete cantar le glorie in prosa,
Se nato
al mondo a verseggiar non siete.
L’arte oratoria è arte strepitosa,
Che fa
onore agli eroi dicendo il vero;
Passa
la Poesia per favolosa.
Ecco aperto di laudi il bel sentiero.
Ecco
d’encomi il cavalier più degno;
Panegirico
fate a lui sincero,
Ch’io supplire non posso al
grand’impegno.
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