LA MASCHERATA
Poemetto in occasione delle felicissime Nozze fra Sua
Eccellenza
il Sig. Lodovico Rezzonico e la Mobil Donna Cont.a Faustina
Savorgnan.
Tutte
le cose in sua stagion son belle.
Bello è il goder la primavera, i
fiori;
Bel piacere al seren di chiare stelle
È andar, l’estate, a temperar gli
ardori;
Fra pastori, l’autunno, e pastorelle,
Meschiansi con piacer dame e signori;
Godonsi nelle frigide giornate
Giochi, feste, teatri e mascherate.
Or che
unisce Cupido a illustre sposa
Fortunato, gentil, nobil garzone,
Per sì bell’imeneo vorrei far cosa
Che adattar si potesse alla stagione.
Musa, tu che sai far la spiritosa,
Trova per queste nozze un’invenzione.
Siamo di carnovale; a tuo talento
Studia qualche novel divertimento.
Ma non
vorrei che ti venisse in testa
Di compor Dramma, o immaginar
Commedia:
Lasciami respirar da una tempesta
Che tutto l’anno mi tormenta e
assedia;
E al teatro, lo sai, cura non presta
La nobiltà, che di ascoltar si
attedia,
Quelli sturbando, che stariano
attenti,
Visite, cerimonie, e complimenti.
Fa
questa volta che inventar si provi
Qualche cosa di nuovo il tuo cervello.
Sterile tu non sei di pensier nuovi,
E quel ch’è nuovo, suol passar per
bello.
Dirmi forse vorrai che più non trovi,
Stanca dal faticar, pensier novello?
T’insegno l’arte per uscir d’intrico;
Puoi rinnovar qualche costume antico.
Tempo
già fu, nella mia verde etate,
(Dir mi vergogno il numero degli anni)
Che solevansi usar le mascherate,
Ch’erano all’occhio deliziosi inganni.
Compagnie si vedevano istoriate
Con bizzarre divise e ricchi panni,
E facean, gareggiando in tale impegno,
Il buon gusto spiccare, e il bell’ingegno.
Ora un
nuovo sistema usa il gran mondo.
Comodo e libertà ricercan tutti.
Si è perduto fra noi quel brio
giocondo
Che producea dell’allegrezza i frutti.
E pure, e pur delle ricchezze al fondo
Gli uomini piucché mai sono ridutti:
Che se in pubblico allor faceansi
onore,
Or la spesa in privato è assai
maggiore.
Ora
costa una cena, un desinare,
Quel che costava un carnovale intero.
Par non si possa in compagnia mangiare
Senza il cuoco francese e il vin straniero.
Una conversazion non si può fare
Che non rechi l’invito un gran pensiero.
Tanto la soggezion salita è in
su,
Che la vera allegria non si usa più.
Musa,
la penna non ho presa in mano,
Per criticar degli uomini il costume.
So che fare da me si spera in vano
Quel che non fa della ragione il lume.
Suole dal mondo riputarsi insano
Chi contro l’uso taroccar presume.
Pensi dunque ciascuno a’ casi suoi;
Non istiamo a impazzar, pensiamo a
noi.
E
tornando a ridir quel ch’io dicea,
Sembrami in occasion di nozze tali
La mascherata graziosa idea
Per uscir dalle cose universali.
Al basso ingegno la virtù febea
Vaglia col suo potere a impennar
l’ali;
Onde lo studio e l’invenzion sia grata
A sposo egregio, e alla donzella
ornata.
Dodici
ritroviam d’età conforme
Giovanette vezzose, ed altrettanti
Spiritosi garzoni. In varie forme
Figurate le spoglie e i lor sembianti,
Vadano a due a due stampando l’orme
Per le pubbliche vie, fra suoni e
canti.
E sieno in lor di questi sposi egregi
Simboleggiate le virtudi e i pregi.
Reggasi
innanzi, e al lieto stuol proceda,
Macchinetta gentil di lauri ornata,
In cui la Fama campeggiar si veda
Coll’ali al dorso, e colla tromba
aurata.
Amor da un lato a’ piedi suoi
risieda
Coll’arco vuoto e colla face alzata,
E da un coro di ninfe e di pastori
Questi s’odan cantar carmi sonori.
« Ecco
la Fama, che d’intorno al lido
Le vittorie d’Amor spande verace.
Ecco, Vinegia, il vincitor Cupido,
Che fatto ha il colpo, ed or riposa in
pace.
Amor non è lo seduttore infido,
Non è più Amor l’ingannator mendace.
L’arco mirate disarmato ancora;
Ha fatto un colpo che il suo nome
onora.
Ferito
ha il sen d’amabile donzella:
Ferito ha il cor del cavalier più
degno.
Ecco sposa gentil, vezzosa e bella,
Che di virtute e delle grazie ha il
regno.
Ecco sposo, che agli atti e alla
favella
D’onore ostenta il più verace impegno.
Il saggio Amor le due bell’alme
annoda,
Onde fia che la Patria esulti e goda.
Di Lodovico e di Faustina ai pregi
Formate, o ninfe, e voi, pastori, il
serto;
Noti già son del loro sangue i fregi,
Le ricchezze, gli onor, le glorie, il
merto.
Dell’Adria i geni ai nuovi sposi
egregi
Tesson di laudi nobile concerto.
Ecco la Fama, che il bel nodo addita,
Eccovi Amor, che la gran coppia ha
unita. »
Dietro
la vaga macchinetta industre
Siegua lo stuol per la bell’opra
uscito.
Veggasi in pria la Nobiltate illustre,
E seco il Merto strettamente unito.
A vicenda fra lor ciascun s’industre
Rendere il proprio fregio in due
partito,
Donando al Merto Nobiltà il splendore,
Ed il Merto accrescendo a lei l’onore.
La Ricchezza succeda, e ad essa allato
Siavi il Decoro che le regga il piede.
L’una, il capo di gemme e il petto
ornato,
Mostri di providenza ampia mercede.
L’altro, seguendo il suo costume
usato,
Porga la mano a chi pietà gli chiede;
Ma il braccio annodi alla compagna in
guisa
Che lodata si vegga, e non derisa.
Seguiti
poscia la Bellezza anch’ella
Per man guidata dal pudico Onore.
Ella si adorni per parer più bella,
Ed ostenti nel volto un bel rossore.
L’una tempri d’Amor l’auree quadrella,
L’altro colle sue man difenda il
cuore.
Quella al compagno suo parli
all’orecchia,
E rispondale questi: In me ti
specchia.
Mirinsi
dietro a lor la Gioventute
Ed il Consiglio
passeggiare uniti.
Questi per impedir le sue cadute
Le regga il braccio, e il buon sentier
le additi.
Porgale un quadro, in cui della
Virtute
Tutti i pregi maggior sien coloriti,
E in ogni passo che la giovin tenta,
Faccia che stia nella Virtude intenta.
Bella
mostra dipoi faccia il Sapere,
Dalla Prudenza
accompagnato e scorto.
L’uno ostenti ne’ libri il suo
piacere,
L’altra secondi il nobile diporto.
Ma se più che non lice, ama sapere,
Dicagli la Prudenza: Io nol comporto.
Ed il libro sospetto oltramontano
All’incauto Saper tolga di mano.
Vadano
finalmente uniti e stretti
La Modestia
e il Piacer, coppia felice;
E spiegando il Piacere i suoi diletti,
Non le vieti Modestia il ben che lice.
Ma del vario desio, dei vari affetti
Sia la bella Virtù moderatrice.
Onde la man della Modestia accorta
All’onesto Piacer serva di scorta.
Chiuda
la misteriosa mascherata
Coro d’altri pastori e pastorelle;
E la voce concorde all’aere alzata,
Cantino i giovanetti e le donzelle:
« O voi, che avete per la via mirata
La compagnia delle Virtudi belle,
Quelle Virtù con più verace aspetto
Son di Faustina e Lodovico
in petto. »
Musa,
il tempo sen vola, il bel disegno
Più non si tardi a rendere compito.
Le belle donne non avranno a sdegno
D’intervenire al grazioso invito:
E i giovanotti accetteran l’impegno,
Avendo il merto degli sposi udito.
Farà venir le genti di lontano
Il Rezzonico
nome, e il Savorgnano.
A chi
noti non sono i nomi loro?
L’Italia nostra e la Germania il dica.
Sparge la Fama sua dall’Indo al Moro
De’ Savorgnani
la famiglia antica;
Ed il prisco serbando almo decoro
Nell’Adria augusta, alle bell’opre
amica,
Degli avi illustri ai memorandi pregi
Colle porpore eccelse accresce i
fregi.
De’ Rezzonichi il ceppo ha in più d’un ramo
Nel bel terren di Lombardia fiorito.
Nella patria di Plinio illustri
abbiamo
Memorie antiche del Lor sangue
avito276.
Or le radici dilatar veggiamo
L’arbor felice sull’adriaco lito,
E fra gli eroi del Veneto Senato
Di vermiglio color tinto e
fregiato277.
Roma
non men la bella pianta onora,
E suo sostegno il Vatican l’appella278.
Quella virtù che santamente odora,
Fa la porpora sacra ancor più bella.
La Chiesa, il Mondo e la sua Patria
infiora
L’eccelso ramo che con Dio si abbella.
Padova fortunata, a cui star lice
Sotto l’ombra di lui lieta e felice!
Oh come
il tralcio porporato immita
Il ramuscel ch’ora è del Tebro in
riva279!
E la bella Vicenza oh come addita
Di Lodovico
la virtude attiva280
E la germana di bontà fornita,
Che il sangue illustre Vidimano avviva281!
E le altre due che han preferito il
chiostro,
Onor fanno al bel sesso e al secol
nostro282.
Ma
dove, ah dove mi trasporta il zelo?
Dove mi guida il mio desire ardito?
Tanto poter non mi concede il Cielo
Per far elogi a un merito infinito.
Pone il rispetto alla mia mente il
velo,
E l’ignoranza alle mie labbra il dito.
Canti di lor chi di sapere è adorno;
A regolar la mascherata io torno.
Ragunare
possiam lo stuolo intero
Di Canalregio agli ultimi confini:
Ci daran luogo nel Palagio, io spero,
Nobili e generosi i Bonfadini283.
Poscia in ordin prendendo il bel
sentiero,
Si conduca la turba e si avvicini
Alla
magion signorilmente ornata,
’Ve la sposa sublime al mondo è nata.
Ivi
della Virtù si renda onore
Alla gran donna che nutrilla in
seno284;
Diasi merito e lode al genitore,
Di gloria vera e di splendor ripieno:
Ch’ambi formar della donzella il
cuore,
E la mente felice, e il volto ameno.
Diasi lode condegna ai zii sovrani,
E ai generosi nobili germani.
Colà
supplito all’umile rispetto,
Prendiam la via che a rinvenir conduce
Della famiglia Vidimana il tetto,
Ove gloria ed onor risiede e luce.
E di Quintilia
al venerando aspetto,
In cui vera bontà dal cuor traluce,
Poiché la cura del corredo ha presa,
Canti ciascun la ben condotta impresa.
Nel
palagio alla fin vasto e pomposo,
Che un albergo real pareggia e immita
’Ve il magnanimo cuor d’illustre sposo
Ad eterno piacer la sposa invita,
Entri la turba e il popol curioso,
Dove il buon gusto maraviglie addita,
Le stanze ammiri e i nobili apparati
E da scelti pennelli i cieli ornati.
Soddisfatto
il piacer fra tai splendori,
Passi a cantar nella gran sala il
coro.
La madre illustre e il genitor si
onori,
Esempi veri di virtù e decoro.
Del figlio loro ai fortunati amori
Della pace s’implori il bel tesoro.
Ricchezza e nobiltà diletta e piace;
Ma condisce ogni ben del cuor la pace.
Vada
poscia lo stuol lieto e ridente
Nella gran Piazza a terminar la festa,
E del veneto suol la folta gente
Corra giuliva a vagheggiarlo, e
presta.
E dal canto, e dal suon, che
dolcemente
L’allegrezza comun nel popol desta,
Sian resi al fine i spettator contenti
Da tai sonori musicali accenti:
« Adria
felice, rasserena il ciglio;
Ecco il bel nodo che ha formato Amore.
Verrà, verrà, da sì bel nodo il
figlio,
Che alla tua reggia accrescerà
l’onore.
Se prese Amor dalla Virtù il
consiglio,
Sperar non si potea gloria minore.
Odi la Fama, che d’Amore il grido
Sparge con dolce suon di lido in
lido.»
All’occidente
declinando il sole,
Sen vada altrove a gareggiar l’ingegno.
Fra liete danze ed agili carole
Segua lo stuol dell’allegrezza il
segno.
Musa, col ballo, terminar si suole
Nel carnevale il più giulivo impegno.
E il pensier nostro, che tai sposi
onora,
Qui può finir la mascherata ancora.
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