PER LE NOZZE DEL NOBIL UOMO S. MARIN CAVALLI
CON LA NOBIL DONNA MARIA DOLFIN
Capitolo al signor conte Orazio Arrighi Landini.
Ah Landini,
Landini, questa fiata
Ti sei
scordato il tuo parlar sincero,
E me
l’hai (come dicesi) accoccata.
Celebre a me? Se nell’aonio impero
Celebre
mi hanno reso i miei difetti,
La mia
celebrità non vale un zero;
E ch’io mi gonfi se in tal modo
aspetti,
E ti
renda in mercé de’ carmi un staio,
Invan
colle moine mi confetti.
Dimmi (se il Ciel ti guardi dal
rovaio),
Dimmi
amico soltanto, e ti assicura
Che de
tuo’ amici non sarò il sezzaio;
E qual ebb’io di compiacerti cura
Per lo
passato, l’avrò in avvenire,
Perché
t’amo e t’apprezzo a dismisura.
Vuoi tu ch’io canti? Viemmelo tu a
dire;
Basta
così; non mi lodar per questo,
Ché il
troppo affetto ti può far mentire.
E sai che il labbro de’ loquaci è
presto
A dir
che duo poeti in fra di loro
Grattansi
a tergo (per parlar modesto).
E a noi, che siamo dello stesso coro
Della
Roveredana eletta schiera,
Non
sien fatte le fiche da costoro.
Gente che il dritto esaminar non chera:
Gente
sol nata per recar
disagio:
«Gente
cui si fa notte innanzi sera».
Or ben, Landini, formerò il presagio
D’esti
due sposi alla battaglia accinti,
Ma vuò
scegliere i carmi a mio bell’agio
Con vivaci color vogl’io dipinti
Render
gli strali dell’arcier Cupido,
Com’ ei
ridendo il tristarel gli ha spinti.
Tu sollevasti di tua Musa il grido
Oltre
al confin
dell’amoroso
agone,
’Ve
seguirti dappresso io non mi fido.
Facil sembra lo sciolto a più persone
Che non
san quanto la felice rima
Giovi a
formar l’armonico sermone.
Chi salir tenta all’Apollinea cima
Senza
la dolce consonanza, e grata,
Dee ben
coi versi adoperar la lima.
E il sa la Musa mia stanca e sudata
Pei
pochi carmi che al roman Pastore
Per
estremo disio cantò inspirata.
Ma dovendo cantar del dio d’amore
Colla
rima gentil che alterna il suono,
Fo men
fatica, e mi farò più onore.
Eccomi, dunque, all’argomento io sono.
Tu
fingesti le nozze una battaglia;
D’amorosa
tenzone anch’io ragiono.
Veggio i campioni, cui nel merto
uguaglia
Il
nobil sangue, e la vezzosa immago,
Né può
dirsi che all’un l’altro prevaglia.
Sposo gentil, che del trionfo è vago,
Schiera
d’intorno le virtuti ancelle,
Né di
bloccar la sua diletta è pago.
Stringe l’assedio, e della rocca
imbelle
Tenta i
muri assalir, ma lo respigne
Il
doppio dardo delle luci belle.
Di nuovo amor, non di furor si tigne
Il
saggio, il prode assalitor vezzoso,
E
l’util froda adoperar si accigne.
Mostrasi stanco del pugnar rischioso,
Ritira
l’armi, e starsene in aguato
Ne’
scaltri suoi trinceramenti ascoso.
E il cuor di lei, che l’inimico irato
Parea
temesse, or che
avvilito il crede,
Vien
coi vezzi a sfidarlo in campo armato.
Ei tragge allor da’ suoi ripari il
piede,
Offre
la pugna
alla guerriera
amante;
Si
misurano i colpi, e ancor non cede.
Vibra un tenero sguardo al bel
sembiante,
Arriva
il colpo dalle luci al petto,
La
bella donna mirasi tremante.
Sente la piaga dell’interno affetto,
Si dà
per vinta, e al vincitor cedendo,
Nelle
perdite sue trova il diletto.
Poscia il bel volto di rossor coprendo,
Dice:
Signor, che a trionfar se’ accinto,
Il mio
destin dalle tue leggi attendo.
Ah no, risponde dalla gioia spinto,
Alzati,
o bella; il faretrato Amore
Fra noi
confonde il vincitor col vinto.
Tu sei ferita, ed io piagato ho il
cuore,
Tu il
laccio incontri, io la catena ho al piede;
Pace,
pace fra noi, non più rigore.
Questo sol prezzo la vittoria chiede.
Amami
com’io t’amo, e fa ch’io speri
Dell’amor
nostro il fortunato erede.
E i genitor, che giustamente alteri
Van di
quel sangue ch’è trafuso in noi,
Abbian
nipoti imitator sinceri.
Mira la serie degli antichi eroi;
Ché i
tuoi Delfini e i miei Cavalli han pieno
Di
gloria il mondo coi sudori suoi.
L’Adria aspetta mirar dal tuo bel seno
Sortir
i figli e i cittadini egregi,
Degli
avi nostri candidi non meno.
E del tuo bel rinnovellando i pregi
Nelle
vaghe donzelle, il patrio lito
Far per
tuo vanto invidiar dai regi.
Deh, sposa mia, deh non chiamarmi
ardito,
Se a
nuova pugna
il tuo bel cor
disfido,
Che nel
cimento a trionfar t’invito.
No, non temer del vincitor
Cupido,
Ché
resister non
seppe al dolce strale
Dell’acceso
fanciul
la dea di Gnido.
E se virtù nel tuo bel sen prevale,
Cedi al
destin, che la tua destra allaccia
Col
dolcissimo nodo maritale.
Non risponde Maria, modesta in faccia;
Egli il
silenzio in
suo favor comprende,
Avanza
il passo; e la consorte abbraccia.
Basta, Landin, chi ha buon orecchio, intende.
Ecco il
presagio mio lieto e giocondo:
Da
cotal pugna
le vittorie
attende
Adria felice, e ne festeggia il mondo.
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