IN OCCASIONE CHE VESTE L’ABITO MONACALE NEL
MONISTERO DI S. ROCCO
E S.a MARGHERITA L’ILLUSTRISS. SIGNORA ORSOLA CABRINI
Prendendo il nome di Maria Regina sotto l’educazione
dell’Illustriss. Signora D.a M.a Eleonora Ghetti.
CAPITOLO
Mai più, mai più, quel marinar dicea,
Sepolto
in mar fra i cavallon frementi:
’Ve la
morte d’intorno a sé vedea.
Mai più, se trammi il Ciel da tai
spaventi,
Se
salvo i’ torno a passeggiar sul lito,
Mai più
m’espongo a contrastar coi venti.
Ma vivo e sano da quell’onde uscito,
Torna
la nave a caricar di nuovo,
E ai
perigli del mar ritorna ardito.
Qualora anch’io nell’ocean mi trovo
Poetico
crudel, pien di tempeste,
Mai
più, mai più, di replicar mi provo;
E i duri scogli, e le burrasche
infeste,
Che più
dell’altre da temer mi diero,
Di
nozze fur l’occasion moleste,
E quelle del beato monistero,
Dove
par non si chiuda una donzella
Senza
che i vati le aprano il sentiero.
E questa, per dir vero, è una
procella,
Idest
una tempesta
quotidiana,
Che
m’inquieta, mi stucca, e mi arrovella.
Ché per quanto far può la mente umana,
Poco
più, poco men, lo stesso suono
S’ode
dalla medesima campana;
E quando immerso in questo mare io
sono,
Giuramenti
e proteste al Ciel divoto
Mando
per ottener salvezza in dono.
Ma uscito appena dal periglio a nuoto,
Tal
comando m’arriva, e tal mi sprona,
Che fa
ch’io rompa
il giuramento e
il voto.
Donna, che fra le donne ampia corona
Merta
per le virtù che nutre in seno,
Il cui
nome nel chiostro alto risuona,
Maria
Eleonora nel divin terreno
Giglio
puro, odoroso, in cui ragione
Agl’interni
nemici impose il freno,
Del mio poter, del mio voler dispone,
E a
dispetto del mio proponimento,
Discior
le vele e navigar m’impone.
Ecco ch’io torno nel fatal cimento;
Deggio
cantar, per obbedire al cenno,
Sul
monacal difficile argomento.
Ma questa fiata i versi miei non denno
Scarso
temer di nuove laudi il campo,
Ché
virtù abbonda dove abbonda il senno.
Orsola,
che di grazia al chiaro lampo
Segue
la via che la maestra addita,
Sa dai perigli
ritrovar lo scampo,
E tal l’esempio d’Eleonora immita,
Che
ponendola d’essa al paragone,
Par la
stessa Virtute in due partita.
Due son le vie che nel terrestre agone
Guidan
l’anime forti alla vittoria:
Indole
buona, e buona educazione.
Questa vergin, per cui si canta il Gloria,
L’uno e
l’altro vantaggio ottenne in sorte,
Onde al
mondo eternar la sua memoria.
Non produce i conigli il leon forte,
Né le
colombe le aquile rapaci,
Né il
candido armellin le volpi accorte.
Non suol natura con color mendaci
Pinger
dei figli se medesma in cuore,
Che son
del padre immagini veraci.
Saggio, adorno, prudente genitore,
Commendabil
Giovanni, il sangue e il fregio
In essa
infuse, e la virtù, e il valore.
E de’ Cabrini
al rinomato egregio
Bergamasco
lignaggio illustre, antico,
Con tal
figlia sublime aggiunse un pregio.
Il giusto Ciel, delle bell’opre amico,
Premiar
intende il genitor pietoso,
Della
figlia esaltando il cuor pudico.
Figlia, che posponendo al suo riposo
Gli agi
paterni e le speranze umane,
Offre
il candido giglio al sacro sposo,
E ricche vesti tramutando in lane,
E le
feste e i teatri in chiostro e in tempio,
Mostra
il disprezzo delle pompe insane:
Vergine, delle donne illustre esempio,
Che
senza colpa a penitenza aspira,
Per
evitar dei peccator lo scempio.
Ah, pur troppo di Dio destata è l’ira
Dalle
perfide genti, e in aria pende
Fulmine
che d’intorno all’uom s’aggira.
Colà de’ bronzi il fiero tuon
s’intende,
Quinci
dell’aria i turbini segreti,
E
quindi l’acque minacciose orrende.
E in gozzoviglie, e in passatempi
lieti,
Vive il
mortal del suo periglio accanto,
Non
temendo di Dio gli alti decreti.
Pecca il mondo e tripudia, ed ella
intanto
Offre a
Gesù per comun bene i voti,
Seguendo
lei che di educarla ha il vanto;
E le belle virtudi e le alte doti
Nella
sua candidata accresce in guisa,
Che
alla terra i suoi pregi, e al Ciel son noti.
Or la sacra vestendo alma divisa
Delle
figliuole d’Agostin preclare,
Mirasi
presso al divin trono assisa.
E nuova sì nell’almo chiostro appare,
Che
cambiando per fino il primier nome,
Ogni
affetto terren da lei dispare.
Maria
Regina, o come bella, o come
Grande
agli occhi di Dio te render puote
Il
sagrifizio delle nere chiome!
Cantino pur le vergini divote
Inni
festosi al Redentor
del mondo,
Che col
suo dardo il puro sen percuote.
Ahi, qual scende dal Ciel raggio
fecondo
Fra le
mura del tempio! Al folgor santo,
No,
resister non posso; io mi nascondo
E cedo a voi, vergini sacre, il canto.
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