LA VISITA DELLE SETTE CHIESE
AL Signor Marco Milesi
Marco,
la gloria mia non sta nei carmi,
Ma nel buon cor, di cui mi pregio e
vanto.
A una vergine pia fra i sacri marmi
Di me che giova, e di cent’altri il
canto?
Voglio, se piace a Dio, santificarmi,
Come far si dovria di tanto in tanto,
E per la suora vostra a Dio Signore
Alzar la mente, ed offerire il core.
Il
passo a cui la verginella è accinta,
È un passo forte, e si può dar talora
Che quel desio che una donzella ha
spinta,
Siasi col tempo infievolito ancora.
E se il punto d’onor l’avesse avvinta,
Cosa saria dell’infelice allora?
Pace e quiete sperar potrebbe in vano;
Che Dio ne guardi ogni fedel
cristiano.
So che
ingiusto per essa è un tal sospetto;
E col mio forse l’altrui cor misuro.
So che l’amor di Dio le accese petto,
So che in tenera età senno ha maturo.
So che di tre sorelle al sacro tetto
L’esempio e le virtù scorta a lei furo.
So che un anno col mondo ha
conversato;
So che l’ha conosciuto, e l’ha
sprezzato.
Dunque
di che temer? L’amo, e l’amore
Dubbioso, incerto, del suo ben mi
rende;
L’amo però con innocente amore,
Quai pel caro germano il sen
m’accende.
Amo la sua virtude, amo il bel core,
Con amor che da pochi oggi s’intende,
Con quell’amor, il di cui santo zelo
Ama l’onesto, e si fa scala al Cielo.
Un
momento decide, e in quel momento
Vi è bisogno d’aiuto e di conforto.
Ora ci incalza, or ci respinge il
vento,
Quai navi in mar che van cercando il
porto.
Al Signore per essa io mi presento,
E i caldi voti e le preghiere io
porto;
Io sono in Roma, e divozion mi accese
Di visitar per lei le Sette Chiese.
Fin
negli antichi secoli rimoti,
Peregrinando si adorava il Nume,
E ai nostri dì dei peregrin divoti
Chiesa Santa seconda il pio costume.
Chi scioglier brama in Palestina i
voti,
Chi scorto è altrove della Fede al
lume:
Da per tutto alle grazie il calle è
aperto,
E il disagio e lo stento accresce il
merto.
Quindi
a color che al bel desio non hanno
Agio conforme, offre il roman Pastore
Comodo viaggio, e ad appagar sen vanno
In Sette Chiese il concepito ardore.
E in Roma santa, dove aperti stanno
I tesori di Grazia al peccatore,
Dee far colui che al santo giro è
intento,
Quindici miglia, e passi cinquecento.
In due
giorni gli ho scorsi. Il dì primiero,
Siccome l’uso dei divoti insegna,
L’eccelso tempio visitai di Piero
Al Vatican, dove Clemente or regna:
Tempio di cui maggior nel mondo intero
Non spiegò mai del Redentor l’insegna,
E arguire si può da un tale esempio
Qual fosse già di Salomone il tempio.
Movendo
il piè colla
corona in mano
Per il lungo, fangoso, arduo cammino,
Meditando i mister da da buon
cristiano,
I miei peccati confessar destino.
Per non distrarmi in qualche oggetto
umano,
Vo cogli occhi socchiusi, e a capo
chino,
Ma passando il sentier di
Torninona288,
Ahi, mi cadde di man la mia corona.
L’avvilimento
nel mio cuor rinnova
A quella vista il Seduttor ardito,
Indi me stesso insuperbir si prova
Cogli applausi di Roma in altro
sito289.
Debole in questo il tentator mi trova,
pera che resti il buon desio
schernito;
Ma raccolto il rosario, andando
innanti,
Dissi
un’Avemaria pei commedianti.
Scorso del Tebro l’ammirabil
ponte290,
Giunsi all’ampia, superba, unica
piazza,
’Ve si ammiran balzar da doppia fonte
Fiumi d’acqua perenne in doppia tazza.
In archi, in statue, e nel grand’atrio
a fronte
L’occhio sì perde, ed il pensier
sollazza.
Bel teatro che s’offre agli occhi miei
Di colonne dugento e ottantasei!
Ma non
era in quel dì condotto e spinto
Il desir mio da maraviglie tante;
Era soltanto a venerare accinto
Di Pietro e Paolo le reliquie sante.
Giaccion l’ossa beate entro un recinto
Sotterraneo del tempio, all’ara
innante,
Dove all’uomo talvolta è andar
concesso,
Ma vietato è l’entrarvi al debil
sesso.
Dissi
allora fra me: Se di Teresa
Quivi giungesse il venerando aspetto,
Degna saria la sotterranea chiesa
Mirar anch’essa, e ne averia diletto.
Vergine pia, di santo amore accesa,
Merta sopra dell’altre ogni rispetto,
Ma se altrove la ferma il santo zelo,
Vedrà i due Santi gloriosi in Cielo.
Indi
pian piano un confessor cercando,
Lo ritrovo, mi accosto, e mi confesso.
Mi corregge, mi assolve, ed esortando:
Vatti, mi disse, a confessar più
spesso.
Dico la penitenza, e allora quando
Parmi raccolto di essere in me stesso,
Mi avvicino all’altar; con divozione
Faccio la sacrosanta Comunione.
Adorato
umilmente il gran Mistero,
E contrito e pentito a sufficenza,
Giusta il poter del successor di Piero
Presi la santa angelica indulgenza.
Pregai Gesù per il cristian impero.
Indi volli adempir la mia incombenza
Per Teresa pregando, acciò il
Signore
Le dia coraggio e le conforti ii
cuore.
Nella
chiesa primiera ecco adempito
Dell’intrapresa divozione il voto:
Ma pria ch’io fossi dalla chiesa
uscito,
Si distrasse alcun poco il cor divoto.
Giro l’occhio d’intorno, e in ogni
sito
Maraviglia trattiene il ciglio immoto.
Diviso il tempio in varie parti io
miro,
Ed in ogni sua parte un tempio ammiro.
Alzo le
luci a vagheggiare il tetto,
E la vista si perde, e in grembo al
sole
Veggio dall’immortal saggio architetto
Del Panteon sacro rinnovar la mole.
Ma di tal vastità l’ordin perfetto
Mal spiegare potrian le mie parole,
E se tutto vo’ dir quel che ammirai,
Le sette Chiese non finiran mai.
Esco
dunque dal tempio, e nella piazza
Prendo la via di ripassar il ponte.
Veggio fra le colonne una ragazza
Sola con un che ha il titolo di conte,
E la madre di lei, ch’è vecchia e
pazza,
Stavasi intanto a vagheggiare il
fonte;
In altro tempo l’avrei posta in scena,
Or, per grazia di Dio, ne provai pena.
Accostandomi
a lei, le dissi: Oh grima,
Abbandoni così la propria figlia?
Così l’amor, così l’onor si stima
Del tuo sangue, di te, di tua
famiglia?
Lo so, lo so, che tu non sei la prima
A cui vile interesse il cor consiglia;
Oh madri, oh madri! oh benedetta sia
Di Teresa la madre, e saggia e pia!
Chi
vide mai più cauta genitrice
Di te, donna gentil? La tua virtute
Rendere al mondo ti poteo felice,
Ed eterna godrai pace e salute.
Figlie più saggie desiar non lice
Di quelle al mondo dal tuo sen venute.
E il figlio tuo?... Marco, vorrei
lodarti,
Ma se tu non lo vuoi, vo’ soddisfarti.
Medito
fra me stesso, e vo pian piano
Il sacro tempio a visitar secondo,
Benché sia San Giovanni Laterano
La prima chiesa fabbricata al mondo
Allor che Costantin, fatto cristiano,
Fu dall’idolatria purgato e mondo;
E apparve, il giorno in cui fu
consagrata,
Del Salvator l’immagine beata.
Qui pur
potria la maraviglia umana
Nel moderno fermarsi, e nell’antico;
Mirar la nuova architettura e strana,
Sul cui disegno il mio pensier non
dico:
Ma Venezia non è così lontana,
E voi di moglie non avete intrico;
Marco, venite, se saper vi preme,
E rifarem le Sette Chiese insieme.
Di san
Paolo e san Pietro i teschi santi
Colà mi accinsi a venerar divoto;
E sciogliendo dal cor gl’interni
pianti,
Rinnovellai di non peccare il voto.
Deh, mio Signor, fra tanti scogli e
tanti
Fa ch’io non pera, o che mi salvi a
nuoto;
Fa che l’opere mie, di zel ripiene,
Scuola dell’onestà rendan le Scene.
Detta
qualche orazione, e di Teresa
Raccomandato l’interesse a Dio,
Con vera fede l’indulgenza ho presa,
Con quell’amor che concepir poss’io.
Uscito fuor della descritta chiesa,
S’offre la Scala Santa al guardo mio.
Visitiamla, diss’io, che non
sconviene,
Se si cresce nel mal, crescer nel
bene.
Entro
le sacre porte inoltro il piede,
Veggo le cinque scale, e in mezzo ad
esse
Quella che di Pilato all’empia sede
Calcò Gesù colle sue piante istesse.
Vuole il rispetto della Santa Fede
Che vi salgan le genti genuflesse,
E i vent’otto gradini in ginocchioni
Feci, dicendo tacite orazioni.
Ma
sturbato però dalle donnette,
Che si andavano urtando e respingendo,
Mormorando superbe e stizzosette
Nel santissimo loco reverendo:
Statevi zitte, siate benedette,
Andava lor con umiltà dicendo;
Sentii che una di lor rispose piano:
Che cosa c’entra questo Veneziano?
Mi
veniva in pensier, Dio mel perdoni,
Dirle una qualche brutta parolaccia;
Mi forzai superar le tentazioni;
Meglio sarà, dissi fra me, ch’io
taccia.
In ogni parte, in tutte le nazioni,
La tempesta s’incontra e la bonaccia;
Donne buone e cattive, io dire
intendo:
Ma quai sono le più? Non me ne
intendo.
So ben,
che se imitar sapesser tutte
La lodevol Teresa, in questo mondo
Le opere buone non sarian distrutte,
Ed il viver per noi saria giocondo.
Non importa che siano o belle o
brutte,
Basta siano modeste e di buon fondo.
Solo a Teresa è il doppio onor
concesso
D’esser bella e prudente a un tempo
istesso.
La
Santissima Scala ho terminato,
La molestia soffrendo e l’impazienza;
Ed il Sancta Sanctorum venerato,
Chiesi il dono al Signor di penitenza.
Là per ogni gradin che si è calcato,
Si acquistan tremill’anni
d’indulgenza,
Ed altrettante quarantene. Iddio
Me li faccia valer nel morir mio.
Sceso
di poi pel lateral cammino,
Ratto n’andai fuori di porta Ostiense,
Visitando San Paolo a capo chino,
Dove pure vi son ricchezze immense;
Il di cui fondator fu Costantino,
Dacché l’error nelle sant’acque
spense;
E di marmo oriental, ch’io ben
conosco,
Adorna il tempio di colonne un bosco.
Quivi
sen sta la crocifissa immago
Che alla pia favellò Brigida eletta.
Ah sì, Teresa, mi fa Dio presago
Di quel piacer che al tuo bel cor si
aspetta.
S’è il tuo casto desio contento e pago
Della santa, innocente, umil celletta,
Chi sa che Dio, ch’è nel tuo core
impresso,
Non parli a te con quel prodigio
istesso?
Io non
mancai, seguendo il pio disegno,
Di pregar per i vivi, e per i morti,
E per Te col più forte e caldo
impegno,
Perché Dio ti consoli e ti conforti.
Lo so ch’io sono un peccatore indegno,
So che ho fatto alla grazia insulti e
torti,
Ma Dio perdona, e il suo soccorso
aiuta,
E principia la barba esser canuta.
Soleva
dir Filippo Neri, il santo,
Ch’era pieno di grazia e di umiltà:
Altrove la carrozza è un fasto, è un
vanto,
Ma in Roma la carrozza è carità.
Così dico ancor io: camminai tanto
In tre lati finor della città;
E le chiese fra lor son sì lontane,
Che serbai le altre quattro
all’indomane.
Cosa
doveva far tutta la sera,
Per star raccolto in santità perfetta?
Solo mi ritirai con mia mogliera,
Ch’è, per dir vero, un’ottima
donnetta;
E se fossero tutte di tal schiera,
Forse non vi saria tanta disdetta:
Dunque mi ritirai seco in un canto,
Di Teresa narrando il pregio e il
vanto.
Dissi:
L’amor di Dio, che in lei prevale,
Rende le voglie sue sublimi e sante;
Ella non fece già come la tale,
Come quella e quell’altra e come tante.
Ma la mia Donna, che non sa dir male,
Dice: Marito, non andate innante,
Che mentre questa vergine lodate,
Senz’accorgervi un pel, voi mormorate.
Che tu
sia benedetta; in verità,
Tu facesti assai bene ad avvisarmi.
Se favellai contro la carità,
Tornerò domattina a confessarmi.
Brutto Demonio, vattene di qua,
Non venir, disgraziato, a ritentarmi.
Spiaceti di vedermi a cangiar vita?
Certo la cangerò; per te è finita.
La
mattina per tempo, oltre il costume,
Franco mi sveglio ed abbandono il
letto,
Ch’io non soglio giammai levar col
lume,
Ma quando il sole ha riscaldato il
tetto.
Implorato di cuore il Santo Nume,
Divotamente a rintracciar mi metto
Delle Chiese il sentier, di mano in
mano,
Visitando primier San Sebastiano.
E a
ritrovarlo ho faticato assai,
Ché di
Porta Capena è fuori un miglio.
Pria
d’entrar nella chiesa io mi fermai
Sedendo, e intorno dilettando il
ciglio.
La magnifica strada ivi ammirai,
D’Appio Claudio romano opra e
consiglio,
Per cui passò, d’eterni lauri cinto,
Un Orazio, un Scipione, un Carlo
Quinto.
Dopo
d’avermi riposato un poco,
Principiai nella chiesa ad
innoltrarmi.
Fatta la riverenza al santo loco,
Corsi immediatamente a confessarmi.
Mi pareva d’aver d’intorno il foco,
Se la coscienza non giungea a
sgravarmi.
Che differenza! or mi spaventa un
fallo,
E in me fatto le colpe aveano il
callo.
Riconciliato
in grazia del Signore,
Quella pietra adorai su cui restaro
L’orme impresse del nostro Redentore,
Quando apparve a san Pietro, a Lui sì
caro.
Le solite orazion dette di cuore,
A riprender la strada io mi preparo.
E dieci volte, pria di uscir di
chiesa,
Raccomando al Signor la mia Teresa.
Ver
Santa Croce di Gerusalemme
Vado per rintracciar la quinta chiesa,
E a San Giovanni ritornar conviemme,
Perché guida al cammino io non ho presa.
La fatica maggior fors’anche diemme
Merto maggior nella divota impresa.
So ben che di sudor bagnava i panni,
E son carco di ciccia, e carco d’anni.
La
divota cappella ivi si adora,
Dove l’imperatrice Elena santa
Portò la Croce, e colà pur si onora
Una ricca porzione di Terra Santa.
L’antica chiesa rinnovata or ora,
Sull’atrio Sessoriano ha la sua
pianta,
E reso più moderno atrio perfetto
Fu dal decimoquarto Benedetto.
Là pur
supplio al mio divoto impegno,
Iddio pregando per la vergin pura,
Che per la strada dell’eterno regno
Le sia scorta virtù salda e sicura,
Vado, per continuar nel mio disegno,
A San Lorenzo fuori delle Mura,
Dov’è la pietra in cui Lorenzo esangue
Lasciò impresso morendo il grasso e il
sangue.
Su quella
pietra meditando un poco,
Dissi fra me medesmo intimorito:
San Lorenzo soffrì morir nel foco,
Ed io m’arrabbio se mi scotto un dito?
Qui si passa la vita in festa, in
gioco,
Si procura saziare ogni appetito:
Ed al mondo di là che sarà mai?
Ah finora, meschin, non ci pensai!
Ora ci
penso, e il salutar consiglio
Di Teresa l’esempio in me diffuse.
Ella che al mondo non rivolse il
ciglio,
Che dal suo cor le triste voglie
escluse,
Per fuggir delle trame il rio periglio
In sacra cella il suo pensier rinchiuse;
E mi sento ridir dal labbro pio:
Fuggi tu pure, e ti ricovra in Dio.
Ma come
in questo stato e in questa etate
Adempire poss’io le sante voglie?
Anderei volentieri a farmi frate,
Ma, per grazia di Dio, viva ho la
moglie.
Eh, si può viver bene e in santitate,
Quando si voglia, nelle patrie soglie;
Non ho più nel cuor mio pensieri
impuri:
Ma tutto sta, sorella mia, che duri.
Per
me, per voi, con tal pensiero in mente,
Dissi tante orazioni e in tal maniera
Mi riscaldai, che domandò la gente:
Cos’ha quel galantuom, che si dispera?
E un certo giovinastro impertinente,
Che avea proprio la faccia da galera,
Disse: Mira il poeta in ginocchione,
Che una scena vuoi far da bacchettone.
Fece il
Demonio quanto far potea
Ch’io prendessi colui per mio nemico;
Ma il povero Satan non lo sapea,
Ch’io questa gente non la stimo un
fico.
Criticatemi pur, fra me dicea,
Che con teste balzane io non
m’intrico.
Di me, dell’opre mie fate strapazzo,
Vederemo di noi chi sarà il pazzo.
Già
avea supplito alle preghiere usate
E la santa indulgenza avea già presa,
Onde tosto addrizzai le mie pedate
Alla sacra, prescelta, ultima chiesa.
E per le strade che mi fur segnate,
Toccai la meta della via scoscesa
Ove Santa Maria Maggior nomata
Splendentissimamente è collocata.
Marco,
quand’io credeva aver finito,
Mi vien voglia di dir più che non
dissi.
Questo tempio è sì vago e sì
arricchito
Che poco è quel che fino ad ora io
scrissi.
Ma sarei troppo seccatore ardito,
Se a descriverlo tutto ora venissi.
Lascierò le ricchezze al secol note,
Dirò sol le più sante e più divote.
Quivi
la culla di Gesù bambino
Dal popol folto venerar si vede.
Io cogli altri la fronte umile inchino
E bacio il lembo della Santa Fede.
So che non sbaglio, e so che
l’indovino
A creder quel che Santa Chiesa crede,
E chi vuol col cervello andare in su,
La caduta farà di Belzebù.
Dunque
dinnanzi al sacrosanto altare
Le già dette orazioni epilogando,
Proponendo di cor non più peccare,
L’indulgenza plenaria a Dio domando;
Non per me, che non so di meritare
Un favore sì grande e memorando;
Ma per Teresa il zelo mio s’accese,
Per cui fatte ho di già le Sette
Chiese.
Dio
esaudisca i miei voti, e alla donzella
Nel momento fatal grazia conceda,
Che col cuore non men che la favella
Giurar la fede al Redentor si veda.
E poi che fatta del Signore ancella,
Tutta sarà del santo Amore in preda,
Si ricordi di me, perché ho paura
Che mi torni a tradir vizio e natura.
Marchetto
mio, mi raccomando a voi:
Voi sapete pur troppo il mio bisogno;
Siamo amici di core, e in fra di noi
Confessare il mio frai non mi
vergogno.
Ma parliam chiaro; non vorrei che poi
Questi miei versi li credeste un
sogno;
E che come suol farsi all’occasione,
Fosser le sette Chiese un’invenzione.
Vi
citerò, se a me non lo credete,
Testimoni di vista e buoni e belli.
Se un degno e un saggio testimon
volete,
Domandatelo al padre Panicelli.
Questo bravo orator lo conoscete:
Ei non predica in Roma agli sgabelli,
Ma di gente la chiesa ha ognor sì
piena,
Ch’entrar si può forzatamente appena.
E
l’ascoltan prelati e Cardinali,
E degli abati il numeroso coro;
E concorrer vi vedo i principali
Di Galeno seguaci, e quei del Foro;
E la festa, non men che i dì feriali,
Vanno le donne colle figlie loro:
E se tutti dan fede ai detti suoi,
Via, credetegli dunque ancora voi.
Ma
bisogno non v’è d’altri attestati;
So che voi mi credete, e mi lusingo
Che forse i versi miei vi saran grati,
Perché il vero vi alletta, ed io non
fingo.
Spiacemi dello stil che gli ha
imbrattati,
Ma più in là lo mio stile in vano io
spingo:
Correggeteli voi, se lo volete,
Che di lor, che di me, padron voi
siete.
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