CAPITOLO
Scritto da Bologna a Sua Eccellenza il signor Paolo
Baglioni,
in occasione delle sue nozze can Sua Eccellenza la sig.
Elena Diodo.
Signor,
io so che l’Eccellenza Vostra
Ricolmo
ha il cor di cortesia per tutti,
E il
lieto viso del bel cor fa mostra;
E quei
lo san che n’han ricolti i frutti,
Ed il
sezzaio non son io fra tanti,
Che han
vosco i giorni in allegria condutti.
Ancor
sovviemmi di que’ dolci canti
A desco
molle, e al margine del lago,
E dei
piaceri non goduti innanti.
E tanto
in mente il vostro Massanzago291
Emmi
restato, che a stagion novella,
S’ i’
nol riveggio, non sarò mai pago.
Ma non
sol questo a inviar m’appella
A voi,
signor, questo mio scritto; io sono
A farlo
mosso da cagion più bella.
Parvemi
udir d’allegre voci il suono
Dir: Paolo è punto dal fanciul Cupido,
E il
giovin saggio alla catena è prono.
È ver
che lungi dall’adriaco lido
Menai
la vita dieci lune in giro,
E tardo
giunse a penetrarmi il grido;
E meco
stesso del destin m’adiro,
Che
d’altra parte giungami l’avviso,
E non
da voi, cui di servir desiro.
Ma il
duol per poco scolorimmi in viso.
Tutt’altro
cesse al subito pensiere:
In
gioia stassi il mio signore, e in riso.
E se il
tempo e le forze al buon volere
Rispondesser
del pari, farei seco,
Bene o
mal fosse fatto, il mio dovere.
Volano
i giorni, e da per tutto ho meco
Cure
moleste, e col mio canto appena
Sul Ren
poss’io ai Vinizian far eco.
Incontro
vassi a riaprir la Scena,
E in
certo ginepraio entrai quest’anno,
Che ho,
per uscirne, a faticar di schiena.
Vonno i
maestri di color che sanno,
Che più
bell’estro a poetar ci spinga,
Se
l’alma è scevra da molesto affanno.
Né
pensate, signor, ch’io sogni o finga,
Se
quella gioia, che v’innonda il petto,
Mi
ravviva, mi desta, e mi lusinga.
Poiché
s’è ver, com’è vero in effetto,
Che
amistà diasi fra i distanti gradi,
E fra
il servo e il padron verace affetto,
E per
lo spazio d’ottocento stadi,
Onde
Bologna da Vinegia è lungi,
Amor il
lago dell’oblìo non guadi,
Ma
cresca, come da vicin, da lungi
Sul
mobil dorso dell’alato veglio
Amor,
non nato, come nasce i fungi,
Vero
sarà, che con più forza e meglio
M’allacci
il nodo che sol morte spezza,
A voi
che siete di bontà lo speglio;
E
l’odierna genial dolcezza,
Di cui
v’ha colmo il fanciullin Cupido,
In me
svelga ogni seme d’amarezza.
Elena saggia, che alla dea di Gnido
Può
contrastar nella tenzone il pomo,
Venere
bella dell’adriaco lido,
Quella
che vostra vincitrice io nomo,
Poiché
col dolce raggirar dei lumi
Punsevi
il core, dall’amor non domo:
Quella
che per beltà, vezzo e costumi
Fa
lieve il nodo che a tant’altri è duro,
Quando
amor mesce fra le rose i dumi,
Elena, nata di quel sangue puro
Che diè
al Senato, ai secoli vetusti,
Eroi
che gloria della Patria furo,
E di
valore e di scienza onusti
Serban
gli esempi nell’età presente
Del
tralcio antico nei novelli arbusti:
E voi,
signor, poiché il destin consente
De’ pro
Baglioni e Barbarighi il sangue
Unir
de’ Diedi alla cospicua gente,
Quell’avito
splendor che in voi non langue,
Chiaro
vedrete pullular nei figli,
Schiacciato
il capo dell’invidia all’angue.
Prole
dianvi gli Dei che a voi somigli
Nel
buon costume, nel bel cor sincero,
Nel
chiaro lume dei miglior consigli.
Apransi
i voti miei l’agil sentiero
Delle
nubi e de’ cieli, e al trono accolti
Sieno
dal Rege dell’eterno Impero.
Più dir
vorrei, ma i miei pensieri avvolti
Stansi
soverchio in comici lavori
Che
saran tristi, ma sudati e molti.
A voi,
signor, consolator de’ cuori,
Scopro
la tela che ho finora ordita
E che
tesser destino a più colori.
Udite
omai, se l’intrapresa è ardita292.
La
prima sera sul Parnaso monte
Il
biondo Dio le Nove Suore invita;
E le
Sorelle obbedienti e pronte
Offronsi
ai cenni dell’amico Nume,
Inebbriate
dal castalio fonte.
Clio, che l’istoria favorir
presume,
Sorge
primiera, ed offerir s’impegna
Del
Macedone invitto il ver costume293;
Ed al
lepido il grave unendo, insegna
In
drammatici carmi ai spettatori
Ch’è,
qual noi, schiavo di passion chi regna.
Tersicore del ballo i prischi onori
Piange
in tosco linguaggio, in terza rima,
Deridendo
i scorretti danzatori294;
E Melpomene
austera, all’alta cima
Aspirando
del Monte, invita allarmi
La sua
rival, che ha fra di noi più stima;
E
cogl’itali suoi tragici carmi
D’Artemisia
la fé, l’amore ostenta,
Onde al
re estinto consacrati ha i marmi295
Sorge Talìa,
che favolette inventa,
E
punge, e sferza, e deridendo in prosa
Gl’Innamorati,
il suo desir contenta.
E
l’amabile Euterpe armoniosa
Tragge
dal canto il lepido argomento,
E collo
stil martellian fa glosa.
Urania, che le stelle e il
firmamento
Ed i
pianeti esaminar non pave,
E
faticar degli uomini il talento,
Unir
saprà di Zoroastro al grave
Nome
regal gli astronomi ignoranti,
Mille
tessendo armoniose ottave.
Erato, madre d’amorosi canti,
Dalla
virtù di barbaro paese
Trarrà
il rossor degl’infedeli amanti.
E lo
sdrucciol, che un dì grato si rese,
Ed or
proscritto è dalle nostre scene,
Scopo
sarà di sue novelle imprese.
Calliope ardita ad offerir sen viene
Novelli
carmi, non usati ancora,
Il di
cui metro col latin conviene.
Ella
gli epici vati è che avvalora,
E
l’argomento all’azion destina
Trar da
Virgilio, che l’Italia onora.
L’ultima
è quella che al bel dire inclina;
Polinnia ha nome, e tratterà soggetto
Grato
alla donna ch’è del mar reina.
Libero
stile è al suo piacer diletto;
E in
vari metri, or vincolati, or sciolti,
Spera
l’impegno ai spettatori accetto.
Parmi
veder vario— dipinti i volti
Di chi
udirà tale progetto ardito,
Dubitando
talun se il vero ascolti.
Ma di cinque
l’incarco ho già compito.
Restan
le quattro, e se il concede il fato,
Non
mirar spero il mio desir fallito.
Deh,
signor, se talvolta io vi fui grato,
Ite a
soffrir la prima sera in scena
D’Apollo
i detti colle Muse allato;
E colla
sposa amabile serena,
Che per
vostro conforto il Ciel vi diede,
Deh non
vi spiaccia sofferir la pena:
Il
servo vostro per amor vel chiede.
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