LA
PRIMA VOLTA CHE L’AUTORE FU RICEVUTO
NEL’ACCADEMIA
DETTA DEGLI INDUSTRIOSI
ERETTA IN CASA DE’
SIGNORI CONTI CATANEO IN VENEZIA
CAPITOLO
Saggi
cultori dell’aonie Muse,
Che mai
v’indusse ad albergar fra voi
Tal,
cui Apollo dai migliori escluse?
Quei
che ora son, quei che verran dappoi,
Qual
concetto di voi formar potranno,
Se
ammettete gli abbietti in fra gli eroi?
L’apparenza,
cred’io, vi feo l’inganno.
Costui
(diceste) che d’Arcadia or viene296,
Anche
fra noi può meritar lo scanno.
Noto
forse non vi è, che male o bene
Canti
il Pastor, dall’arcade custode
Nome e
campagna facilmente ottiene?
O voi,
che gloria vi mercate e lode,
Deh non
lasciate nel Liceo nascente
Gli
oscuri vati penetrar con frode.
Di me
talora ragionar si sente
Come
d’uom tal che sa piacere a molti,
Ma il
Teatro e il Parnaso è differente.
Quando
i Parer di spettator son folti,
L’occhio
s’appaga e giudica il talento
Di
dotti e indotti, geniali e stolti;
Né alla
superbia trasportar mi sento
Per gli
applausi felici, né in me scema
La
fortuna contraria il mio ardimento.
Quello
è mestier; né vuol ragion ch’io tema,
Né che
troppo confidi, ed ho fondato
Coll’esempio
e coll’uso il mio sistema.
Ma se
deggio di voi sedere allato
E farmi
degno del divino alloro,
Altro
vi vuoi che lo mio stile usato.
Se la
vostra amicizia al mio decoro
Pensò,
col darmi a queste mura ingresso,
Torna
in mio danno il nobile lavoro.
Ché le
macchie minute al sol dappresso
Veggonsi
meglio, e vagliono i confronti
ogni difetto
a rilevar più espresso
Ma
poiché foste in mio favor sì pronti,
Per lo
zelo d’onor, sia vostro impegno
Che il
nome mio fra gl’immortai si conti.
E ben
potete lo mio basso ingegno
Alto
levar, mostrandomi la via
Che voi
condusse della gloria al segno.
Arte e
natura alle bell’opre avvia:
Natura
meco non mi par matrigna;
Dell’arte
ho d’uopo, non appresa in pria.
L’arte,
che in voi con magistero alligna,
Esser
può falce che dal campo spogli
La
pertinace sterile gramigna.
E qual
talora sugli alpestri scogli
Saggio
cultor, se a faticar si mette,
Fa che
una pianta o un vago fior germogli;
Tal
voi, bell’alme alle grand’opre elette,
Trar
potete da me, col tempo e l’uso,
Il più
bel fior dell’opere perfette.
Ecco la
speme, onde l’ardire io scuso
Se al fianco
vostro di seder non temo,
E quel
don che mi offrite io non ricuso.
E
tenterò di penetrar l’estremo
Glorioso
confin di lauri cinto,
E por
le labbra al nettare supremo.
E chi
brama vedermi oppresso e vinto,
E ogni
arte adopra dall’invidia usata,
Mirerò
in volto di vergogna tinto.
O
d’egregi cantor turba onorata,
Seguite
pur la generosa impresa:
Oggi
per voi la Musa mia rinata
D’onor,
di gloria e di speranza è accesa.
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