AL
MOLTO REVERENDO PADRE VIRGINIO ZANETTI CARMELITANO
VICE–PRIORE DEL
CONVENTO DEI CARMINI DI VINEZIA
CAPITOLO
Povero
me! che professione è questa!
Padre
Virginio mio, son disperato,
Non so
dove mi sia, non ho più testa.
So che
gli uomini tutti in ogni stato
Trovan
che dir contro la lor fortuna,
E che
ciascun per travagliare è nato;
Ma io,
per verità, scelsi quell’una,
Fra
tante strade a1 galantuomo aperte,
Che
poco grano e molta paglia aduna.
Chi
viene in casa mia mira coperte
Le
tavole, i scaffali, e infin le sedie
D’ordinazioni
che mi sono offerte.
Chi
vuoi drammi da me, chi vuoi commedie,
Chi un
capitolo chiede, e chi un sonetto,
Per far
che il mondo a spese mie s’attedie.
Non si
fa un matrimonio benedetto,
Non si
veste una santa religiosa,
Ch’io
non mi vegga a verseggiar costretto.
Quando
fisa la mente ho in una cosa,
Vien
l’altra, ed ho a lasciar quella per questa,
E
ciascuna di loro è premurosa.
Vien
l’impressario a farmi la richiesta
D’un
dramma musical; prendo l’impegno,
E il
mio cervello a immaginar si appresta.
Ecco il
comico arriva, e mostra sdegno
Perch’io
posponga la commedia al drama;
Io la
commedia terminar m’impegno.
Pongomi
a verseggiar: manda una dama
A dirmi
che fa monaca la figlia,
Che
qualcosa di mio da lei si brama.
Il
dovere mi sprona e mi consiglia;
Presto,
presto si canti, e si dia lode
Alla
vergine saggia e alla famiglia.
Prendo
in mano la penna, e venir s’ode
Un che
dice: Non sai che si marita
Un’illustre
donzella a un giovin prode?
L’eccelso
nodo a verseggiar t’invita;
Lascia,
lascia ogni studio in abbandono,
Accorda
il plettro, ed i migliori imita.
Ahi!
che soverchio imbarazzato io sono;
Di buon
core per tutti io m’affatico,
Ma poi
col presto non si accorda il buono,
Padre,
non dico già che sia un intrico
Quel
che per grazia vostra mi recate,
Che lo
sapete, se vi sono amico.
Ma se
da questi giorni vi pensate
Ch’io
donare vi possa una giornata,
Giuro
per sant’Elia che v’ingannate.
La
vostra commission vien decorata
Da
illustri nomi di due sposi egregi
Ch’hanno
la fama, si può dir, stancata.
So le
glorie del sangue, e noti i pregi
Della
sposa mi sono e del consorte,
Che
accrescer può di sua prosapia i fregi.
A Parma
intesi ragionare in Corte
Di lui
sovente, di grazioso aspetto,
D’occhio
vivace, e d’alma grande e forte.
E nel
nobile, e colto, e ben diretto
Modanese
collegio il giovin prode
Facea
pompa di senno e d’intelletto.
E se
volessi mendicar la lode
Dell’antico
lignaggio ond’egli è nato,
Ciò
basterebbe per formare un’ ode;
Ma guai
a me se colla cetra allato,
Pindaro
seguitando e il buon Chiabrera,
Uscir
volessi dal mio stile usato:
Qualche
Musa eloquente, e un po’ ciarliera,
Che
schiccherando suol sedere a scranna,
Mi
porrebbe d’intorno la versiera.
O
trista gente che l’onore appanna,
Compatisco
la rabbia, e vi perdono:
Nol
meritate, e per voi dico osanna.
Padre,
potrete dir che un cieco io sono,
Di quei
che a principiar duran fatica
E vi
stuccano poi col canto e ’l suono.
Dico,
ma non so ben quel che mi dica,
Segno
evidente che vorrei dir bene,
Ma
l’argomento mi sgomenta e intrica.
Qui non
si tratta di accozzar le scene,
O
impasticciar le fanfaluche a iosa
Di cui
le carte per tant’anni ho piene.
Deesi
parlar d’una sublime sposa
Del
principesco sangue Lambertini,
D’animo
grande e per virtù famosa;
E del
picciolo Reno ai bei confini
Parlasi
di Lucrezia con rispetto,
E
nell’alma città dei collarini.
E basta
dir, che con parziale affetto
Questa
illustre nipote amata in vita
Fu dal
decimoquarto Benedetto.
Ella il
gran zio nelle virtudi imita,
Per
quanto lice a giovane donzella
Che dal
mondo non fugge, e si marita.
La
Chiesa il nodo Sacramento appella,
E in
santa pace collo sposo allato
L’anima
pura non sarà men bella.
E il
Santo Padre, dal mortal passato
All’eterno
trionfo, in Ciel presiede
Alla
gloria ed al ben del suo casato.
Né di
ricchezze fortunata erede
Pensa
di voler far la sua famiglia,
Ma di
belle virtù, d’amor, di fede.
E i due
nipoti con allegre ciglia
(L’uno
sul Tebro, e l’altro sulla Dora)
L’immortale
Pastor guida e consiglia.
E Roma
lieta scorgerasssi allora
Che
mirerà don Cesarino un giorno
Col
cappel rosso e col Triregno ancora.
Ma
volai troppo in alto, e se non torno,
Caro
padre Virginio, ad abbassarmi,
Voi ne
avete la colpa, ed io lo scorno.
Provai
lo stile sublimar dei carmi,
Ma la
mia Musa all’umil suono avvezza,
Bieco
mi guarda, e non consente aitarmi.
Ogni
stile può aver la sua bellezza:
Piace
talun nell’imitare il Berni,
Che
seguendo il Petrarca si disprezza.
Ma io
ne’ miei componimenti alterni
Or
parlando del volgo, or degli eroi,
Non ho
stil che mi regga e mi governi.
Scrivo
comica scena, e balzo poi
In
ottave, in canzoni, in madrigali,
Ma
come! Santo Dio, ditelo voi.
Tanti
vari argomenti, ed ineguali,
Mi
confondon la mente e l’intelletto,
Ch’uomini
non si danno universali.
Però da
voi rimproverarmi aspetto
Che
basse rime alla grand’opra impiego;
Padre,
se conoscete il mio difetto,
Dispensatemi
dunque, io ve ne priego.
|