CELEBRANDOSI
DAL PADRE CAPPUCCINO FRA TEODOSIO DI MILANO
LA PRIMA MESSA
NELLA CHIESA DI S. GREGORIO DETTA IL FOPPONE
DEL LAZZARETTO
FUORI DI PORTA ORIENTALE IN MILANO
CAPITOLO
AL SIG. CARLO GIACOMO BRUGORA
FRATELLO
DEL
SACERDOTE
Brugora,
noi davver ci vogliam bene.
Prova è
di ciò che se fra noi l’un chiede,
L’altro
fa quel che all’amistà conviene.
Rado,
egli è vero, a vostro pro si vede
Impiegato
l’amor che a voi mi lega,
Ma il
desiderio ogni misura eccede;
E
quando di un piacer vi parla e prega
La
penna mia (lo che sovente accade),
Da voi
grazia e favor non mi si niega.
La forza di dolcissima amistade
È un
effetto talor di simpatia,
Che
coll’uso s’aumenta e coll’etade.
E
maggior copia sembra che si dia
Di
magnetico amor fra due persone
Che
discorde non han fisonomia.
Fisica,
a comun detto, è la ragione:
Suol
dell’uomo talor l’esterno aspetto
Dell’interno
mostrar l’inclinazione.
Ambi il
viso grassotto e ritondetto,
Ambi
abbiamo una pancia badiale,
Il
collo corto, e spazioso il petto.
Ed è
proverbio, o detto universale:
I
grassi sono uomini di Dio,
Inclinati
a far ben più che a far male.
Siete
della statura che son io,
Ambi il
basso cantiam, non il soprano,
Ed
avete perfino il nome mio.
Io son
nato in Venezia, e vo’ in Milano,
Ma dir
si ponno due sorelle anch’esse
Le
patrie nostre pel costume umano.
Non
domina superbia od interesse:
Si vive
in allegria, si mangia bene,
Né son
le genti dalla forza oppresse.
Ora
d’un’altra cosa mi sovviene
Che la
nostra amicizia ha confermata
E il
reciproco amor vie più mantiene.
Io
vivo, posso dir, di cioccolata,
E voi
n’avete di così perfetta
Che par
d’ambrosia e nettare impastata.
Anche
il mese passato a me diretta
Giunse,
vostra mercé, porzion di questa
Sostanzïosa
manna benedetta.
Milesi nostro, ch’è persona onesta,
Dica la
verità, se al vostro dono
Mi vide
in volto giubbilar, far festa.
Io, fra
i difetti miei, questo ho di buono:
Do
volentieri e volentier ricevo,
Son di
cuor grato ed avido non sono.
Non son
uomo di vaglia o di rilievo,
Ma per
gli amici miei fo di buon cuore
Quello
ch’io posso, se non quel ch’io devo.
Ricevetti
per grazia e per onore
La
richiesta che piacquevi avanzarmi
Pel
fratel vostro, servo del Signore.
Voi
potete volere e comandarmi,
E se i
miei versi desiar mostrate,
Più che
non dan, ricevono i miei carmi.
Lungi,
lungi da me le rime usate;
S’alzi
il mio stil quanto s’innalza il tema:
Anch’io
tratto la cetra, anch’io son vate.
Oh
potestate angelica suprema
Del
divin Sacerdote, al cui potere
Freme
d’invidia Satanasso, e trema!
Gli
Angioli stessi e le Beate schiere
Scendono
intorno al pio ministro eletto,
A cui
vien dato il Divin Sangue a bere.
E al
Paradiso d’ogni ben ricetto,
In
virtù di santissime parole,
Pari si
fa del Sacerdote il petto.
Deh
mira, Antonio308, tua
diletta prole:
Il tuo
Teodosio non è più tuo figlio,
Dio te
lo diede, e Dio per sé lo vuole.
Deh non
bagnar, tenera madre, il ciglio:
Lo
perdi in terra, e lo godrai nel Cielo,
Sciolta
la spoglia del comune esiglio.
E tu
che ardendo di fraterno zelo
Stai
fra duolo e piacer, nel tuo germano
Venera
un serafin sotto uman velo.
O
sante cure non disperse in
vano
Del
pio, sublime, generoso Alberto309,
Splendor
d’Italia, gloria
di Milano!
Almo
Visconti, che nel calle aperto
Alla gloria, de’ tuoi segui il cammino,
Tu
pure avrai della
grand’opra il merto.
Del
sacerdote temporal patrino,
L’uffizio
or fai, di Teodosio a lato,
Che
feo Giuseppe col Fanciul divino.
Quel che i piedi, le mani ed il costato
Ebbe in Assisi dal buon Dio ferito,
A
te il caro suo figlio ha consegnato.
Oh
giorno, oh giorno di celeste invito!
Giorno di festa, e d’allegrezza santa!
Ecco il
gran
sacrifizio è ormai
compito.
Osanna, osanna, su nel Ciel si canta;
Te
Deum laudamus cantasi nel tempio.
Benedetto
l’autor di gloria tanta!
Prendete,
o figli, dal garzon l’esempio:
È la
corda, che cinge il di lui fianco,
La
fiomba che schiacciò la testa all’empio.
Brugora, chi mi feo sì ardito e franco
Per
salir alto fra
l’eterne sfere,
Dove non giunsi col mio stile unquanco?
Male
s’accorda il comico mestiere
Coll’altare
di Dio, col sacerdozio:
Labili
son le scene, e lusinghiere.
È ver
che col Teatro non m’assozio;
Derido
il vizio, e la virtute onoro,
E odio
le genti che si pascon d’ozio.
Ma
quantunque sia casto il mio lavoro,
Entrar
pavento collo stil profano
Dove
soglion cantar gli Angioli in coro.
Gradisca
il vostro cuor gentile umano
Il buon
desio, ’ve mancami il talento,
E il
vostro santo amabile germano
All’altare
per me dica un Memento.
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