IN OCCASIONE DE’ FELICISSIMI SPONSALI FRA SUA
ECCELLENZA
IL SIGNOR PIETRO BONFADINI
E SUA ECCELLENZA LA SIGNORA CO. ORSETTA GIOVANELLI
Capitolo a Sua Eccellenza il signor Giovanni Bonfadini
senatore prestantiss. e fratello dello sposo.
O come
vola la caduca etade!
Parmi,
Eccellenza, in ver, parmi l’altr’ieri,
Ch’io
la vidi di Chioggia alle contrade,
Allor
che ’l prode, il fior de’ cavalieri,
Il suo
gran genitor resse il domìno
D’Adria,
colà, sedici mesi interi481.
Era
Vostra Eccellenza ancor bambino,
Ed io
folta la barba aveva al mento,
E ciò
vuol dir che alla vecchiezza inclino.
Ma,
sien grazie agli dei, ancor mi sento
Forte
di membra e stabile di mente,
E a
dispetto degli anni ho il cuor contento.
Il
lungo faticar, suol dir la gente,
Logora
la persona e lo intelletto;
Ma a me
non sembra di patir nïente.
Anzi
son le fatiche il mio diletto,
E lo
fur sempre, e mi faceva onore
Ne’
miei verd’anni a faticar costretto.
I’ fui
del Zabottin coadiutore,
Allor
che a Chioggia l’Eccellenza Vostra
Era col
padre suo, saggio rettore;
E so
ch’i’ allor di volontà fea mostra
D’apprendere
un mestier dei più spinosi,
E dei
più colti della patria nostra;
E in
brevissimo tempo a far m’esposi
Quel
ch’altri forse non avrebber fatto
Dopo
aver sulle panche i panni rosi.
Ma
quinci e quindi dal destin fui tratto,
E
natura mi spinse a comic’arte,
A cui,
mi parve riescir più adatto.
Unqua però
dal mio pensier non parte
Quel
caro tempo ch’i’ passai con seco,
Di
ricca mensa e ricchi doni a parte;
E ancor
mi vanto, ed a mia gloria reco,
La
conquistata protezion cortese
D’una
famiglia sì benigna meco.
Tosto,
signor, che pubblicar s’intese
Del
fratel suo l’impareggiabil nodo,
Desio
di fare il dover mio m’accese;
Ma mi
manca il valore, il tempo e ’l modo
Né dir
tutto poss’io quel ch’i’ vorrei,
Né
spiegar quanto mi compiaccio e godo.
A voce
ho fatto il mio dover con Lei,
Colla
madre e lo sposo e coi parenti,
E fur
tratti dal cor gli accenti miei.
So, a
mio rossor, che aspettano le genti,
Sapendo
ch’io di servo Loro ho il vanto,
Che
m’ingegni far forza a’ miei talenti;
Ma
tanto immaginai per nozze, e tanto,
Che la
sterile e tarda fantasia
Nega
nuova materia a lo mio canto.
Or
sovviemmi che un dì, per cortesia,
Ella mi
feo veder l’appartamento
In cui
la sposa riposar dovria.
Piacquemi
fuor di modo l’argomento
Da Andrea Pastò482
per adornar la volta,
Pinto
con arte e magistral talento.
Vidi Fecondità
nel mezzo accolta
Da Salute,
Concordia ed Allegrezza,
E Gioventude
in lieti panni avvolta;
E alla
mia testa, a meditare avvezza
Sulle
immagini vere e naturali,
Parve
un tal pensamento una bellezza.
Qual
simbolo miglior per gli sponsali
Oltre
fecondità trovar si puote,
Frutto
delle dolcezze coniugali?
Valoroso
Pastò, di cui son note
Le
bell’opre dipinte in tela e in muro,
Or
somma laude la tua man riscuote,
Poiché
col tuo pennel franco e securo
Non
mostri sol l’abilità pittrice,
Ma un
ben sapesti presagir futuro.
O
amabile gentil sposa felice,
Alzate
gli occhi della stanza al letto.
Mirate
degli eroi la produttrice;
E
badate il pittor maliziosetto
Come fa
che la dea l’impegno tolga
D’esser
il nume tutelar del letto.
Deh non
fia mai che il vostro labbro sciolga
Contro
il precetto, per timore, i voti,
Né il
vostro sen di fecondar si dolga.
L’Adria
aspetta da voi figli e nepoti,
Gloria
ed onor del veneto paese,
Ricchi
delle paterne inclite doti.
Da
quell’ardor che la vostr’alma accese
Del Dolfin sangue483 e Bonfadin, s’aspetta
Eletta
prole a memorande imprese.
Per
render poi fecondità perfetta,
E
vederne l’effetto al mese nono,
Mirate
del pittor l’util ricetta.
Pria di
Salute è necessario il dono:
Ché di
donna infermiccia e mal composta
Atte a
produr le viscere non sono.
Voi
mostrate all’aspetto esser disposta,
Quand’uopo
fosse, a rinnovare il mondo
Rendendo
al sposo la mancante costa.
Il
fresco volto, amabile, giocondo,
Gli
occhi vivaci, e ’l bel color vermiglio,
Son
chiari segni di seno fecondo.
Ed
incontrando con allegro ciglio
Il
nuovo stato a cui vi scorta il Cielo,
Voi
darete la vita a più d’un figlio.
Deh vi
piaccia soffrir da lo mio zelo,
Che
sana sempre vi desia qual siete,
L’util
consiglio di chi bianco ha il pelo.
Il
lieto mondo e i beni suoi godete
E i
suoi piaceri moderatamente,
Se la
cara salute in pregio avete.
Aprite
gli occhi su la stolta gente
Che si
affatica ad acquistar dei mali
Per
viver poscia miserabilmente.
Oggi
son quasi resi universali
Disordini,
stravizzi o nottolate,
Tutto
l’anno durando i carnovali;
E le
donne, più frali e dilicate,
Volendo
quello far che gli uomin fanno,
Sul
fior degli anni caggiono infermate,
E ne
risenton le famiglie il danno,
Che non
han prole, e in medici e ricette
Spendon
mezza l’entrata in capo all’anno.
Tanto
s’ha da goder quanto permette
La
virtù, la prudenza, il buon costume.
Né a
repentaglio sanità si mette.
Ma voi
avete di ragione il lume,
E i
migliori consigli il saggio sposo
Saprà
ben darvi fra le calde piume.
Non sia
a’ suoi cenni il vostro cuor ritroso,
Ché
alla fecondità Concordia serve,
Come
vien mostro dal pennel famoso.
Son
compagne le donne, e non son serve:
Ma guai
se avesser le consorti altere
Sovra
ai mariti a comandar proterve.
Pure ai
dì nostri più d’una mogliere,
Sul
teatro del mondo, la commedia
Della Moglie
in calzon vi fa vedere.
Pare a
taluna che un morir d’inedia
Sia
l’andar sempre collo sposo al fianco,
E di
seguire il suo voler s’attedia.
Quindi
il marito di corregger stanco
E di
gettar le sue querele ai venti,
Va a
seder ancor ei su un altro banco.
Bella
felicità due cuor contenti!
Bella
grazia di Dio concordia e pace!
Bell’onor
degli sposi e dei parenti!
Felice
voi, cui l’armonia sol piace!
Felice
voi, che d’onestate avete
E di
santi pensier il cor ferace!
Ed
oltre la bontà, che in sen chiudete,
Del
caro sposo nella genitrice
D’ogni
bella virtù lo specchio avrete !
Ella il
consorte suo reso ha felice,
E
n’ebbe in cambio riverenza e amore,
E fu
Concordia dell’amor nutrice.
Toltole
dalla
Parca il suo
signore,
Tributa
ancora a sua memoria il pianto,
E
vivo il serba
dolcemente in
cuore.
Voi
scelta foste dall’eterno e santo
Voler
de’ numi a rallegrar le mura,
Finor
coperte di lugubre ammanto;
Ché
morte, sempre inesorabil dura,
Rapì Francesco, il valoroso, il pio,
Per
comun della patria alta sventura.
E il
popol mesto lagrimar s’udio,
E
l’eccelso Senato, e ’l vasto impero
Cui
sull’acque piantò perpetuo Iddio.
Oh come
lieta rivedere i’ spero,
Vostra
mercé, la nobile famiglia,
L’avo
risorto dall’amabil Piero!
Ite
all’altare con allegre ciglia,
Ché la
miglior fecondità felice
Di cuor
contento e d’Allegrezza è figlia.
Ogni
onesto piacer sperar vi lice
Da uno
sposo gentil, cortese e grato,
Che da
voi sola il suo conforto elice.
Agi
avrete ed onori in nobil stato,
E una
suocera madre e non matrigna,
E un
generoso tenero cognato.
Tanto
nel petto di Giovanni alligna
Amor
fraterno, che al minor germano
Cede le
grazie della dea ciprigna;
E
tant’è invaso dal piacer sovrano
Di
rimirarvi al di lui sangue unita,
Ch’altro
piacer tenta rapirlo in vano.
Deh vi
serbino i dei lunghi anni in vita,
Né
giunga mai tristo pensier molesto
La
vostra a minorar gioia infinita.
Tenera Gioventù
del dolce innesto
Favorisce
gli effetti, e un giovin seno
Agevolmente
a fecondare è presto;
Ed il
bel volto, amabile e sereno,
L’occhio
vivace ed il robusto aspetto
Non
tarda madre vi dimostra appieno.
Ite,
sposa felice, al nobil tetto,
In cui
non si risparmia oro e fatica
Per
renderlo di voi degno ricetto.
Itene
pur, ché la Fortuna amica
V’offre
dolce riposo e lieta pace;
Ite
giuliva, e ’l Ciel vi benedica.
Signor,
finora col pensier loquace
Alla
sposa parlai, ma non mi ascolta,
Ché fra
i Lari paterni ancor sen giace.
Piacciavi
d’innestar nella Raccolta
De’
miglior vati i rozzi carmi miei,
Tratti
dal bel della dipinta volta;
Che ad
altri forse pon servire,
e a Lei,
Per
commento all’idea del buon pittore,
Che il
pennel tinse di colori ascrei.
Molto
più dir vorrei per farvi onore
In dì
sì lieto e avventuroso tanto;
Ma il
di più, che non dico, i’ chiudo in core.
Rispettoso
disio supplisca al canto.
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