AMOR
PROCESSATO
POEMETTO
IN TERZERIME A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR CO.
GIROLAMO
LION IN OCCASIONE DELLE NOZZE SUE
CON
SUA ECCELLENZA LA SIGNORA ISABELLA GRITTI
Questa
volta, Eccellenza, io mi consolo
D’aver
nome e campagna infra i pastori,
E
d’esser scritto de’ poeti al ruolo,
Poiché
posso ancor io cantar gli ardori
E le
dolcezze che v’empiono il petto,
Mercé
di lui ch’è il feritor dei cuori.
Ma pria
di ragionar su tal subbietto,
Vi
rammento, signor, che quell’io sono
Che fu
vosco, son anni, a Sanguinetto.
Quegli
son io che di seguirvi il dono
Ebbe
all’illustre feudo signorile,
Per
erger ivi di Giustizia il trono
Allor
quando, non so qual astio, o bile,
Contro
l’onoratissimo Vicario
Desta
avea con furor querela ostile;
Ed io,
vostro Assessor straordinario,
Il
processo formai d’inquisizione,
Delle
leggi serbando il formulario.
E in
chiara luce posta la ragione,
Giusto
vi parve a pro dell’accusato
La
sentenza segnar d’assoluzione.
Ora il
Foro, signore, ho abbandonato,
Ma
ricordomi ancora il mio mestiere,
E ’l
mio nome in Tabella è registrato.
Pago la
Tansa, e faccio il mio dovere,
E la
toga potrei vestir domani,
E
anch’io col parruccon farmi vedere,
E
presentarmi ai tribunai sovrani
Con
aringhe civili o criminali,
Se di
me si fidassero i cristiani
E non
dicesser: L’opre teatrali
Avran
cambiata di costui la testa;
Vada a
far l’avvocato ai carnovali.
Per dir
il vero, una ragione è questa
Cui il
distrugger saria difficil molto;
E poi
v’è d’avvocati una tempesta,
Ed io
non son d’abbandonar sì stolto
L’onorato
mestier che mi dà il pane,
Da
perigli e da scrupoli disciolto.
Ma per farvi veder che nuove e strane
Non
mi sarian le formule del Foro,
Una
causa vogl’io trattar
stamane.
Deh
prestate l’orecchio al mio lavoro,
E
decidete fra di voi, signore,
S’io la
tratto con forza e con decoro.
Al
Tribunal fu querelato Amore,
E i
capi fur delle tremende accuse:
Per
falsario, tiranno e seduttore.
Si
accettò la querela, e a porte chiuse
Il
grave caso han delegato i numi
Al
Magistrato delle nove Muse;
E lor
si diè l’autoritate e i lumi
Per incoare530 all’imputato arciero
Della
vita il processo, e dei costumi
Contro
di lui dal Tribunal severo
Uscì il
caute ducatur531, e fu tosto
Per
averlo, cercato il mondo intero.
Seppero
dalle spie ch’era nascosto
In
Venezia il garzon coll’arco teso,
Un de’
suoi colpi ad avventar disposto.
Verso Santa
Lucia532 fu al varco atteso.
Dal
palagio Leoni esce ridente
Ché il
colpo ha fatto, ed è legato e preso.
Scuotersi
tenta il prigioniero ardente,
Ma dai
lacci crudei si scuote in vano
Ei che
seppe allacciar cotanta gente.
Col
capo chino, e senza l’arco in mano,
Guidato
omai delle Camene al trono,
Colà si
feo costituir de plano533.
Si principia: Chi sei? Cupido io sono
Di
Venere figliuol ch’Urania è detta,
Di
natura e del Ciel delizia e dono.
Segue
la Musa, a processare eletta:
Sai la
cagion per cui legato e cinto
T’han
qui condotto all’apollinea vetta?
No, le
risponde il prigioniero avvinto.
Tel
puoi, soggiunse, immaginar? Né meno :
Ma guai
al mondo s’io cadessi estinto.
Replica
la Ministra: Il mondo è pieno
Delle
ribalderie che
hai tu commesso,
E
por si vuole a tua licenza il freno.
Rigoroso
si forma a te il processo;
Svela
le colpe tue sinceramente,
Poiché
s’usa clemenza al reo confesso.
Sono,
risponde Amor, sono innocente;
Altri
usurpa il mio nome, e calunniato
Son per
invidia dalla trista gente.
Se non
vuoi dir, confesserai forzato,
Colei
ripiglia, e il pargoletto insiste,
Et
fuit dinsissus534, e in prigion mandato.
Stende
la processante, in varie liste,
Dai
querelanti i testimon prodotti,
In cui
del Fisco535 la ragion consiste,
E li
manda a citar, perché ridotti
Sien
quanto prima al magistral cospetto,
Aliter sieno presi, e sien condotti.
Ecco,
prima di tutti, un giovanetto
Lacero,
macilente; e interrogato
Colle
formule usate, ecco il suo detto.
Ah ridotto,
madonna, in questo stato
M’ha
quel tristo d’Amor di cui parlate;
Ei m’ha
salute ed ogni ben rubato.
M’accese
il cor di giovanil beltate;
Fin che
spender potei fui ben veduto;
Le
porte in faccia mi fur poi serrate.
Quante
promesse non mi feo l’astuto,
Perch’io
cadessi nella mortal rete,
Ed ora
nega di recarmi aiuto.
E il
trattamento che di me vedete,
L’ha
fatto a cento, e posso darvi prove
Contro
l’ingannator quante volete.
Inventa
tutto dì dell’arti nuove,
E il
mondo finirà miseramente,
Se la vendetta
sopra lui non piove.
Scritto
l’esame suo distesamente,
Lo
licenzia la diva, e fa che passi
Un
novel testimonio immantinente.
Move
una donna vergognosa i passi,
E
interrogata nelle forme istesse,
Tal
risponde, cogli occhi umidi e bassi:
Ah
perfido Cupido! Ah Dio volesse,
Che
troncate ti fossero le mani,
Ond’haimi
al core le saette impresse!
Diva,
costui de’ genitori umani
Trascurare
mi feo l’obbedïenza,
E
m’arse il cor di desideri insani.
Uno
sposo mi diè, che alla presenza
Un
angiol mi parea
dal Ciel spedito,
Ma
fatta ho dell’error la penitenza.
La
madre, il padre m’aveano avvertito:
Figlia,
non lo pigliar, ch’è giocatore;
Vivrai
scarsa di pane e di vestito.
E mi
dicea quel seduttor d’Amore:
Piglialo,
non temer, ch’è uom da bene,
E tu
col tempo lo farai migliore.
Oh me
infelice! fra disastri e pene
Passo i
miei giorni e, quel ch’è peggio ancora,
Meco
la notte il
traditor non viene.
Ah la
rabbia mi cruccia e mi divora;
Tutta
colpa d’Amor, che mi ha ingannata;
Pera
colui che le saette infiora.
La
donna dalla dea fu licenziata,
E via
mandolla senza il giuramento536,
Perch’era
offesa e con Cupido irata.
Suonasi
il campanello, e in quel momento
Entra,
e soccombe all’ordinario esame
Un che
fece all’amor con più di cento:
Amor,
dicendo, è un traditore infame:
Ogni dì
prometteami un nuovo acquisto,
E mai
s’indusse a consolar mie brame.
Appena
un volto avea scoperto e visto:
Il più
bel, mi dicea, non avvi al mondo,
E
all’indomane mi parea il
più tristo.
Scoperto
ho alfin della malizia il fondo.
Ei mi
condusse ad invecchiar sperando:
Manca
or la legna, e di scintille abbondo.
E le
donne, neglette allora quando
Rendere
anch’io potea bene per bene,
Me
vanno a dito, a mio rossor, mostrando.
E da
Cupido tutto il mal proviene,
Di
menzogne maestro e d’incostanza,
E
castigare il tristarel conviene.
Centomila
persone in quella stanza
Giunsero
a esaminarsi ad una ad una,
E
deposero tutte in consonanza.
Oh se
un processo tal, per sua fortuna,
Nelle
mani giungesse a un Cancelliere,
Nato
affé si direbbe in buona luna!
Ché al
fin del conto spereria d’avere,
Se
anche assolto venisse il processato.
Più
d’un zecchino sotto al candeliere.
Finalmente
il processo è compilato:
Lo
decretan le Muse,
ed intimate
Vengono
le difese all’accusato.
Le
copie del processo
a me
son date;
Io sono
il difensor
del dio Cupido,
E
le paghe mi furo anticipate.
Tratto la causa, e guadagnar confido.
Uditemi,
signore, e
m’oda intanto,
Protettore
d’Amor, l’adriaco
lido.
O Muse,
o voi che l’assoluto e santo
Poter
aveste dai celesti numi
Sopra
colui di cui mirate il pianto,
Deh
rivolgete al bel garzone i lumi,
E dite
poi, se argomentar si puote
Da sì
amabile idea sì rei costumi.
Ahimè,
ch’io veggo rosseggiar le gote
Delle
giudici mie; no, no, si celi
Del reo
l’aspetto, e le ragion sien note.
Chiedo
giustizia, e la domando ai Cieli,
E alla
Terra, ed a voi; s’è reo d’inganno,
Tremi,
perisca, e l’error suo si sveli.
Si
querela Cupido. E quali s’hanno
Prove
contro di lui? Chi dice Amore
Falsario,
indegno, seduttor, tiranno?
Muse,
per onor mio, per vostro onore,
Per lo
pubblico ben, per Giove istesso,
Porgete
orecchio a chi vi parla al cuore.
Ecco il
testo fatale, ecco il processo:
La
calunnia risulti e l’innocenza:
Chi non
prova l’accusa, è reo confesso.
Primo
comparve alla real presenza
Stolido
amante che l’amor confuse
Colla
fervida ardita adolescenza;
Che in
oggetto venal sparse e profuse
Le
ricchezze mal note, e la ragione
Dagli
appetiti, sconsigliato, escluse.
Donna
furente che la colpa espone
Del
perduto rispetto ai genitori,
I suoi
deliri a quel fanciullo appone?
Dato
ch’egli destati abbia gli ardori
Nel
malnato suo cuor, perché fu sorda
A chi
trarla potea d’inganno fuori?
Il
caparbio voler male s’accorda
Col
dolcissimo Amor, che stral non scocca
Contro
vittima vil dall’aurea corda.
E di
quel terzo testimon la sciocca
Velleità,
che amar non seppe un giorno,
Contro
Amore può farlo aprir la bocca?
Ecco il
processo di tai prove adorno:
Fate
che un testimon parli sincero,
E diasi
pena all’accusato, e scorno.
Non ve
n’ha un solo nel processo intero,
Che per
sé non si dolga, e giustamente
Giudicar
s’abbia, che deponga il vero.
E
perché i testimoni pienamente
Provin
la reità, l’animo loro
Al
giudice constar dee indifferente.
Ma un
decreto tem’io dal concistoro:
Se mancan prove, s’assoggetti Amore
Della
tortura al criminal martoro537.
Della
legge comun so anch’io il tenore:
Bastan
le semiprove, e
basta spesso
Pubblica
voce e fama a un tal rigore.
Ma
oimè, giudici mie, mi sia permesso
Presentarvi
languente il fanciulletto,
Tenerello,
di membra, e mal complesso.
Qual
avreste dappoi rimorso in petto,
Se
scoperto l’inganno e l’innocenza,
Reso
l’aveste a trattar l’arco inetto?
Sospendete
per or l’aspra sentenza.
Tratto
la causa vostra, o Muse, o dive,
Ed il
ver vi dimostro ad evidenza.
Ah di
prove non son sì scarse e prive
Queste
all’opera mia carte affidate,
Ch’i’
non abbia ragion fondate e vive.
Dite,
se il Ciel vi salvi, alme onorate:
Dove fu
preso Amor da’ vostri arcieri?
Dove furo al garzon le man legate?
Ecco i
fogli legali, e veritieri:
Dal
Palagio Leoni uscìa ridente,
Nobil
magion d’illustri cavalieri.
Che
avea fatto colà quell’innocente?
A Girolamo avea ferito il petto,
Reso
quel cor di bella dama ardente.
Ah i
comun voti ed il comun diletto
Della
patria divota Amore intese,
E
scelse il dardo alla grand’opra eletto:
Il
dardo stesso ch’Isabella accese
Della
nobil de’ Gritti alta famiglia,
L’usato
dardo alle sublimi imprese.
E
d’allegrezza inumidir le ciglia
La
Regina del mar mirate, o dive,
Poiché
al dolce Imeneo l’eroe s’appiglia.
Da
lungi udite risuonar le rive
D’Adige,
a cui fu padre un lustro intero538
E di
lui serba alte memorie, e vive.
Ecco,
giudici pie, del prigioniero
I
delitti, le frodi e i rei costumi;
Ecco le
colpe dell’alato arciero.
Credete
voi che il vincitor dei numi
Non
valesse a fuggir dai lacci indegni,
Sol che
volgesse a chi l’avvinse i lumi?
Amore
avvinto rispettare insegni
Le
sacre leggi ed il poter sovrano
Di
colui che governa i regi e i regni.
Ecco
intentata la querela invano:
Ma
contento non son, se non mi è dato
Farvi
scoprir l’ingannator villano.
Dalla
schiuma del mar fanciullo è nato,
Che di
Venere anch’ei figliuol si vanta,
E ha
l’ali a tergo, e va, com’ei, bendato.
Amor si
chiama, e i cuor ferisce e incanta;
Ma
invece di adoprar gli aurati strali,
Il
rame, il ferro coll’orpello ammanta.
Quegli
è l’empia cagion di tanti mali,
Quegli
è il ladro, il falsario, il seduttore,
Quegli
è il flagel dei miseri mortali.
Chi
punger s’ode amaramente il cuore,
Chi
delira, chi pena, ama, e disama,
Confonde
il falso e l’innocente Amore.
Questi,
o Muse celesti, Amor si chiama:
L’altro
è vil compiacenza e desir folle,
Di
scorretta natura è inutil brama.
Il
sangue in gioventù, che ferve e bolle,
L’abito
tristo nell’età canuta
Di nume
al grado il suo Cupido estolle.
Ma
giunto è il dì di sua fatal caduta.
Condannate
all’esilio il contumace,
Che il
santo fren dell’onestà rifiuta.
Mirate
il vero Amer, che soffre e tace,
E il
cenno aspetta timidetto in volto,
E vi
chiede per me giustizia e pace.
Vada
da’ lacci suoi libero e sciolto,
E col
poter che dagli dei vi è dato,
Sia il
reo punito, e l’innocente assolto.
Rendasi
tal giustizia al dio bendato;
Renda
onore a voi stesse il pio rescritto;
E
perdon si conceda all’avvocato.
Il
decreto, signor, che dall’invitto
Tribunal
delle Muse è uscito fuore,
In
caratteri d’or così fu scritto:
Si
bandisca dal mondo il seduttore
Che col
nome d’Amor quaggiù s’appella.
Vada
libero e assolto il vero Amore,
Di Girolamo il Nume, e d’Isabella.
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