PER
LA SOLENNE PROFESSIONE DI SUA ECCELLENZA
LA SIG. MARIA
ANGELA ELETTA MEMO NEL NOBILISS.
MONISTERO DELLA
CELESTIA IN VENEZIA
CAPITOLO
Oh
benedetto il secolo passato,
In cui
trar si soleano gli argomenti
Dal
cognome, dal nome, o dal casato!
E i
poeti più bravi, e i più saccenti,
A forza
d’allusioni e allegorie
Faceano
cose che parean
portenti,
Eran
mari di grazie le Marie,
Gemme
d’alto valor le Margherite,
Luci
del firmamento le Lucie.
Pallide
fosser pure, o colorite,
Bastava
ch’esse si chiamasser Rose,
Perché
avessero ai fiori a mover lite.
Se alle
donne più antiche e più famose
Rassomigliava
qualche nome a caso,
Questo
bastava per lodar le spose.
Ed un
poeta da bell’estro invaso
Cert’uomo
un dì paragonò a san Carlo,
Perché
avea grande e maestoso il naso.
A’
nostri giorni chi volesse farlo,
Si
direbbe che sono rancidumi,
Usanze
vecchie colla muffa e il tarlo.
Ma
questi che si chiamano ritratti
(Quando
il nome si levi, e la famiglia),
Non si
può indovinar perché sien fatti.
Cercano
di destar la maraviglia
Con
pennellate valorose i vati;
Ma il
ritratto a che val, se non somiglia?
Come i’
dunque dicea, ne’ tempi andati
Dai
nomi si traevan gli argomenti,
Qualche
volta a ritroso e stiracchiati.
Ma vedevansi
almen componimenti
Ch’eran
fatti per quella, e non per questa,
E
ch’avean fatto travagliar le menti.
Ora,
per dirla, m’è venuto in testa
Di
voler seguitar lo stile antico
Nella
composizion che mi è richiesta.
E se
lode al mio canto io non predico,
So che
almeno dirà la vergin pia
Che di
lei parlo, e che bugie non dico.
Lasciato
il nome ch’ella aveva in pria,
Prese,
allor che si chiuse in monistero,
Quello
d’Angela Eletta e di Maria.
Oh
sublime, celeste, allo mistero!
Oh
eccelsi nomi! oh divin estro ardente,
Che al
Ciel m’innalza e mi discopre il vero!
Angela del Signor, pura, innocente,
Angela
nei costumi e alla favella,
Ch’ave
angelico il volto, il cor, la mente.
Chi non
diria che un’anima sì bella,
Quando
gli angeli in Ciel creati foro,
Stata
non fosse dello stuolo anch’ella?
E
vissuta fin ora in fra di loro,
Dio la
vestisse poi di carne umana,
Per
farla specchio di virtù e decoro?
Angela, eletta dalla man sovrana
Del
Creatore a riformar gli abusi
Della
scorretta gioventute insana.
Tanti doni
celesti in lei diffusi,
Tante
grazie divine, ond’ella serba
Gli
affetti umani dalla mente esclusi,
Segno è che Dio fin
dall’etate acerba
L’ha per amarlo in questa vita eletta,
Ed il
talamo eterno
a lei riserba.
Ed in
sacro recinto umil ristretta,
Serve
al voler di chi sull’alme impera.
E il
suo destin senza lagnarsi aspetta:
Senza
lagnarsi della vita austera
Né di
povere spoglie o del concesso
Libero
cuore a obbedïenza intera.
Ecco la
gloria del femmineo sesso,
Ecco
l’eletta vergine prudente
Colla
lampada accesa in sull’ingresso.
Ravvisatela
al nome, o cieca gente;
L’eletta
dallo sposo Angela pura
Maria si appella misteriosamente.
Poiché
quella imitar Maria procura,
Che fe’ un tal nome venerando in
terra,
Schiacciando
il capo della bestia impura.
Col
nome in fronte che la colpa atterra
Spiega
il vessillo di virtù felice,
E tre
nemici non le pon far
guerra.
Maria della gran Donna imitatrice,
Angela casta e pura in spoglia umana,
Eletta
al chiostro e all’immortal pendice.
Figlia
ed ancella di Maria sovrana,
Degli
angeli del Ciel compagna e suora,
Degli
eletti dolcissima germana.
Se quel
ch’ho detto non bastasse ancora,
Sui tre
nomi potrei dir cose tali
Da gire innanzi, e da durare un’ora.
Cosa da
render gli uomini immortali,
Prove
d’ingegno, immagini succose
Tratte
da secentisti originali.
Questo
solo dirò: le religiose
Soglion
due nomi aver nel sagro tetto;
Ella
tre nomi a se medesma impose.
E chi
ha speculativo l’intelletto,
Dirà:
nol fece spensieratamente,
Ma
perché il Trino è numero perfetto.
Abbian
pace vostr’alme, o buona gente,
Gloria
ed onor del secolo passato:
Chi vi
sprezza oggidì non sa nïente.
A voi
per verità sono obbligato;
Poiché
ne son, vostra mercede, uscito,
Rinnovando
uno stile disusato,
Qual
rinnovasi spesso anche un vestito.
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